Beverage cost, il numero che fa la differenza

beverage cost
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Come calcolare correttamente il prezzo di vendita di un drink: lo racconta Domenico Maura, che spiega i segreti della corretta gestione di un bar

Aspetto grafico e pricing. Due facce della stessa medaglia: il menu. Ma se il primo attiene soprattutto all’attenzione che bisogna avere nei confronti del cliente, il secondo è legato alla corretta gestione dell’azienda bar. Ad aiutare gli addetti ai lavori nell’analisi di entrambi gli aspetti ci ha pensato Domenico Maura: una vita dietro al bancone, specialmente in grandi hotel, ma con attitudini da “uomo dei numeri” e una formazione solida in Food&Beverage management. Maura ha di recente firmato “L’ingegneria del menu” (ed. Readrink), il cui sottotitolo è “Come gestire i costi di un bar nell’era moderna”. Perché, alla fine, quella manciata di nomi di drink seguiti da un prezzo esprime la sintesi di una gestione che si spera corretta, che parte necessariamente dal business plan del locale.

Domenico Maura, bar e restaurant manager del Grand Hotel Parco dei Principi di Roma

«Oggi - afferma Maura - ci si focalizza molto sul cocktail, sul risultato, sia estetico sia gustativo. La realtà è che bisogna essere prima di tutto imprenditori. Non tutti riflettono adeguatamente sul fatto che il bar è un’azienda: ha dei costi e deve avere dei ricavi, ovviamente superiori ai costi. Ma se io non so quanto mi costa un drink, come faccio a venderlo correttamente?». L’approssimazione, come dice Maura, è un pericolo molto sottostimato, perché «i numeri non mentono». (leggi anche: "Costi nascosti: una lista ti aiuta a scovarli (e ridurli di molto)").

Naturalmente, i metodi per ricavare i numeri corretti per la propria gestione sono diversi, ciascuno più o meno adatto in funzione della tipologia del locale.

Per prima cosa bisogna essere capaci di calcolare il beverage cost (“parente stretto” del food cost). Maura consiglia di creare una scheda per ciascun drink in menu, riportando per ciascuna ricetta le quantità di ingredienti da utilizzare e il loro costo. Va da sé che essere precisi nei dosaggi aiuta a tenere sotto controllo anche le forniture, puntando a quella standardizzazione che consente di essere rigorosi nel calcolo dei costi.

La definizione del prezzo

Secondo Maura, un riferimento medio corretto per il beverage cost è che si attesti intorno al 20% del prezzo finale; di conseguenza, la formula più semplice - ma semplicistica - per ricavare il prezzo corretto di vendita del drink è moltiplicare tale costo per 5.

Va subito aggiunto, però, che in realtà ci sono altre decine di parametri da prendere in considerazione. Per prima cosa quelli che Maura definisce fattori esterni: la struttura del mercato in cui si opera, ovvero che tipo di concorrenza si deve affrontare e qual è il contesto in cui si trova il locale (a cominciare dall’ovvia differenza fra bar d’hotel e bar indipendente). Poi ci sono i fattori interni: costi di produzione, cocktail signature vs classici, strategie e obiettivi di marketing. E, a proposito di strategie, il prezzo è anche frutto di eventuali tattiche sia legate all’operato della concorrenza sia all’andamento della domanda.

Vanno tenuti in considerazione i margini di errore: di fornitura, degli addetti, di gestione, come pure una serie di accadimenti, alcuni inevitabili (entro certi limiti): la rottura di bottiglie o di attrezzature, i furti, i prodotti alterati di cui ci si accorge solo dopo l’apertura della confezione. Tutti questi aspetti vanno considerati nel calcolo dei costi: fare periodicamente consuntivi e inventari è l’unico modo di tenerli sotto controllo.

Maura, ovviamente, consiglia di utilizzare software gestionali che aiutano a elaborare tutti i dati necessari alla gestione. «Ma per far sì che il sistema funzioni in maniera ottimale - avverte - è necessario che tutte le operazioni di entrata e di uscita dal magazzino vengano sempre registrate». E questo non esime dall’inventario fisico, perché un eventuale ammanco per un furto, per esempio, talvolta si può scoprire solo con questo metodo.

«Ingegnerizzare il menu - afferma Maura - significa operare un’analisi che, attraverso il controllo della profittabilità, della popolarità e del beverage cost, ci permette di ottenere una serie di informazioni fondamentali per la gestione economico-finanziaria dell’azienda».

Attirare l'attenzione

Passando agli aspetti grafici, Maura fa un excursus storico dei menu, raccogliendo anche esempi decisamente originali sparsi per il mondo, come il menu Sensorium del Tipping Club di Singapore, che fa scegliere al cliente il drink in base alle sensazioni olfattive. Rimanendo sulla terra, però, bisogna ricordarsi qualche informazione pratica utile, a partire dalla lunghezza dei menu, che per motivi sia di lettura sia di organizzazione non devono mai essere eccessivi. Come dice Maura, i menu ideali sono quelli «piccoli, corti e concentrati».

Gli studi sulla lettura più recenti portano a scartare la concezione comune che individuava dei punti focali su cui tendeva a concentrarsi l’occhio. Oggi si ritiene più probabile che nella lettura del menu tendiamo a riportare lo schema a cui siamo abituati con i libri. Aiutano ad attirare l’attenzione dove vogliamo gli accorgimenti grafici, i contrasti di colore, i grassetti, i cambi di font. Naturalmente la pandemia ha prodotto un cambio di prospettiva, incentivando i menu elettronici e aprendo a nuove forme di presentazione grafica.

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