Come avviare una microdistilleria di gin

Come avviare una micro-distilleria e autoprodurre il gin identitario del proprio bar? Abbiamo analizzato con gli esperti punti critici e opportunità

Protagonista di uno dei mercati più in fermento degli ultimi anni, il gin è un distillato ottenuto aromatizzando alcool etilico di origine agricola che garantisce una base neutra essendo distillato ad almeno il 96% vol. Il risultato è uno spirito secco e fresco, fortemente caratterizzato dalle botaniche specifiche utilizzate, bacche di ginepro in primis.

Due metodi per un distillato secco e fresco

Il gin può essere ottenuto attraverso modalità differenti. Davide Terziotti, che insieme al suo socio Claudio Riva ha aperto pionieristicamente Craft Distilling, una società di consulenza per micro-distillerie in Italia, aiutandole ad aprire e crescere, ha sintetizzato due principali metodi che richiedono diverse strade da percorrere, una più semplice e l’altra più impervia. «Si può definire gin sia quello che viene prodotto per macerazione, quindi comprando alcol neutro buongusto e facendo una macerazione di botaniche a freddo, sia quello distillato grazie al “fuoco sotto la pancia” e che quindi necessita di alambicco adatto». Le variabili in gioco sono tante, così come gli investimenti di tempo e risorse, tutto però commisurato alla soddisfazione di creare il proprio gin: una mossa che potrebbe contribuire ad innalzare la brand reputation e a far accorrere nuovi clienti al locale. Guardarsi intorno e studiare il contesto, tuttavia, è la prima mossa da fare. Una prima occasione è proprio in questi giorni, con la decima edizione di Gin Day che si tiene a Milano l’11 e 12 settembre. «In Italia sono già nate le prime strutture e si comincia a respirare tanta euforia: stimiamo un tasso di crescita elevato, con almeno 20 nuove distillerie nel 2022 e l’apertura di circa 200 nuove distillerie entro il 2030», spiega Davide Terziotti.

Torniamo ai metodi di produzione. Cold Compound, come suggerisce il nome, è un gin ottenuto attraverso macerazione a freddo delle botaniche, concentrati di aromi o essenze con alcol neutro, senza alcuna ridistillazione. «Il bar che sceglie di percorrere questa strada, che ha quindi un approccio liquoristico, deve dotarsi dei recipienti per la macerazione, di strumenti per la misurazione del grado alcolico e di bilance». Si tratta di una tecnica tipica del proibizionismo americano anni Trenta, quando l’unica soluzione per produrre spirit era appunto un’infusione “fai da te” nell’alcol, non di rado nelle vasche da bagno (per questo veniva chiamato bathtub gin). «Con questa metodologia si può produrre ottimo gin, ma non il London Dry Gin, che richiede distillazione».

Occhio a burocrazia e normative

Dal punto di vista burocratico, la macerazione a freddo non comporta particolari ostacoli, anche se non bisogna dimenticare che occorre imbottigliare e apporre una fascetta con contrassegno di Stato e avere una licenza da liquorificio. Andando a somministrare e quindi a vendere il proprio gin all’interno del locale, occorre attenersi scrupolosamente alle regole in vigore sia per l’acquisto e il deposito di alcol non ad uso personale sia alle normative Haccp poiché si tratta di un alimento. «Chi ha un bar ha già dimestichezza con le normative di preparazione degli alimenti, vanno tuttavia richieste le autorizzazioni per il deposito fiscale dell’alcol ad accisa assolta. Questo tipo di lavorazione richiede un laboratorio separato per la preparazione delle macerazioni, la filtrazione, l’imbottigliamento e lo stoccaggio del materiale alcolico sul quale si è preventivamente pagato l’accisa».

La strada maestra è più complessa e costosa

La strada della distillazione, per ottenere gin distillati o London Dry Gin, è molto più complicata poiché ci sono due principali ostacoli, oltre ad una strumentazione più impegnativa a livello economico. Innanzitutto, essendo considerata attività a rischio incidenti ambientali, viene concessa l’autorizzazione del Comune in deroga. «Tipicamente, per poter ottenere una licenza, il luogo dove avviare l’attività di distilleria deve essere in una zona fuori dal contesto urbano e abitato, meglio se in una zona artigianale, separato dai locali di somministrazione. La concessione dell’autorizzazione è comunque una decisione presa esclusivamente a discrezione del Comune». Quindi, prima di avanzare richieste occorre valutare anche lo storico di quel Comune e delle autorizzazioni già concesse.

«La seconda complicanza è la specifica licenza da ottenere per la distillazione, trasformazione e condizionamento delle bevande spiritose, poiché si tratta di un’attività a controllo dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ex Utif». All’agenzia occorre denunciare l’alambicco, l’esercizio di un impianto di trasformazione, condizionamento e deposito di prodotti alcolici, e la produzione di scarti di lavorazione contenenti alcoli metilici, propilici e isopropilici. Occorre anche richiedere il rilascio della licenza fiscale per l’esercizio di impianto, deposito e vendita di prodotti alcolici e l’accesso al sistema Edi (Electronic Data Interchange) per la vidimazione dei registri per materie prime, semilavorati, prodotti finiti, con e senza contrassegno. Non è finita qui: alcuni Comuni richiedono anche il certificato di prevenzione degli incendi e l’autorizzazione allo smaltimento delle acque reflue e dei rifiuti derivanti dal processo di distillazione. Soltanto una volta verificata l’assenza di impedimenti potrà essere rilasciata la licenza, assegnato il codice accisa e definito il regime fiscale e di accisa a cui sottoporre l’impianto.

«Inoltre, ci sono tanti fattori da considerare anche dal punto di vista impiantistico, come la presenza dell’allacciamento al gas e alle fognature». Passando al “materiale” su cui investire, l’elemento chiave è l’alambicco, un apparecchio per la distillazione che deve essere certificato e prodotto da un’azienda regolarmente registrata.

Temperature e attrezzature: come funziona la distillazione

Il principio su cui si basa la distillazione è la differenza di temperatura di ebollizione tra acqua e alcool: la prima bolle a 100 °C e il secondo a 78,3 °C, quindi riscaldando una soluzione idroalcolica ad una temperatura che sta nel mezzo, ad esempio 85 °C, l’alcol inizierà ad evaporare prima dell’acqua. È proprio questo il funzionamento degli alambicchi, composti da diversi elementi: caldaia, deflemmatore e condensatore. «Per partire, l’alambicco può anche non essere di grandi dimensioni: si pensi che con un apparecchio di 200 litri si riescono a produrre qualche decina di migliaia di bottiglie all’anno e soddisfare non solo la propria clientela». La partita tra i due metodi si gioca sul campo della temperatura di estrazione e i prodotti che si ottengono, nonostante siano entrambi chiamati gin, sono decisamente diversi. Ovviamente il gusto personale è determinante per stabilire il metodo preferito.

L’infusione delle botaniche “a freddo” restituisce un gin poco leggero, che non sarà trasparente e puro poiché non sottoposto a distillazione, fortemente aromatizzato e dalla colorazione diversa a seconda degli aromi utilizzati. «Ci sono in commercio gin macerati a freddo molto buoni, come ad esempio il Vallombrosa prodotto da frati in Toscana. In generale, è molto più probabile che il gin distillato sia più armonico e che gli aromi siano maggiormente integrati grazie alla maggiore flessibilità che permette l’alambicco e ai processi di estrazione aromatica innescati dal calore. Per esempio, l’iris o giaggiolo, componente fondamentale del gin, è ampiamente usato in profumeria perché ha la capacità di trattenere le sostanze odorose volatili. Senza il calore, questa sua capacità è molto ridotta e si ha una maggiore dispersione dei profumi». Per quanto riguarda la materia prima, sia per l’alcool sia per le botaniche, in Italia abbiamo abbondanza di offerta e ottima qualità. Un tema spinoso è invece inerente ai tappi e al vetro poiché il loro approvvigionamento è oggi abbastanza critico ed i prezzi a listino sono aumentati anche oltre il 100%.

Serve un piano di marketing e comunicazione

Da non sottovalutare: «Oltre alla parte burocratica, prima di partire è molto importante mettere a punto un business plan dettagliato e un ragionato piano marketing e comunicazione. Nel caso un bar volesse produrre il proprio gin, occorre pensare anche a un packaging che sia un continuum dell’identità del locale e alle strategie per essere efficaci per il pubblico che si vuole servire». Per quanto possa essere variabile, la tempistica di attuazione del progetto di distilleria va dai 18 ai 24 mesi. «Si tratta del tempo necessario per trovare un locale in cui avviare l’attività di distillazione, per ottenere l’approvazione dell’eventuale finanziamento e per attendere tutte le approvazioni dal Comune e dall’Agenzia delle Dogane».

Il budget? Davide Terziotti ci ha spiegato che, parlando di piccola distillazione per l’uso all’interno del bar, l’investimento per l’alambicco, eventuali etichettatrici e imbottigliatrici manuali, qualche serbatoio di acciaio per lo stoccaggio e la macerazione, parte indicativamente da 60mila euro, fino ad arrivare a 200mila euro per distillerie di medie dimensioni. Un’altra strada, decisamente meno faticosa, ma anche meno “divertente” è farsi produrre il gin conto terzi, commissionando la propria ricetta a un produttore di liquori o distillati. «Per dovere di cronaca, va fatto un accenno anche agli evaporatori rotanti, distillatori da banco in vetro che sembrano strumentazioni da “piccolo chimico”, in grado di distillare a basse temperature grazie a una pompa del vuoto, che aspirando aria dall’interno del circuito di distillazione riduce la pressione nel sistema e abbassa la temperatura di ebollizione anche sotto i 30 °C. I distillatori da banco hanno un prezzo accessibile, ma possono distillare pochi litri. Andando su apparecchi più grandi, le cifre possono arrivare anche a sei zeri». Con questo metodo, le botaniche vengono macerate in alcol, distillate a bassa temperatura e aggiunta di alcol neutro. Non mancano apprezzati prodotti ricavati proprio con distillatori rotanti.

Un business plan in 9 punti

Un progetto imprenditoriale che fa centro deve essere studiato nei minimi particolari e passare attraverso un’efficace analisi economica che contempli ogni aspetto, fisso e variabile, della nuova attività. Per approfondire questo importante step, abbiamo parlato con Vittorio D’Alberto, fondatore di Gin Italy, e l’esperto di business plan Pasquale La Piccirella.

  1. Analisi dei costi per progettazione e realizzazione (lavori edili, impianti, arredi, attrezzature) e per nuovo layout del bar/distilleria
  2. Analisi dei costi per Scia (inizio attività), Suap(Sportello unico attività produttive), Agenzia delle Dogane e Monopoli, comprensiva di risorse umane impiegate
  3. Analisi del costo unitario della bottiglia da produrre
  4. Budget di vendite futuro
  5. Analisi dei maggiori flussi di cassa derivanti dal minor prezzo medio della bottiglia in scenario attuale e in scenario favorevole
  6. Analisi del punto di break-even. La domanda è: quante bottiglie dovremo vendere per azzerare i costi di produzione della nostra bottiglia e iniziare a guadagnare?
  7. Calcolo del tempo di ritorno dell'investimento
  8. Analisi dei costi diretti della materia prima alcol e degli ingredienti naturali da usare
  9. Analisi costi promozionali (degustazioni, eventi, promozione online e offline, fiere di settore).

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