Mocktail: e se non fosse solo moda?

Funzionano davvero? Cosa ne pensano i clienti? Quali drink hanno i numeri per vincere? Qual è il target? Abbiamo girato le domande a dieci bartender che lavorano in Italia e all’estero. Il nostro think tank sull’universo dei cocktail analcolici

Siamo di fronte a un trend o è tutto un abbaglio? I cocktail analcolici sono qualcosa di nuovo oppure abbiamo solo trovato un modo più cool di chiamare i mischioni fatti con succhi a bottigliette di soda aperte? A queste e altre domande cerchiamo di rispondere con una fotografia, la più accurata possibile, scattata grazie al contributo di dieci professionisti. Interpreti (e osservatori) del mestiere che lavorano in città e in provincia, a Firenze o a Dubai. Prima questione. Qual è la differenza, in termini di cocktail analcolici, tra un bar in piazza a Siena e uno ad Abbiategrasso?

Riccardo Aldinucci, titolare del Charlie Mixology di Siena e vulcanico imbottigliatore seriale di cocktail in lattina, vede il no alcol come uno strumento utile per attirare le famiglie. «Con il cocktail che è entrato a far parte della vita degli italiani, anche i bambini possono divertirsi a fingersi frequentatori dell’aperitivo, mentre i genitori riescono ad uscire quella volta in più che non fa male né a loro né all’incasso del bar».

Per Pier Strazzeridel Bar Castello di Abbiategrasso orgoglio della provincia milanese, la fotografia è questa: «Virgin Mojito, Virgin Colada e Shirley Temple li trovi  ovunque, ma sono solo per minorenni. L’adulto, se deve bere un analcolico, prende un Crodino. Nel menu ci sono cocktail interessanti con basi analcoliche, in particolare Conviv, infuso analcolico prodotto in zona. Vengono apprezzati, ma avendo lo stesso prezzo di un drink alcolico, possono esser soggetti a storcimenti di naso».

Da Cinquanta è il best seller

Tutt’altra testimonianza ci arriva da una provincia del Sud. Precisamente a Pagani (Salerno), da Cinquanta Spirito Italiano, locale guidato da Natale Palmieri e Alfonso Califano, oste con una lunga esperienza all’estero: «Ho assistito alla nascita del no/low abv da molto vicino, nei miei trascorsi londinesi. Anche io pensavo fosse un’idea da ufficio marketing, un trend passeggero. Quando poi ho visto i colossi della birra muoversi in questa direzione, ho capito che ci dovevano essere motivi ed interessi molto alti in gioco». Cinquanta ha un anno e mezzo di vita, e due menu. In entrambi, il signature più venduto è stato un analcolico. Essendo il Cinquanta un all day bar, notiamo che soprattutto ad inizio settimana, ed in alcune fasce orarie, il consumo senza alcol è prediletto, a maggior ragione se la proposta è studiata, bilanciata, e curata anche nell’estetica.

Accontentare tutti! Anche il cassetto

Di prime testimonianze londinesi parla anche Anthony Poncier, ideatore della classifica Top 500 Bars e grande globetrotter di banconi: «Ero un po’ perplesso quando dieci anni fa Alex Kratena e Simone Caporale introdussero una sezione di analcolici nel menu dell’Artesian Bar. Per quattro anni consecutivi il loro banco era stato premiato come il migliore del mondo. E loro cosa fanno, mettono i mocktail. Strano, no? Ma loro mi dissero “aspetta a vedrai”. E infatti oggi in tutti i migliori bar questi drink vengono presi sul serio. Il fatto di avere a che fare con persone dai gusti e dai modi di pensare molto differenti tra loro fa parte dell’essenza stessa del bar. Lavorare bene significa poterle accontentare tutte senza far sentire nessuno fuori posto».

Se è vero che il trend è partito da Londra o dagli USA, ci sono Paesi in cui l’analcolico è legge. Alice Bidini lavora al Aok di Riyadh, in Arabia Saudita, Paese completamente “dry” e non solo per le alte temperature. Anche lì il concetto di drink senza alcol è cambiato, con molti grandi brand che investono in un portfolio analcolico che però ancora non soddisfa del tutto, per cui la scelta di Bidini è di lavorare molto su materie naturali come verdura, spezie e frutta, e dare il massimo del sapore con loro, sfruttando anche un po’ la loro consistenza. Rimanendo in zona, a Dubai, troviamo Francesco Galdi che dirige il beverage program del gruppo Buddha Bar, un’azienda che orgogliosamente si dichiara attenta al no alcol fin dagli anni Novanta: «Il mondo analcolico è forte e non è una novità. È come il tipo mingherlino in palestra che poi sfodera un addominale da invidia. Il mondo no-abv è agile, adatto a tutte le ore e tutte le occasioni, come i business lunch o gli eventi aziendali, ma anche ai bar sulla spiaggia. Parlando di numeri, nel Buddha-Bar Beach di Bodrum, tra i 5 cocktail più venduti 3 sono analcolici, con numeri simili in altri locali del gruppo. E a livello di beverage cost? Sono una manna del cielo!».

Seppur a Milano nella roccaforte di Cà-ri-co, Domenico Carella è a contatto costante con il mondo della ristorazione e degli chef stellati. Crea cocktail che accompagnano piatti e questo è ciò che dice: «L’abbinamento va vissuto come un completamento, mentre per abitudine il mondo del bere a tavola è stato accompagnato da vino e birre, non c’è motivo per pensare che un drink analcolico non possa accompagnare i piatti. Il vino o la birra hanno uno spettro di gusto che - seppur ampio - ha dei limiti. Un cocktail fatto “ad hoc”, sia esso con o senza alcol, può arrivare dove i fermentati più famosi non sempre arrivano».

Nei menu dei bar d'albergo...

Rimanendo a Milano, il team dello Stilla Bar del Four Seasons, capitanato da Luca Angeli, parla di un trend in crescita, soprattutto con i clienti stranieri. «La parte del menu dedicata al senza alcol segue gli stessi parametri dei cocktail tradizionali: ricerca su materia prima di eccellenza, creatività attraverso gli home made e struttura della carta che possa offrire soluzioni dall’all day al dopocena. Nell’ultimo anno il menu a grado zero ha registrato un +30% delle vendite». Non serve però andare all’apice dell’hotellerie per vedere che il movimento si muove di pari passo anche in strutture più semplici, come le tante presenti in ogni città turistica. Dario Dini - tra le rivelazioni di Baritalia quest’anno - è il barman degli Hotel degli Orafi di Firenze: «Ospitalità significa accoglienza, e nella stesura del menu, in un albergo che accoglie tante famiglie, accogliere significa pensare in primis alle esigenze di una famiglia. Quindi, cocktail per bambini come la burro-birra di Harry Potter  e analcolici per adulti con botanical spirits, bitter e vermouth a grado zero, cordiali e home made».

Un cambio anche di mood

Sempre a Firenze, il giovane talento Nicola Spaggiari lavora per The Stellar, bar all’interno di un centro di incubazione di start up. Un luogo di lavoro, ma anche di relax a fine giornata. Qui, da appassionato di botanica con un giardino  ben fornito, ha capito l’importanza del cocktail senza alcol e le sue possibilità. Non appassionato di prodotti commerciali, ha improntato la ricerca sulla conoscenza delle botaniche, sulla stratificazione e la complessificazione dei gusti, per arrivare a drink che possano abbinarsi ai piatti dai sapori intensi e corposi dello chef. La scommessa di breve periodo è quella di accompagnare i piatti esclusivamente con cocktail analcolici. La scommessa nostra è che, chiamatelo trend o meno, qualcosa sta cambiando. Un esempio su tutti il Mad, sempre a Firenze, che fino a non molto tempo fa scriveva a chiare lettere sul menu: “Non entreresti in un ristorante senza mangiare, non andresti mai in un bar senza bere”, a sottolineare l’impossibilità di bere qualsiasi cosa fosse analcolica. «Invece oggi - parola di Lorenzo Aiosa bar manager - ci tocca fare anche gli analcolici, anche se per ora solo su richiesta. La nostra scelta di anni fa non è vista più come una goliardata, ma come qualcosa di cattivo gusto».

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