Con Garage Gin, Nardini mette il giubbotto di pelle e salta in sella

Garage Gin Nardini
La storica distilleria veneta entra nel mondo del gin con un London dry artigianale, elegante e dalla forte identità, realizzato con 9 botaniche distillate con il prezioso alambicco a bagnomaria della casa

C’è chi apre un garage per rimettere in sesto un vecchio Maggiolino e chi, come Nardini, lo fa per distillare il futuro. Succede a Bassano del Grappa, dove da 246 anni si lavora in silenzio, lasciando che a parlare sia l’alambicco. Ma quando anche i maestri del silenzio decidono di entrare nel rombante mondo del gin, vuol dire che qualcosa di interessante sta per succedere. Si chiama Garage Gin ed è l’ultima creatura della storica distilleria veneta. Ma guai a chiamarlo “nuovo prodotto”. Sarebbe come dire che David Bowie era solo un cantante. Garage Gin è un’identità, un progetto, una dichiarazione di intenti. «Volevamo creare un gin che sapesse distinguersi per eleganza, profondità e versatilità, senza compromessi sulla qualità», spiega Michele Viscidi, amministratore delegato di Distilleria Nardini. E lo hanno fatto alla loro maniera: distillando nove botaniche con il prezioso alambicco a bagnomaria della casa.

Il gin, si sa, fa più views di una frase motivazionale su Instagram. Ma Nardini non si è fatta tentare dalle mode. Ha aspettato. Ha ascoltato. E poi ha parlato. Con un London dry autentico, rigoroso, artigianale capace di far ballare il tango anche a uno scozzese. «Un progetto che avevamo nel cassetto da tempo - racconta ancora Viscidi - e che abbiamo deciso di far nascere davvero quando è arrivata in azienda Alice Lucchi, responsabile marketing di Distilleria Nardini. Con lei abbiamo dato gas». E che gas. Garage Gin è prodotto interamente a casa, a Bassano. Niente outsourcing, niente trucchetti da illusionista. Alcol da cereali italiani e nove botaniche selezionate: ginepro, coriandolo, cardamomo, anice verde, finocchio dolce, verbena, melissa, elicriso e scorza d’arancia amara.

Per chi cerca autenticità e stile

A detta di Andrea Manzoli, il mastro distillatore, la difficoltà vera è «distillare tutte le nove botaniche contemporaneamente, bilanciando i tempi di rilascio e le proporzioni. Soprattutto quando hai a che fare con elementi delicati (e locali) come melissa e verbena». È un lavoro da artigiani della nuance, non da alchimisti improvvisati. E l’alambicco a bagnomaria, con la sua delicatezza termica, è lo strumento ideale per conservare questi equilibri aromatici, «come se il calore ti accarezzasse invece di bruciarti».

Nel frattempo, Alice Lucchi sorride e puntualizza: «Si pronuncia come vuoi Garage alla francese o Garage alla Fast&Furious. Ma ognuno lo chiami come vuole, ed è bello anche così». Lei ha le idee chiare, non solo sulla pronuncia. London dry, filiera corta, packaging sostenibile e design che grida Bassano con la raffinatezza di chi sa che la tradizione non è una catena, ma una bussola. La bottiglia in Wild Glass, vetro riciclato al 100%, è una carezza alla coscienza ecologica. Il logo in rilievo e la mappa stilizzata della città sul retro-etichetta sono invece un bacio al territorio. «Il rispetto per la nostra terra è nel Dna di Nardini - continua Lucchi - non volevamo solo un buon gin, ma un gin che raccontasse da dove arriva e perché esiste». Garage Gin non è nato per piacere se non a tutti a molti. È nato per chi cerca «autenticità e stile», per chi ama quei prodotti che raccontano qualcosa di vero. È come far ballare il tango a uno scozzese. E a chi storce il naso pensando che Nardini, patria della grappa, si metta a fare gin, rispondono così: «Gli alpini possono stare tranquilli: la grappa resta il nostro cuore. Ma il gin è la nostra mente che esplora».

Metodo antico e spirito contemporaneo

La presentazione ufficiale al Dry Milano è stata un brindisi al coraggio. Nei bicchieri, tre signature drink: Garage Gin Tonic, Nardini Gimlet e Nardini Gin Basil. Dietro il bancone, Edris Al Malat, bar manager pluripremiato e molto veneto, che ha guardato il bicchiere, poi l’etichetta, poi di nuovo il bicchiere e ha sussurrato: «Ci credevo e all’assaggio Garage ha dimostrato tutto il suo carattere da duro col cuore tenero». Gli si sono illuminati gli occhi. Quelli di uno che ne ha viste tante. Compreso il Premio Nardini Bar Manager dell’anno agli ultimi Barawards di Bargiornale.

Garage Gin esce con un prezzo al pubblico di 23,90 euro. Una scelta non casuale, spiega Lucchi: «È una fascia di mercato poco presidiata ma in crescita. Vogliamo portare qualità e carattere a un pubblico che cerca il meglio senza spendere una fortuna». È una sfida alla banalità, al marketing usa-e-getta, ai prodotti che si dimenticano prima ancora di finire la bottiglia. In fondo, Garage Gin non è solo un gin. È un’idea limpida, distillata con metodo antico ma spirito contemporaneo. È nato nel “Garage Nardini” dove le intuizioni si accendono come fari nella nebbia e ha preso forma in un alambicco vero, sotto lo sguardo paziente di chi lavora con il tempo, non contro. È la prova che anche chi porta 246 anni di storia sulle spalle può dire qualcosa di nuovo e farlo senza urlare. Qui non si riparano motori: si raddrizzano sguardi. E quando stappi la bottiglia, non esce solo gin. E qui esce una domanda sottile, quasi balsamica: quanto costa, oggi, restare autentici?

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