Storia e fenomenologia del Dry January

Dry Jennuary Hyper Low Gin
Hyper Low Gin, un un superalcolico destinato alla produzione di cocktail analcolici
Sempre più numerose le aziende italiane protagoniste del nuovo trend degli spirit a zero alcol. Un mercato in crescita, grazie alla maggiore attenzione dei consumatori verso un bere consapevole e a iniziative come il "gennaio asciutto" che fa sempre più proseliti nel Regno Unito

Gennaio è il mese in cui si concentrano tutte le migliori intenzioni. Arriva subito dopo un periodo di eccessi di vario tipo, alla fine dei quali si sente il bisogno di “darci un taglio” e gettare le basi per un nuovo anno ricco di buoni propositi. Poco importa che già a febbraio, nella maggior parte dei casi, questi progetti naufraghino rovinosamente (per ripresentarsi qualche mese dopo, in vista dell'estate e della prova costume). Tra le promesse più frequenti c'è quella di iniziare l'anno facendo una pausa dal consumo di alcolici. Questa promessa - nel mondo anglosassone - ha un nome e sempre più seguaci: il Dry January.

Nel 2013 il primo “gennaio asciutto”

Il “mese asciutto” nasce in tempi recenti. Il primo Dry January è del 2013, grazie a una campagna lanciata da Alcohol Change Uk, associazione benefica inglese che sensibilizza le persone a un consumo più consapevole e accende una lampadina sui numerosi problemi causati dall'abuso di alcol. La prima campagna ha avuto come testimonial Alastair Campbell, celebre giornalista e autore inglese, che ha prestato il suo volto e raccontato la sua esperienza passata di forte bevitore. Oltre a lui, hanno aderito numerose persone dal mondo dello spettacolo e dei media inglesi, contribuendo a fare da booster per le edizioni successive. Negli anni l'iniziativa è cresciuta, grazie anche al supporto del servizio sanitario nazionale e alle sue ramificazioni locali.

Dal 2016 esiste una app per tutti coloro che decidono di intraprendere Dry January e desiderano ricevere contenuti utili e motivazionali su come affrontare il mese. Non è facile comprendere appieno i numeri del movimento, perché è un'iniziativa principalmente individuale: un sondaggio promosso del governo inglese nel 2017 afferma che circa 4 milioni di britannici provano a dare un taglio al consumo di alcolici nel mese di gennaio. 130.000 di questi, nel 2021, ha scaricato l’app ufficialeTry Dry”, che offre consigli e motivazione ai suoi utenti.

Benefici per la salute

La domanda che sorge spontanea è: un mese di astinenza dall'alcol fa davvero la differenza sulla salute? Fin dal 2013 Alchol Change, con il supporto dell'Università del Sussex, ha cercato di dare risposta a questa domanda. I risultati sono molto incoraggianti: alla fine del mese di stop, 7 persone su 10 hanno continuato a bere significativamente meno anche nei sei mesi successivi. Circa un quarto delle persone che venivano classificate come bevitori “forti”, sono rientrate per il resto dell'anno nella categoria dei bevitori a basso rischio. Gli studi successivi hanno poi dimostrato numerosi effetti benefici che si hanno in termini di riduzione di massa grassa, colesterolo e zucchero nel sangue. Oltre a questi, miglioramento del sonno e della concentrazione e – per ultimo, ma non da ultimo – della forza di volontà: le persone che completano un Dry January avranno molta più facilità a intraprendere ulteriori iniziative basate sulla propria capacità di autocontrollo.

Calano le vendite di alcolici

In termini di vendite, il mese di gennaio ha un effettivo impatto negativo sulla vendita di alcolici. Il motivo però non è da ricondursi al Dry January, ma a una generale riduzione delle spese da parte degli individui, dopo il periodo delle festività. È interessante però vedere come lo stesso mese registri una notevole crescita delle vendite di bevande “sostitutive”: la birra analcolica, nel mese di gennaio, ha un incremento delle vendite del 37%, mentre le birre a bassa gradazione (da 0,5 a 3,5 gradi) arrivano in Inghilterra a vendere fino al 312% in più!

E i locali si attrezzano: proposte salutiste

Nel settore del fuori casa, già dal 2016 tutte le principali catene di pub della Gran Bretagna si sono adoperate per avere almeno una birra analcolica alla spina. Nei cocktail bar - soprattutto quelli frequentati da una clientela tra i 20 e i 35 anni – appaiono sempre più spesso i menu a grado zero, e anche dal punto di vista dell'offerta food, il mese di gennaio è associato a proposte dall'apporto calorico ridotto, e da un minor consumo di proteine animali.

Gli spirit no alcol: Italia protagonista nel settore

In Italia non ci sono particolari evidenze che possano ricondurre la riduzione del consumo di alcolici al Dry January, che probabilmente non è ancora abitudine radicata. C'è anche da considerare che i consumi alcolici pro-capite degli italiani sono notevolmente inferiori a quelli di molti altri Paesi, per cui “dare un taglio all'alcol” non viene percepita come un'urgenza da parte di molte persone. L'Italia si assesta su volumi di crescita del mercato No/Low più moderati rispetto agli altri, soprattutto per quanto riguarda il settore birre e vini analcolici. Dall'altro lato però, sono sempre più numerose le aziende italiane - piccole o grandi che siano - che stanno proponendo liquori e spiriti a zero gradi. Da poco più di un anno Martini produce due versioni non alcoliche dei suoi vermouth: Vibrante e Floreale. Non è un caso questo nuovi prodotti siano stati lanciati prima di tutto nel mercato anglosassone mentre per il loro debutto in Italia si dovrà aspettare ancora alcuni mesi.

Dall'altro lato, Campari ha da poco introdotto il progetto The Notes, che consiste in tre distillati analcolici dai profili aromatici ben distinti (Bitter, Vibrant e Hidden) pensati per essere bevuti lisci, oppure utilizzati come basi per cocktail. In questo caso il lancio è avvenuto in Italia e la linea viene proposta anche su altri mercati.

Anche la distilleria altoadesina Roner, celebre per la produzione di grappe e distillati di frutta, ha recentemente lanciato Virginia, un distillato analcolico a base di ginepro e botaniche alpine biologiche (leggi Virginia, lo spirit no alcol per la miscelazione di Roner)

Italianità chiave del successo

Sempre in questa categoria, un esempio di successo è quello di MeMento, nato nel 2017 come seguito di un bando di ricerca del Politecnico di Milano. A oggi produce tre blend aromatici che spaziano dall'intensità erbacea rinfrescante del primo alla balsamicità speziata di Blue, l'ultimo nato, che ha tra gli ingredienti acqua di mare (leggi MeMento Blu, il nuovo distillato analcolico dallo spirito mediterraneo). Il vrand ha riscontrato i primi successi in Nord Europa e oggi è importato in numerosi mercati, dal Nord America a Hong Kong e in gran parte dei Paesi del Golfo.

Fare leva sull'italianità è una delle chiavi del successo di MeMento, ed è un pattern sul quale hanno puntato anche altre piccole produzioni: Amaro Venti è un amaro che utilizza una botanica per ognuna delle regioni del Belpaese, ed esprime questa identità anche nella sua versione analcolica. Altra produzione recente è quella di Amàrico, che racchiude nella sua bottiglia quel gusto tipicamente italiano che è il “dolceamaro”, creando un prodotto analcolico simile a un cocktail Americano, bevibile sia liscio sia come base per essere allungato con un mixer.

Questi sono solo alcuni esempi di aziende italiane che si stanno guadagnando una fetta di questo mercato in espansione. Sono spesso piccole produzioni dotate di grande inventiva, come nel caso dell'ultimo esempio che riportiamo, Hyper Low Gin di Winestillery: un prodotto unico nella categoria, perché è un superalcolico destinato alla produzione di cocktail analcolici. Di fatto è un gin super concentrato, con ben 70 gradi alcolici. Basta però un singolo millilitro di questo all'interno di un bicchiere di acqua tonica, per avere un Gin&Tonic dalla gradazione alcolica inferiore al mezzo grado. In conclusione, il Dry January forse da noi non ha ancora attecchito, però ci stiamo organizzando per avere sempre più frecce al nostro arco...per quando lo farà.

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