Il secolo del Negroni

Negroni - foto Di Antonella Bozzini per Bargiornale Cocktail Pro
Bargiornale Cocktail Pro - foto di Antonella Bozzini

Sono migliaia i locali in tutto il mondo che hanno dato il via ai festeggiamenti in onore del Negroni, nell’ambito della Negroni Week, la manifestazione internazionale in corso fino al 30 giugno, che dal 2013 celebra il re degli aperitivi italiani. A rendere ancora più speciale l’appuntamento il fatto che proprio quest’anno si celebra il primo secolo del Negroni.

Eppure il 1919, presunto anno di nascita del cocktail, appare come una data fittizia. Una convenzione che ci si è dati per tagliare corto. Sull’anagrafica del Negroni abbiamo interpellato il ricercatore più appassionato, scrupoloso e intransigente. È Luca Picchi, autore della monografia “Negroni Cocktail una leggenda italiana”. «Non c’è scritto da nessuna parte che il Negroni sia nato esattamente nel 1919. La forbice temporale della sua nascita va dal 1917 al 1920. Per risolvere la questione della datazione ho fatto riferimento a un documento specifico. La lettera, datata 13 ottobre 1920, dell’antiquario Francis Harper, confidente del conte Camillo Negroni. Nella missiva Harper raccomanda all’amico di non bere più di 20 Negronis al giorno».

La forbice temporale

Per Picchi è la prova inconfutabile che colloca la nascita del cocktail prima di tale data e più precisamente tra il 1917, anno in cui il barman Fosco Scarselli riesce a raggiungere Firenze dalla prigionia in Germania, e il 1920. Interrogato sul tema quattro decenni dopo Scarselli cita testualmente in un’intervista apparsa su Gente il 30 novembre 1962.  «A quei tempi al Casoni di Firenze era di gran moda bere l’americano. Beveva l’americano anche il conte Camillo Negroni, ma lo voleva un po’ più robusto. Io gli aggiungevo qualche goccia di amaro. (...) La sua abitudine di aggiungere qualche goccia di amaro all’americano a poco a poco contagiò gli altri clienti. Venivano da me e mi chiedevano un cocktail come quello del conte. Poi dopo un po’ cominciarono a dire soltanto: un Negroni». No, nessun refuso, in questa intervista si dice due volte “amaro” al posto di gin, due volte gocce al posto delle tre celebri parti uguali a cui siamo tutti abituati.

Com’è possibile che il barman abbia dato o che il giornalista abbia riportato una versione diversa? Tanto più che l’anno prima il Negroni era finito tra i 50 drink della prima cocktail codificazione Iba nella versione conosciuta da tutti noi. Andiamo avanti. Tra gli anni Venti e il 1939 abbiamo un buco tempo temporale. Il nome del cocktail “Negrone”, scritto così probabilmente per facilitare la pronuncia agli americani, appare per la prima volta nel ricettario Cuna del Daiquiri. Nella lontanissima Cuba. Evidentemente il drink aveva valicato i confini nazionali e continentali per rimbalzare prima negli Stati Uniti e di riflesso nella meta più glamour dei turisti americani del tempo: L’Avana.

Proseguiamo. Perché nella nostra ricostruzione ci sono ancora tanti interrogativi. Il primo ricettario in Europa a citare un cocktail praticamente identico al Negroni è L’Heure du Cocktail di Requien e Farnoux-Reynaud (stampato nel 1927). Il drink, pensate un po’, si chiama Mussolini ed è stato creato da un certo Charlie Castelloni dell’Ermitage di Parigi. Che in realtà è il lodigiano Carlo detto “Charlie” Castellotti e nella capitale francese è una specie di pop star. Domenico Maura, autore di una ricerca unica sui barman italiani che hanno fatto la storia, scrive che Castellotti riceveva 7.000 cartoline ad ogni Natale dai suoi clienti. Nel 1936 Elvezio Grassi in Mille Misture cita un altro drink del tutto simile al Negroni. È un certo “Tortoni Cocktail, specialità del Caffè Tortoni di Buenos Aires, anno 1912”. Che il Negroni fosse già diffuso grazie alle prime migrazioni di italiani in Argentina? Dobbiamo arrivare al 1949 per trovare la prima menzione scritta del Negroni in un ricettario europeo. In El bar: Evolucion y arte del Cocktail di Brucart la ricetta del Negroni recita: ¼ de vermut italiano, 2/4 de Campari, ¼ de gin. A questi buchi temporali fa da contraltare l’enorme successo e diffusione del drink a partire dal Dopoquerra e, ancor di più, dal decennio che seguì: quello della Dolce Vita. Orson Welles, nel 1947 è a Roma e scrive a un giornale americano raccontando del Negronis: “Il bitter è eccellente per il fegato, il gin gli fa male. Insieme si equilibrano”. Nel 1950 Ernest Hemingway cita il Negroni nel romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi. E lo scrittore Ian Fleming lo fa bere nel racconto Risiko (parte dell’opera For your eyes only) all’agente 007. 

Il resto è celebrazione quotidiana. Con le rivisitazioni eccellenti (Cardinale di Giovanni Raimondo, Roma, 1950 e Negroni Sbagliato di Mirko Stocchetto, Milano, 1972) e le migliaia di twist on classic dei bartender di tutto il mondo.

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