Il mercato dei pesi piuma

Analcolici e low alcohol stanno facendo girare la testa ai 10 principali mercati. Nel 2022 i no&low hanno superato gli 11 miliardi di dollari. E il 2023 segnerà la consacrazione di spirits dealcolizzati, hard seltzer, rtd, fermentati, succhi, birre e vini analcolici. Come quelli made in Napa Valley

Secondo gli ultimi dati forniti da Iwsr la categoria degli analcolici e leggermente alcolici ha superato, a fine 2022, gli 11 miliardi di dollari. Nel 2018 i miliardi erano otto. E per il 2026 le previsioni di crescita per la categoria, sempre a livello mondiale, parlano di un incremento pari al 33,3%.

L’exploit dei “pesi piuma”, a livello globale, è trainato dalla crescente domanda dei consumatori. Codificati con la sigla di No&Low alcohj, birra, sidro, vino, spirits senz’alcol e ready-to-drink sono cresciuti di oltre il 7% in volume nei 10 mercati chiave nel 2022. Parliamo di Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, Giappone, Sud Africa, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti.

Si prevede che nei prossimi quattro anni il ritmo di crescita supererà quello dell’ultimo quadriennio con una variazione del +7%, rispetto al +5% del 2018-22. I prodotti no-alcol rappresenteranno la punta di diamante di questa crescita, che dovrebbe rappresentare oltre il 90% dell’incremento complessivo dell’intera categoria. Questo exploit viene da lontano. Nel settore del fuori casa, già dal 2016 tutte le principali catene di pub della Gran Bretagna si sono attrezzate per avere almeno una birra analcolica alla spina. Nei cocktail bar - soprattutto quelli frequentati da una clientela tra i 20 e i 35 anni - appaiono sempre più spesso i menu a grado zero. Oltre il 43% degli adulti in tutti i mercati di riferimento dicono di preferire i No&Low agli alcolici per non astenersi completamente dall’alcol e bere con moderazione durante le occasioni di convivialità. Mentre la Germania e la Spagna sono mercati più grandi e più maturi per no/low alcol, il Regno Unito e gli Stati Uniti sono due dei più dinamici, e stanno crescendo ad un ritmo più veloce.

Una famiglia articolata...

Come si accennava all’inizio, della famiglia dei pesi piuma fanno parte diverse tipologie di prodotti. Cominciamo dai non alcoholic spirits. Sono spiriti senza alcol ispirati ai gin, ai vari botanical spirit, agli amari, ai vermouth, agli aperitivi. Sono destinati ai guidatori, a chi per motivi di salute o religiosi non può bere, a chi semplicemente vuole partecipare a momenti conviviali, ma senza bere alcolici. I non alcoholic spirits sono pensati sia per cocktail sia per mocktail, la versione premium dell’analcolico della casa, del tutto simile nell’aspetto al cocktail vero, ma molto diverso nel gusto e nella sostanza. Sono prodotti adatti anche a diventare ingredienti aromatici in cocktail alcolici: per dare un tocco di sapore, ma senza alzare il numero di ottani e mandare il consumatore fuori giri.

Gli “spiriti liberi dall’alcol” sono esplosi a partire dal 2015 e oggi sono una realtà in crescita sul nostro mercato. Della categoria no alcohol fa parte anche una famiglia ultramillenaria. Parliamo dei fermented drinks. Le bevande fermentate sono tipicamente composte da succhi di frutta, infusioni di erbe, tè verde e nero messi a coltura e fatti fermentare per un certo tempo. Questo genere di bevanda è riconosciuto come ottima fonte di probiotici. La fermentazione è un processo naturale, svolto da lieviti, batteri o entrambi questi organismi, in seguito al quale i carboidrati vengono trasformati in alcol e anidride carbonica o in acidi organici, in assenza di ossigeno. È un metodo utilizzato da migliaia di anni per conservare il cibo e aumentarne il contenuto nutrizionale, ed è presente in ogni cultura: il miso in Giappone, il kombucha cinese, il lassi indiano, il kefir, le bevande allo zenzero, sino ai sottaceti presenti molto spesso sulle nostre tavole. Le bevande fermentate sono richieste dai  consumatori alla ricerca di nuovi modi per assumere più probiotici e ingredienti naturali. Secondo gli analisti il mercato delle bevande fermentate dovrebbe crescere dai 23,1 miliardi di dollari del 2017 ai 35,6 miliardi (previsione fine 2022). I dati di Nielsen parlano, per esempio di una grande crescita del kombucha, con vendite che cresceranno fino al 130% entro la fine del 2022.

L’altro asso piglia tutto della categoria è il ready-to-drink. Drink in lattina, in bottiglia, in busta, in fusto per la spina o sottovuoto. Stiamo assistendo a un boom produttivo senza precedenti dei ready to drink. Liquorifici, grandi aziende del beverage, piccole imprese, gestori hanno dato vita un mercato che non c’era e che oggi è in grande crescita. I ready to drink rappresentano un’alternativa sia per il consumatore finale, specialmente quello che frequenta concerti, eventi privati o manifestazioni pubbliche sia per il beach bar sia per l’après-ski sia per tutti gli high volume bar. I ready-to-drink sono adatti a tutti locali che non hanno una cocktail station o semplicemente non saprebbero dove metterla. Le tipologie di destinatari sono davvero molteplici: minibar degli alberghi, ristoranti senza cocktail bar, organizzatori di catering, conferenze stampa, convention, sfilate e altro.

...dalle ottime prospettive

Attualmente un dato specifico per l’Italia non c’è, ma in mano abbiamo una prospettiva globale. Secondo l’istituto di ricerca londinese Iwsr bevande no e low alcohol - che comprendono birra, vino, ready-to-drink e spirit - cresceranno in volume del 31% entro il 2024, trainate dall’incremento dei consumi di Stati Uniti, Germania e Spagna. Sempre secondo Iswr, nei prossimi anni la categoria ready-to-drink da qui al 2024 avrà una crescita media annua dell’8% nei 10 maggiori mercati mondiali.
Un po’ meno ottimista è Statista.com che prevede una crescita del 6,78% entro il 2025.

Del segmento dei ready to drink fa parte un’altra importante categoria: quella degli hard seltzer. Tecnicamente gli hard seltzer sono bevande moderatamente alcoliche e dal basso contenuto calorico, i cui ingredienti sono pochi e semplici: acqua gassata, un aromatizzante (solitamente fruttato, speziato o floreale) e una base alcolica. Quest’ultima talvolta è il risultato di una fermentazione degli zuccheri, altre volte è semplicemente alcol aggiunto agli altri ingredienti. Il fascino degli hard seltzer risiede nel fatto che combinano caratteristiche che attraggono un ampio spettro di consumatori: la tendenza crescente alla ricerca di bevande a basso contenuto calorico (un hard seltzer da 330 ml ha circa 100 calorie), la facilità di comprensione degli ingredienti (pochi e chiari), la disponibilità di vari gusti e la bassa gradazione alcolica (equiparabile a quella di una birra, ma con molti meno zuccheri). Secondo i dati forniti da Iswr, nei 6 ultimi anni, nel mercato statunitense, le hard sparkling waters, anche note come hard seltzers, sono cresciute fino a rappresentare il 43% di tutte le bevande ready to drink.

Altro segmento in grande spolvero è quello del juicing. Una categoria che include non solo succhi di frutta, ma anche matcha e tè, bevande sodate, acque aromatizzate, ed healthy drinks. La ricerca di gusti semplici e di bevande percepite come salutari, fornisce al consumatore una fonte di conforto in un momento in cui la vita sembra essere molto più complicata. L’attuale tendenza della cosiddetta “etichetta trasparente” dimostra quanto sia importante per il consumatore avere un’idea chiara del prodotto che ha di fronte. Secondo gli esperti di analisi il prossimo anno sarà segnato dal ritorno verso sapori familiari in tutte le categorie di bevande analcoliche. Secondo i maggiori analisti, in un inevitabile processo di Amarcord, torneremo a cercare i gusti della nostra infanzia. Se in America sarà la volta di anguria, fragola, ciliegia, mela e uva, in Italia c’è aspettarsi un ritorno dei vari agrumi, frutti di bosco ecc.

La birra analcolica? Continua a crescere

Regina indiscussa del mondo no-alcohol è la birra analcolica. La definizione di “analcolica” per la birra non ha una valenza assoluta. Ci sono sostanziali differenze normative: la legge italiana prevede per tali tipologie di birra un tenore alcolico massimo pari a 1,2%. Negli Stati Uniti non deve superare lo 0,4% e in Gran Bretagna lo 0,05%. Il processo di fabbricazione di tali tipologie di birra può prevedere diverse modalità: dealcolizzazione, fermentazione limitata, diluizione, senza fermentazione.
Le birre analcoliche rappresentano una fetta interessante del mercato birrario: oltre il 30% in USA, circa il 5% in Europa. Global Market Insights stima, per il 2026, un giro d’affari di oltre 29 miliardi di dollari che porterà a una produzione mondiale che supererà i 3 miliardi di litri. La birra analcolica è la più grande categoria No&Low (con una quota di volume del 75%). La crescita prevista, da qui al 2025, è dell’11% (fonte Iwsr). I trend di consumo sono in crescita in molti Paesi, anche in virtù delle leggi sempre più restrittive in materia di consumo di alcol, ma anche dalla volontà dei consumatori di adottare stili di vita più sano e regimi alimentari ipocalorici. Le birre analcoliche, dal punto di vista nutrizionale, hanno in media un apporto calorico inferiore del 30%.

Il mondo del vino comincia a muoversi 

Un capitolo a parte riguarda il vino. Mentre le aziende aziende birrarie e quelle di spirits hanno già messo sul piatto degli importanti investimenti, il vino è stato in gran parte lasciato indietro. «Il concetto di vino non alcolico è un’interessante fonte di confronto all’interno dell’industria», ha affermato Dan Mettyear, Head of Wine di Iwsr. «Molti produttori di vino tradizionale vogliono evitare che il vino dealcolizzato sia associato alla categoria dei vini. Altri, intravedono un’importante opportunità commerciale, e desiderano che il vino analcolico sia considerato alla pari della controparte alcolica. Anzi, spingono perché il vino non alcolico sia soggetto alle stesse norme e controlli del vino tradizionale». Attualmente, sempre secondo Mettyear, la vera barriera è il gusto. È in questo campo che i produttori di vino alcolico o a bassa gradazione stanno facendo i maggiori investimenti. Dalla California arrivano i primi segnali importanti col successo di prodotti come Fre Wines (vini dealcolizzati prodotti nella Napa Valley). Circa i vini senza alcol, un ultimo dato lo fornisce l’istituto Fact MR che stima, per questo mercato una crescita del 10,4%. Che in altre parole si traduce in un importante traguardo: pari a 4,5 miliardi entro l’anno 2031.

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome