Quando nel pieno della pandemia si navigava a vista e il settore dell’ospitalità (come quasi tutti) era alla ricerca di una bussola, Milo Occhipinti ha deciso di fare le cose alla sua maniera. Nel 2020 ha infatti aperto Unseen, a Milano: un locale come non si era mai visto, che nel giro di pochissimo è diventato l’indirizzo più ricercato dalla comunità notturna della città, gremita di artisti underground, creativi, sex workers, musicisti, grafici, alla ricerca di un luogo completamente nuovo e in qualche modo spiazzante. Lo abbiamo incontrato poco dopo gli ultimi Barawards, un buon momento per una “intervista scomoda”.
A inizio anno i Barawards in Italia, nel corso dei mesi fioccano le premiazioni internazionali. Ti piacciono questi eventi?
Vanno osservati e valutati su due piani differenti: è piacevole avere occasioni dove ritrovare l'industria e fare network in modo leggero, perché considerando il tipo di vita che facciamo non è mai facile vedere spesso i volti che vorremmo. Umanamente hanno senso, è l'aspetto dell'assegnazione di valore ad averne meno: non sono un grande fan del giudizio, se qualcuno è stato migliore vuol dire che qualcuno è stato peggiore, non apprezzato o addirittura escluso. Io non ho mai fatto grande attività sociale o promozionale, è vero, ma Unseen non è mai stato considerato per nessun premio relativo all’innovazione o alle rivelazioni, cosa che mi sembra sinceramente strana.
In che modo Unseen ha spaccato il mercato?
È stato il contrario di tutto ciò che si vedeva prima. Un progetto per certi versi violento, che si è imposto in un momento storico molto poco inclusivo come quello relativo alla pandemia, dimostrando che le cose potevano farsi in maniera nuova. È stato il contrario degli speakeasy, che non detesto ma prendo come capostipiti di un trend, sono stati anche maestri per certi versi. Unseen è stato capostipite dell’esatta antitesi: prima di Unseen non esistevano in Italia bar che lavorassero così, di certo per la parte grafica e per la struttura con uno sharing table e senza bottigliera, ma anche per una comunicazione social dirompente, un team fatto da una sola persona, cocktail completamente innovativi, dato che nel 2020 nessuno lavorava con fermentazioni o ricette disco.
Pensi che ci vorrebbero mille Unseen, che sia un modello da replicare per tutti i locali?
Assolutamente no. Diventerebbe altrettanto noioso, mentre per fortuna quelle come Unseen sono aperture che si susseguono ciclicamente, e ci sta che siano episodi sporadici e magari rari, altrimenti non sarebbero così dirompenti. Penso servirebbe un panorama più eterogeneo, tutto qui.
«emozioni e stupore? a milano non li provo più da anni»
Della recente (ri)apertura del 1930, noto speakeasy milanese, hai ironicamente detto: “Se ne sentiva il bisogno”. Perché?
Ho evidentemente un problema personale con la tradizione e la convenzionalità. Dieci anni fa alcune cose erano avanguardistiche, oggi sono mainstream. Quelle stesse menti geniali che hanno partorito idee simili dieci anni fa, possono riproporre solo loro stessi? Secondo me potrebbero fare molto di più.
Di cosa si sente il bisogno allora?
Ho girato molto nell'ultimo anno, alcune cose mi hanno stupito ed emozionato. A Milano sono svariati anni che non provo più queste emozioni e questo stupore: servirebbero idee che possano guardare oltre, perché tutte le nuove aperture sono fatte di qualità eccelsa, certo, ma nulla di così audace da farmi emozionare.
Una parola per descrivere il sistema bar italiano.
Acerbo.
Perché?
Perché sento che ci sono molta voglia, potere, potenziale, intraprendenza, ma non vedo le effettive manifestazioni di queste cose. Ci sono talenti giovani, tentativi di innovazione, metodo e storia, poi alla fine ci ritroviamo sempre i soliti quattro gatti a dire le stesse cose. C'è forse troppa timidezza, ci vorrebbe qualcosa di potente.

Serve più trasgressione?
La trasgressione fine a se stessa non basta. Servono trasgressione e potenza, anche da un punto di vista economico magari. Unseen è nato con tanta trasgressione e potenza medio-bassa, intendo proprio in termini di mezzi a disposizione, però sono soddisfatto. Mi piacerebbero più progetti a unire queste due grandezze.
Unseen ha una politica relativamente rigida riguardo alle richieste degli ospiti, che non possono chiedere nulla che non sia in menu. Cosa che in qualche modo contrasta con l’idea generale di bar, dove anche i classici fuori carta si possono richiedere sempre, tranquillamente. È ospitalità anche questa?
Questo è un aspetto naturale. Non siamo più negli anni Venti, durante i quali talmente pochi erano i luoghi dove bere che potevi chiedere qualsiasi cosa. Adesso siamo super saturi, l'unico modo per offrire qualcosa di diverso, è offrire qualcosa di diverso: perché una persona dovrebbe venire da me, se non per quello che ho da offrire io, operando una scelta?
Qual è la cosa che più detesti del bar in questo momento?
Le classifiche e le competition perché includono delle classifiche. Cerco di combattere questo senso comune di egoriferimento, di arroganza.
Quale, invece, quella che apprezzi di più?
Apprezzo che l’industria si stia depurando molto, la qualità dell’accoglienza sta migliorando. E che ci sia varietà umana. L’ospitalità è un fedele specchio della società ed è positivo vedere come sempre più personalità ci si approccino.
Questa positività si può coltivare?
Sì, ma è necessario un cambio generazionale in qualche modo. Vorrei magari che i bartender più esperti della industria italiana mollassero un po' la sedia, facessero più da mentori che da protagonisti, e in generale ci fosse più spazio per i giovani.
Come fanno i giovani a potersi affermare, senza sufficiente esperienza?
Non esiste solo l'esperienza: certo ha un valore enorme, ma a volte contano allo stesso modo il coraggio, un'idea ardita, il fare qualcosa che nessuno ha fatto prima.
«non sono interessato ai cocktail. mi piace prepararli, ma non berrei nemmeno i miei»
Ci sono degli esempi di bar che ti piace frequentare?
In questo momento non sono molto interessato al mondo dei cocktail; mi piace prepararli, ma non berrei nemmeno i miei. È più una questione umana, che di contenuto dei bicchieri. Ho adorato ad esempio un locale di Tokyo dove ho trovato due bartender che fumavano dietro al banco, versavano solo vodka, soda e birrette, e mi permettevano di mettere la mia playlist.
Cosa serve alla industry italiana per una spinta?
Maggiore apertura verso l'estero, siamo indietro sotto più punti di vista, anche se va detto che il consumatore è il primo a dover essere meno conservatore, sperimentare. Ed è importante che la vecchia guardia molli la presa, dia spazio ai giovani e i brand si fidino di più della creatività delle nuove leve.
Se questo non avviene, in che direzione si va?
Si mantiene lo status quo.
E va bene così?
Questo lo decide il pubblico. Ma se si ha un atteggiamento così conservatore, la storia insegna che ci saranno derive estreme come quella di Unseen, perché non ci si può fossilizzare per sempre. Tutta questa tradizione, che è preziosa, corre anche il rischio di essere fonte di smarrimento.