Ultima ora. Roberta Mariani, narratrice dell’aperitivo italiano, è passata a Italspirits

Sulla divulgazione di aperitivi, vermouth e amari italiani, ha costruito la sua brillante carriera. Roberta Mariani, dopo sei anni d'oro in Martini, entra da oggi nel team di Italicus e Savoia come advocacy director. E da oggi cosa farà? Glielo abbiamo questo in questa intervista esclusiva

Roberta Mariani è la nuova advocacy director di Italspirits, agenzia con sede a Londra che si occupa da diversi anni di promozione di bevande, eventi e attivazione di marchi. L’annuncio è di poche ore fa. A darlo è Giuseppe Gallo, fondatore di Italspirits: «Non potrei essere più felice accogliere Roberta nella famiglia di Italspirits. La sua esperienza pluriennale nell'industria dell'ospitalità e la sua passione per l'aperitivo italiano ne fanno la figura ideale per il nostro progetto. Non ho dubbi che Roberta diventerà presto l'esperta leader della cultura del bere italiano a livello mondiale». Roberta Mariani, negli ultimi sei anni, ha lavorato come global brand ambassador per Martini & Rossi e lavora nel settore dell’ospitalità da oltre 15 anni. Dagli addetti ai lavori è considerata una delle bartender più autorevoli nella diffusione della cultura dell’aperitivo e, più in generale, dei cocktail Made in Italy.

 

Per Italspirits si occuperà di promuovere - attraverso un intenso programma di educazione e formazione - gli aperitivi Italicus e Savoia. Due spirits capaci di risvegliare l’interesse, non solo del trade, verso due categorie di liquori: il rosolio e l’americano. Tanti gli attestati di gradimento ricevuti dagli addetti ai lavori, sia a livello nazionale sia internazionale. Tra questi il recente Premio Innovazione ai Barawards di Bargiornale assegnato al giovane Savoia. Un successo che bissa quello del Rosolio di Bergamotto Italicus conseguito nel 2016. Mariani sarà alla guida dell’Art of Italicus Challenge, seguirà i bar show internazionali e altre attività destinate alla bar industry. Con una passione autentica per la mixology, per gli aperitivi e per gli amari, Roberta è stata capace di trasferire le sue competenze e la sua passione in ogni gruppo in cui ha lavorato. Basti ricordare il suo grande lavoro al pluripremiato Bar Termini di Soho, locale che ha beneficiato delle sue competenze e della sua professionalità.

Roberta il tuo cavallo di battaglia è la diffusione della cultura dell’aperitivo italiano. Cosa significa esattamente? Io la definirei una questione di orgoglio, di rispetto e di senso di appartenenza. Specialmente quando lavori all’estero ti rendi conto che hai la fortuna di appartenere a una grande tradizione. E che hai un’occasione unica: dimostrare che oltre agli stereotipi - alla pizza, spaghetti e mandolino - c’è molto di più. Nel mio ambito questo concetto si traduce nel mettere in luce i valori della liquoristica italiana, il senso e il valore di categorie come amari, vermouth e aperitivi.

Com’è cambiata la percezione dell’aperitivo italiano in questi dieci anni? Ricordo che nel 2014 quando sono approdata al Bar Termini vermouth, amari e bitter erano categorie oscure. Altro che divulgazione. Era difficile spiegare un concetto che era lontano anni luce dalle loro tradizioni. Poi è scattata la molla e piano piano la categoria è cresciuta in modo quasi insospettabile. Tra il 2017-2018 c’è stato il grande boom. Le mensole delle bottigliere hanno iniziato a riempirsi di prodotti italiani. E il bar in stile italiano è diventato un must: dall’Amaro Bar al Dante di New York, dal Bar Termini al Maybe Sammy di Sydney. Oggi si contano sempre più locali nel mondo ispirati alle nostre tradizioni bibitorie.

Qual è l’aspetto più complicato del tuo lavoro di divulgazione? Ci sono culture come quella americana dove l’aperitivo è un concetto alieno sia per i bar sia per il pubblico. Il difficile, ed è quello su cui lavoro da anni, è tradurre il concetto di aperitivo. Sai qual è il più grande paradosso? Che i nostri vermouth e amari sono di fatto dei cocktail in bottiglia. Tecnicamente non avresti bisogno di aggiungere altro. Questo è il bello, ma da un certo punto di vista, anche il limite dei nostri prodotti. L’interrogativo è spesso questo. Ma se sono già dei cocktail fatti e finiti, perché dovrei miscelarli? E a quel punto interveniamo noi e glielo spieghiamo. Solo fino a poco tempo fa, nelle culture anglofone, i classici cocktail italiani erano ancora degli illustri sconosciuti. Ora basta guardare le classifiche internazionali di vendita dei cocktail per capire che c’è stato un cambiamento radicale. E gran parte del merito è di tutti i colleghi italiani che si stanno dando da fare per promuovere, sul piano internazionale, i valori dei nostri prodotti.

Come si racconta un prodotto? A me è sempre piaciuto trattare la categoria. Ok il brand, ma bisogna saper inquadrare l’ambito di appartenenza. Se all’estero parli di amari, vermouth o bitter, non puoi concentrarti solo sul tuo marchio. Devi essere abile a inserire il tuo marchio nel contesto. Così offri un triplo servizio: alla tua azienda, alla industry, alla comunità.

Cosa significa per te questa nuova avventura? Da anni ammiro il lavoro di Giuseppe e ciò che ha creato con Italspirits. Per questo sono entusiasta di unirmi al suo progetto. L'ospitalità è la mia più grande passione e sono alla continua ricerca di nuovi modi per promuovere ed elevare la cultura dei cocktail italiani. E questo è il posto giusto per dimostrarlo.

Raccontaci un po’ di te Sono nata a Latina. Nell’estate dei miei diciotto anni ho iniziato a lavorare al bar, poi una breve esperienza in negozio, poi il ritorno al bar. In quel periodo ho avuto la fortuna di frequentare Roma in un momento straordinario. Ero una ragazzina e la sera andavo al Jerry Thomas Speakeasy dove incontravo tutti i bartender più famosi della Capitale. Era un’occasione per crescere, confrontarsi, seguire i consigli dei “professori”. Nel 2012 ho iniziato a lavorare al bar del Sanderson Hotel di Londra. Lo stesso banco che fino a non molto tempo prima era guidato proprio da Giuseppe Gallo e successivamente da Erik Lorincz. In quegli anni dividevo il banco con Jonatan Abarbanel, oggi titolare di Les Rouges a Milano e Genova. Poi sono arrivati lo Zetter Townhouse, il 69 Colebrooke Row e l’incredibile esperienza con la Drink Factory di Tony Conigliaro. Da lì il salto al Bar Termini di Londra, un locale che ha contribuito come pochi altri al mondo alla diffusione della nostra tradizione e del nostro stile di miscelazione. Da lì c’è stato un altro grande salto per la mia vita professionale. Ho ricoperto per sei anni il ruolo di Global Brand Ambassador per Martini.

Da spettatrice, dimmi tre tipi corsi che ti piacerebbe vedere in un bar show? Mi piacerebbe vedere un corso sull’ospitalità. Oggi nei corsi si ripete spesso la solita filastrocca: “Io ho fatto, io ho detto, io qua, io là”. Mettiamo da parte un po’ l’ego e torniamo al noi. Questo è il tempo di mettere al centro il valore dell’accoglienza. Quello che vedrei bene è un corso per imparare ad accogliere al meglio gli ospiti. Sembra una banalità, ma nessuno ne parla. Poi avrei piacere di assistere a più corsi incentrati sul well being. La nostra è una vita spesso sregolata. Troppo alcol, troppi caffè, notti in piedi, vita personale sacrificata. In realtà il lavoro andrebbe organizzato per fare in modo che tutto lo staff abbia il tempo di ritagliarsi i propri spazi personali e godersi i momenti per sé, gli amici, la famiglia. Se non si fa qualcosa subito, ora, allora è inutile lamentarsi della crisi di vocazioni nel nostro settore. Il terzo corso che mi piacerebbe vedere è dedicato all’idea di costruire una community vera. Dove non ci siano discriminazioni e si presti più attenzione al tema dell’inclusività.

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome