Anteprima Bargiornale: il Dirty di Farulla è servito

No mail, no telephone, no reservation-policy, no dress code, no prejudice, no vip. Inaugura il 20 marzo Dirty Milano, il nuovo cocktail bar dall’anima hardcore guidato da Mario Farulla, Carola Abrate e Gigi Tuzzi. Niente turbe mentali, retropensieri, bottigliere esuberanti o lezioni di cocktail. Perché da Dirty l’unico imperativo è il divertimento

Dopo alcune avventure spalla a spalla, tre autentici "cattivoni" del mondo bar, hanno scelto di unire le loro forze per combattere il solito cliché dell’ospitalità in giacca e guanti bianchi. La loro missione è dare vita a uno spazio fuori schema, fuori giri, fuori orario. In altre parole, del tutto "fuori". Il nuovo locale, che inaugura il 20 marzo, è stato battezzato Dirty. Sporco. E siccome noi esseri umani, per stare sereni, abbiamo bisogno di affibbiare un’etichetta a tutto, lo hanno definito "cocktail bar". Se avessero usato la parola “asteroide” o “deltaplano”, sarebbe cambiato poco. Dirty si trova a Milano, in viale Regina Giovanna 14, a ridosso di Porta Venezia. Il trio di villains è composto da Mario Farulla, Gigi Tuzzi e Carola Abrate. Al terzetto si aggiunge il quarto fondatore: Paolo Coppola, imprenditore nel settore dell'ospitalità. Il punto di partenza è il seguente: “Dirty non nasce da un’idea, ma da un’esigenza”. Il nuovo locale arriva al culmine di un percorso iniziato un anno fa. «A un certo punto - sottolinea Farulla - ci siamo guardati intorno e ci siamo sentiti circondati. Intorno a noi vedevamo un’ammucchiata tanti bar con cose buttate a caso. Sembrava una gara di ostentazione fine a sé stessa. Così abbiamo messo la retromarcia e abbiamo iniziato a far fuori il superfluo. Tenendo premuto il tasto “canc” abbiamo eliminato le sovrastrutture, che hanno snaturato e allontanato pian piano il cliente dalla vera essenza del bar: il divertimento». Dirty è un bar pensato per chi non ha voglia di farsi fare una testa così dal bartender coi super poteri. È l’oasi per chi si è stufato di tecnicismi, storielle e altre cose da addetti ai lavori spiegate al tavolo. È un luogo di piacere, per bere, per star bene: non per assistere a “cocktail class” non richieste. Dirty è una riserva indiana presidiata da tre bartender che non si arrendono ai cowboys. «Al Dirty usiamo l’articolo "noi" e vogliamo abolire l’io. Siamo controcultura al bar, non da bar. Quindi non vogliamo educare o istruire nessuno. Siamo solo uno strumento al servizio di chi vuole passare una bella serata senza troppi pensieri. Noi facciamo da bere, in tempi rapidi, senza cerimonie e cerchiamo di farlo al meglio. “Ebbasta”. La drink list è corta e semplice, basata su drink della casa e grandi classici, più qualche extra. Il tutto è accompagnato da un’offerta di cibo fatto per godere «Perché al Dirty - dicono i tre bartender - serviamo cibo da lupi. Da noi puoi trovare Champagne e mortadella, carne in scatola, hot dog, pane e salsiccia fresca, ma anche banane a un euro. Perché la frutta fa bene. E poi noi crediamo nel potassio». Ovviamente anche lo stile e gli arredi di Dirty sono allineati al suo pensiero. Il progetto, realizzato in collaborazione con Nick Maltese Studio, è più graffiante della Stratocaster di Jimi Hendrix a Woodstock. Una tenda da macellaio divide la sala in due aree. Da una parte il bar più pop, dall’altra una zona più intima dotata di ogni comfort. Inclusa una bar station dedicata. Gli ambienti di Dirty sono ispirati alla corrente Brutalista, un movimento architettonico del XX secolo caratterizzato da edifici dalle forme geometriche semplici e un forte senso di massa e peso. La “brutalità, intesa come onestà. Il Brutalismo è stato il marchio di fabbrica dell'architettura dell’Unione Sovietica degli anni '50 e '60. Gli architetti sovietici adottarono il Brutalismo per creare edifici pubblici monumentali e simbolici che esprimevano il potere e la grandezza dello Stato. Il cemento armato grezzo e le forme geometriche semplici erano in linea con l'ideologia comunista della semplicità e dell'uguaglianza. Questo stile è stato miscelato con elementi grafici, disegnati da Antonio Dalla Guardia, ispirati alle opere di Jean-Michel Basquiat, artista che ha spesso utilizzato immagini di genitali maschili nella sua arte come simboli di potere e virilità. Sulla griglia di lavoro così come sul banco, entrambi realizzati da Vincenzo Vitolo, sono impressi le forme stilizzate di organi sessuali. Tutto questa attenzione al banco perché sarà lui la stella polare del locale. «Abbiamo scelto di eliminare la bottigliera e di tenere in vista solo prodotti a marchio Dirty. Il nostro stile di miscelazione si concentra nell’offrire la migliore esperienza gustativa. Non ci interessa utilizzare le etichette o le bottiglie blasonate come specchietti per le allodole. Siamo nudi e crudi. Questo non significa che da noi non si trovano bottiglie pregiate. Semplicemente non le teniamo in vista e le usiamo solo quando, e se, ce le chiedono. Come già detto, la nostra priorità è soddisfare l’ospite. Quindi se ci chiede qualcosa facciamo di tutto per accontentarlo. Anche fare la spesa».

 

Il servizio è incentrato sul divertimento e sul coinvolgimento dell’ospite. «Abbiamo solo 35 posti e, volente o nolente, ogni cliente è attore protagonista delle nostre serate. Non usiamo jigger per misurare le quantità di prodotto, ma tutto viene versato a mano libera. Nessuna omologazione. Nessun cocktail fotocopia. Qui si miscela per il gusto di fare le cose ad arte. Ogni drink ha la sua anima ed è irripetibile. Per questo anche la nostra attrezzatura è volutamente ridotta al minimo. Anche in questo siamo “brutalisti”. Perché per far bene da bere non hai bisogno di chissà quali bar tools. Servono solo gli attrezzi giusti e la mano buona. Siamo tornati agli anni 2000 con le soda gun al posto delle bottigliette, ma se ce lo chiedete abbiamo anche quelle. Il bar, essendo un bar del popolo, creato per la classe operaia come noi, avrà prezzi popolari, con il Gin Tonic della casa proposto a 8 euro. Il prezzo massimo? 15 euro per alcuni drink della casa. I signature riprendono il nome del locale e sono incentrati sullo studio delle salamoie e della salinità come esaltatore di sapori. In qualche rappresentano la nostra piccola arma segreta per dare l’extra kick al gusto dei drink. Anche in questo andiamo controcorrente. In un mondo, quello della mixology, dove tutto è concentrato sullo studio delle fermentazioni (e quindi sul deterioramento), noi viriamo verso i metodi di conservazione.

 

Il nostro drink iconico? È il Super Dirty, un Martini Cocktail mangia e bevi che viene versato direttamente in una coppa colma fino all’orlo di diverse varietà di olive. Ai drink si aggiunge una selezione di tre birre alla spina servite in bicchieri ghiacciati. Lo sappiamo, tecnicamente è il servizio più sbagliato che ci sia. Ma a noi interessa poco, la birra ghiacciata è più buona». Dirty, la cui comunicazione è curata da Studio Maigiu, apre alle 19 e chiude alle 4. La sua missione dichiarata è dare conforto a tutti i viandanti, nottambuli e lavoratori della notte. “C’è una no-reservation policy: chi arriva prima si siede, ma proveremo sempre a soddisfare tutti. Piuttosto faremo i letti, o meglio gli sgabelli, a castello”. Il sound di Dirty è un altro dei suoi punti di forza. La playlist spazia tra vari generi. Si spazia dall’Hip-Hop anni 2000 fino a cose più estreme. Punk, hardcore, roba forte. Proprio come quei tre terribili bartender dietro al banco.

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