San Francisco è nota per le sue estati fresche, le nebbie, le colline ondulate, i tram e il Golden Gate Bridge. Per i buongustai, San Francisco rappresenta il meglio, insieme a New York. Offre piatti di ogni cucina etnica immaginabile, frutti di mare freschi, vino della Napa Valley e superbi cocktail bar a ogni isolato, tre dei quali inclusi nella Top 100 mondiale: Trick Dog, Tommy’s Mexican Restaurant e Abv. L’importanza di San Francisco nella mappa globale dei cocktail non è una sorpresa. Dopo tutto, la città è accreditata per essere stata la culla dei vari Martinez, Blue Blazer e Mai Tai. Bargiornale ha fatto un giro nella “City by the Bay” per scoprire il meglio nel panorama dei cocktail bar locali, con approfondimenti da parte degli esperti californiani Camper English, Matt Rooney e del bartender italiano Massimo Stronati, oggi in pianta stabile nel Golden State.
Cocktail e cibo a km zero
Per avere una prospettiva italiana abbiamo chiesto a Stronati, bar manager dell’Enoteca Vina nella vicina Palo Alto, la sua opinione sulla mixology californiana. «I cocktail program nella Bay Area - dice - sono in linea con un concetto diffuso nella cucina locale: si punta su ingredienti freschi, con prodotti che passano direttamente dal produttore al consumatore, ad esempio gli agrumi. Il che si traduce in bevande fresche e più gustose». Come risultato dell’apprezzamento per i prodotti a km zero, San Francisco si trova in prima linea nella scena dei ristoranti-bar.
Il più caratteristico della Bay Area è il Nopa, il migliore secondo l’esperto Matt Rooney. «Nopa - sottolinea - ha svolto un ruolo importante nella trasformazione della scena della West Coast del cibo e del beverage dal produttore al consumatore. Laurence Jossel, insieme al partner Jeff Hanak e alla moglie Allyson Jossel, ha aperto il Nopa in un locale che una volta era una fatiscente lavanderia self-service. Questo ristorante ha riqualificato l’affascinante zona di Panhandle e ha ridefinito la scena culinaria notturna della baia. Nopa propone cucina biologica, utilizza la cottura a legna e serve in media 700 clienti a sera. Il trio ha ritenuto fondamentale presentare una carta dei cocktail che rispecchiasse la loro visione dei prodotti “dalla fattoria alla tavola”. L’attuale menu è affidato a Yanni Kehagiaris, uno dei barman più creativi di San Francisco. I drink sono innovativi e in perfetta sintonia con piatti preparati sul fuoco a legna, come il succulento hamburger. Non solo: i “beer cocktail” di Nopa sono intriganti e fuori schema, visto che non viene usata una sola goccia di birra per prepararli! Il cocktail Flanders Red, per esempio, ha un sapore molto simile alla classica ale acida Flanders Red ma contiene old genever, Cherry Heering, bourbon, aceto di vino rosso e soda».
I nuovi tiki bar
San Francisco è anche un centro di eccellenza di bar a tema tropicale, dei Tiki bar e, più in generale, di tutti i locali che offrono cocktail a base di rum. Non a caso è a Emeryville, al di là della baia, che, negli anni Trenta, è stata posata la prima pietra di quella che è oggi la catena di ristoranti in stile polinesiano Trader Vic’s. «San Francisco - puntualizza Stronati - ha una tradizione di prodotti esotici usati nei drink grazie alla sua baia che funge da grande porto commerciale. L’apripista della nuova era dei Tiki bar è lo Smuggler’s Cove, che propone una delle più imponenti collezioni di rum del mondo». Altri però stanno aprendo e con successo. Camper English, uno dei più influenti esperti di drink americani, arriva persino a dire che il fenomeno Tiki bar è destinato a rivaleggiare con i tanti speakeasy di San Francisco. «Ci sono in particolare due tiki bar, aperti nel 2018, che stanno cambiando il volto alla categoria. Hanno un’atmosfera più dark e meno festaiola rispetto a quelli tradizionali. Uno è il Lost Rites, che sembra un aereo schiantato su un’isola di cannibali; l’altro è lo Zombie Village che ricorda le cupe atmosfere di una cerimonia voodoo!».
Con tutto il parlare che si fa di rum nel mondo, è facile prevedere che altri locali in Italia seguiranno le orme del Nu Lounge di Bologna e che la categoria dei bar tropicali, anche dalle nostre parti, sarà un affare sempre più serio. Ma più in generale è l’esotismo che sta conquistando stuoli di seguaci. E in questo filone, il più celebre è probabilmente il Tommy’s Mexican Restaurant di San Francisco.
Il santuario del tequila
Tradizione e ospitalità sono protagoniste in questo bar messicano a conduzione familiare, che vanta la più grande collezione di Tequila del mondo. Aperto da Tommy Bermejo e sua moglie oltre 50 anni fa, il locale ora è gestito dal figlio Julio, ambasciatore mondiale del Tequila grazie alla sua straordinaria conoscenza del distillato di agave. Julio è da sempre un sostenitore del Tequila al 100% di agave e stimola le persone a bere solo distillati di alta qualità e attraverso la formazione (nel suo bar) e i suoi corsi di perfezionamento (in tutto il mondo) ha cambiato la percezione del pubblico nei confronti del Tequila. Bermejo ha anche fondato il Blue Agave Club, per far conoscere la produzione e la storia del distillato. La parte divertente è che si studia il Tequila bevendolo in purezza o nel famoso signature della casa, il Tommy’s Margarita (2 once di Blanco o Reposado Tequila, 1 oncia di succo di lime fresco, 0,75 once di nettare d’agave). Ma cosa rende così buono questo drink? L’abbiamo chiesto al bartender Greidy: «Non abbiamo segreti, solo lime fresco spremuto e agave». Se si ha fiducia nella propria conoscenza del Tequila, è possibile sfidare le prove scritte di Julio per diventare Maestro, Dottore o perfino Semidio di Tequila. I migliori allievi-clienti possono così degustare Tequila ultrarari o avere l’opportunità di visitare Jalisco, in Messico, in compagnia di Julio e di altri esperti. Forte della grande esperienza di ospitalità al bar, Julio fidelizza i clienti attraverso oggetti a marchio, tra cui magliette e bicchieri e gadget personalizzati.
West coast, stile casual
Massimo Stronati sostiene che il segreto del successo di San Francisco nel mondo bar consiste nel suo stile di vita semplice, dove l’ospitalità è la priorità numero uno. «A San Francisco l’ospite viene sempre al primo posto. L’ultima acquavite distillata prodotta con un Rotovapor è un pensiero di secondo piano per un cocktail bar della costa occidentale». In controtendenza rispetto al moderno speakeasy o al neo-tiki bar è l’Abv, il cocktail bar per eccellenza della costa occidentale. Il bar minimalista con interni grigio ardesia e legno si trova nella parte più pittoresca del quartiere Mission. L’Abv conquista con pochi, ma seducenti ingredienti; un esempio è il Tarragon Fix (Tequila blanco, lime, ananas, dragoncello), omaggio a un drink della hall of fame dell’Abv, il Tarragon Collins (gin, limone, dragoncello, soda). O il nuovo cocktail Fogerty, preparato con 2 oz di rye whiskey, 0,5 oz di Campari, 0,25 oz di crème de cacao e 2 spruzzi di bitter all’arancia. Il tutto accompagnato da un eccellente selezione food, con l’hamburger protagonista indiscusso. Nel locale non esistono differenze di mansioni del personale: tutti partecipano al servizio dei cocktail, tutti servono come camerieri, tutti puliscono per terra. Con tanti saluti agli egocentrici.
Ancora. Pacific Cocktail Haven, spesso abbreviato in Pch, è considerato un’ottima via di fuga dalla zona turistica di Union Square. Come l’Abv, Il Pch ha una atmosfera friendly da bar di quartiere. Il manager Kevin Diedrich spiega l’origine della sua insegna: «Pacific Cocktail Haven nasce per ragioni geografiche, ma anche dal fatto che molti ingredienti sono di origine giapponese, asiatica e di tutto il Pacifico». Così in carta ci sono punch in stile Tiki, drink a basso contenuto alcolico e cocktail complessi, da meditazione, come Ultra Magnus, con Highland Park Ultra Magnus, Laird’s Applejack brandy, acero, susina ume giapponese e bitter. Nella carta c’è pure un’interessante rielaborazione del Negroni: è il Leeward Negroni con Sipsmith Vjop Gin, Campari con infusione di cocco, cordiale pandan e bitters. Camper English lo descrive così: «Una variazione del Negroni con una qualità terrosa derivata dal pandan e una finitura quasi oleosa creata dal Campari al cocco». Il Pch è conosciuto anche per la sua attenzione verso il ghiaccio. Racconta Diedrich: «Miscelando con ghiaccio di buona qualità si possono ottenere risultati migliori in termini di temperatura, texture e diluizione. Le varietà di ghiaccio - in scaglie, a cubetti, in pezzi grossi o normali - fanno la differenza. Una volta alla settimana compriamo blocchi da 130 kg e li tagliamo con una motosega e una sega a nastro. Un lavoro fatto con amore».