Mixology trend dal Sud America, la nuova frontiera della miscelazione

Mixology trend Sud America
La classifica 2019 dei World’s 50 Best Bar certifica l’ascesa dell’America latina nella mappa dell’eccellenza del bere miscelato. Nonsolococktails li ha invitati in Italia: e noi abbiamo cercato di carpirne segreti e visioni

Per il mondo della miscelazione, l’America Latina è stata una frontiera finora poco esplorata. Ci ha pensato la classifica dei World’s 50 Best Bars 2019 a puntare i riflettori su questa area del mondo, innalzando ai vertici mondiali una nutrita pattuglia di locali sudamericani. Per alcuni, come il Floreria Atlantico di Buenos Aires o il Guilhotina di San Paolo, si è trattato di una, peraltro in ascesa, riconferma; per altri come il peruviano Carnaval di Aaron Diaz, di un ingresso trionfale nell’Olimpo più ambito dai professionisti del settore.
Quindi, secondo il panel che dà vita all’ambita classifica, la nuova frontiera della mixology andrebbe cercata a cavallo delle Ande, in un continente dove le influenze culturali, native ed europee, si sono integrate da secoli e dove la natura da millenni regala colori, profumi e sapori che contribuiscono a dare una marcia in più anche ai cocktail.
Qualche mese fa Milano ha avuto l’occasione di ospitare, in occasione del lancio di Nonsolococktails-La scuola, il nuovo progetto educativo di Mattia Pastori e Alessandro Melis, una straordinaria masterclass con i migliori barman sudamericani saliti all’onore delle cronache recenti. Ne è venuto fuori una sorta di simposio dove talento e tecnica si sono mescolate a consigli di management e di comunicazione.
Tutti i protagonisti non solo gestiscono locali di riconosciuto successo, ma viaggiando e collaborando con altre realtà e colleghi sparsi nel mondo, compongono un punto di osservazione privilegiato per scovare i nuovi trend nel mondo del bere miscelato: da quali distillati godranno secondo loro di nuovo successo a quali sono i segreti per gestire un bar dalla risonanza internazionale.
A seguire, pensieri e parole di Roberto Berdecia (La Factoria, San Juan, Porto Rico, 32mo nei 50 Best), Márcio Silva (La Guilhotina, San Paolo, Brasile 15mo), Aaron Diaz (Carnaval Bar, Lima, Perù, 13mo) e Renato “Tato” Giovannoni (Floreria Atlantico, Buenos Aires, Argentina, terzo).

Roberto Berdecia, La Factoria - San Juan (Porto Rico)

Semplicità, replicabilità, coerenza: sono i pensieri che stanno alla base di come Roberto Berdecia, a capo di un “piccolo paese” come La Factoria (sei locali in uno, mille clienti al giorno) vede il futuro della miscelazione. Un futuro in cui la cura del cliente, sempre più consapevole e informato («Abbiamo sempre investito tempo e risorse nella trasmissione della cultura del cocktail»), sarà sempre più importante rispetto alla cura dei cocktail. Che, a loro volta, cambiano faccia: «Un paio d’anni fa si cercava l’ingrediente raro, “l’arancia particolare che cresceva solo in un angolo della Cina”, ma oggi si preferiscono ingredienti facili da reperire e da usare, che ti rendono la vita più facile e ti assicurano il mantenimento di uno standard. Noi cerchiamo di usare più prodotti locali possibili, ma la cosa più importante resta la freschezza.  A Porto Rico diciamo che la gente “mangia con gli occhi”. Ciò significa che la presentazione, per un cocktail, è fondamentale: dev’essere attraente. Fare presentazioni semplici ma molto eleganti oppure creative? C’è spazio per entrambe le strade».  Nessun dogma neanche per la cocktail list: «Può essere lunga o breve, cambiare spesso o meno: l’importante è che sia il menu che funziona meglio nel tuo bar». Nel campo degli spirit, Berdecia è pronto a scommettere sul rum: «Ai Caraibi resta il leader, ma sta crescendo in tutto il mondo. Crescono velocemente anche Tequila e mezcal, ma hanno ancora molta strada da percorrere».
Le parole su cui costruire il successo? «Consistenza e passione. Senza la seconda inutile nemmeno provarci. La prima va costruita e mantenuta giorno dopo giorno. E fa la differenza fin dal primo giorno. A patto che uno si impegni a offrire sempre il meglio: parlo di ingredienti, musica, servizio ecc. Le persone lo riconoscono. Ma senza esagerare con i ricarichi».

Márcio Silva, Guilhotina – San Paolo (Brasile)

Per Marcio Silva il cocktail è un ingrediente, quasi un pretesto. Perché nel suo locale quello che si distilla e si dispensa è altro: puro divertimento. «Il cuore del nostro lavoro non sono gli spirit o i cocktail, sono le persone. Quindi il nostro compito è di essere le persone migliori possibili e imparare a gestire i collaboratori in modo da creare un team esuberante. Il successo di un locale si costruisce sul rapporto umano, con chi lavora e con gli ospiti che ci vengono a trovare».
Quanto ai cocktail «Al Guilhotina mescoliamo tanti stili diversi, ma il nostro obiettivo resta di essere così minimalisti da riuscire a diventare semplicemente “wow”.  Naturalmente il tipo di proposta dipende dal locale: noi siamo in una città dove fa caldo tutto l’anno, quindi cerchiamo di proporre cocktail rinfrescanti e di creare ricette che ci permettano di mantenere lo stesso standard in tutte le stagioni». Le tendenze che Silva identifica nella miscelazione sono il diffondersi delle nuove tecniche di lavorazione rese possibili dallo sviluppo delle tecnologie e la crescita dell’utilizzo di spirit invecchiati. «La creazione di home made permette ai bartender di sviluppare nuovi modi per esaltare gli ingredienti del proprio Paese, diffondendo il sapere e la cultura del posto dove vivono e lavorano. Per questo credo che avrà un ruolo sempre più rilevante.
Parlando di spirit, credo che vedremo un uso ancora più importante dei distillati invecchiati in miscelazione, sulla scia di quanto sta già avvenendo con i rum e i whisky. Ma nei cocktail bar crescerà molto anche la presenza di aperitivi e di vini».

Aaron Diaz, Carnaval Bar – Lima (Perù)

La cocktail list Alquimia, marchio di fabbrica del Carnaval Bar, è un prodigio di inventiva e di ispirazione: dalla ciotola con dipinta sul fondo la “notte stellata” di Van Gogh al drink servito in un cobra in assetto d’attacco, ogni contenitore è una scultura che contribuisce in maniera determinante a rendere ogni drink unico e inimitabile. Una lucida follia capace di convivere perfettamente con una drink list di classici presentati in maniera altrettanto “classica”.
«La sperimentazione è l’anima di un bar - spiega Aaron Diaz, la mente creativa e organizzativa del Carnaval Bar -, ma non deve mai essere fine a se stessa».
Non per niente, i suoi “tre comandamenti” sono un misto di mente, cuore e anima: «Essere organizzati. Essere stimolanti. Essere accoglienti».
Come reagiscono i clienti alle “provocazioni” che propone il menu Alquimia? «Fortunatamente sono molti che si lasciano tentare. La curiosità è decisamente in crescita, ma anche una certa consapevolezza al momento della scelta. La maggior parte dei nostri clienti sa cosa scegliere e non ha bisogno di essere consigliato».
E la consapevolezza è la parola chiave nella costruzione della drink list:  «Noi usiamo tutto ciò che riteniamo utile per definire al meglio un determinato cocktail: prodotti locali, preparazioni home made ecc.». E gli spirit? «Siamo fieri che il nostro prodotto nazionale, il Pisco, sia tornato ad avere un ruolo da protagonista. Ma al Carnaval proponiamo drink con gin, vodka, rum e whisky e abbiamo una lista specifica per Tequila e Chartreuse».

Renato “Tato” Giovannoni, Floreria Atlantico – Buenos Aires (Argentina)

«La nostra forza, mia e dei miei colleghi, è nell’autenticità e nel voler valorizzare le nostre radici. Il che significa per esempio studiare e utilizzare al meglio ciò che la nostra natura e il nostro territorio hanno da offrire». Renato “Tato” Giovannoni è la punta di diamante della miscelazione sudamericana. La sua Floreria Atlantica, aperta nel 2013, ha scalato anno dopo anno le classifiche dei World’s 50 best fino ad installarsi nel 2019 alla terza posizione. «Il segreto? Qualità assoluta dei prodotti e accuratezza delle tecniche d’esecuzione, insieme all’estro creativo, sono le basi del nostro lavoro.  Usiamo molto i prodotti argentini: fiori, piante, radici. È sempre stato un pilastro della filosofia del nostro locale la valorizzazione delle materie prime locali come la yerba mate, la quinoa o la muña. Vogliamo valorizzare una mixology che sia argentina, quindi identificativa». Questo passa anche per la produzione in proprio della versione locale di diversi spirit:  dal gin Príncipe de los Apóstoles con yerba mate, pomelo ed eucalipto alla nuova vodka di frumento in arrivo.
Dal gusto alla presentazione: «L’estetica è importante. Lo dimostra anche l’attenzione con cui scegliamo i bicchieri che usiamo. Tuttavia quello che ricerchiamo è l’equilibrio visivo piuttosto che gli effetti speciali scenografici».
Il mix ideale non va però cercato solo all’interno del bicchiere: «Ogni bar dovrebbe curare un mix di cose che creano l’atmosfera e permettano di stare bene, di divertirsi. Noi vogliamo che chiunque entri al Floreria si trovi a proprio agio, a prescindere da come è vestito, da quello che beve o da quanto può spendere».

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