12 drink posson bastare (a rendere grande un piccolo cocktail bar)

Pochi metri quadrati (35), pochi drink in carta: sufficienti però per fare del The Craftman di Reggio Emilia un locale d'ccellenza. Grazie anche a grandi bartender internazionali

Cominciamo con un indovinello che riguarda Andreas Samiodiotis, Tess Posthumus, Remy Savage, Gabriele Manfredi, Nikos Bakoulis, Jad Ballout: cos’hanno in comune tra loro queste sei persone? Indovinato! Fanno tutti i bartender. Per la precisione sono fior di bartender, visto che i loro locali (o i locali dove lavorano) sono nella lista dei 50 migliori bar del mondo. Ma i nostri magnifici sei hanno un’altra cosa in

comune: si sono trovati tutti - certo, in momenti diversi - ad agitare lo shaker dietro i pochi metri quadrati del bancone del The Craftsman, minuscolo cocktail bar nel cuore di Reggio Emilia che nel 2016 si aggiudicato il premio Barawards come locale rivelazione dell’anno. Un caso? Nient’affatto. Riccardo Soncini, cuore e mente del locale,sempre affiancato dal suo “braccio” armato, il collega bartender Alberto Catalani, ha da subito voluto rendere i suoi 35 metri quadrati un punto di riferimento a livello internazionale.

Cercando di proporre, prima di tutto ai propri clienti, un viaggio nell’eccellenza della miscelazione a livello nazionale e, soprattutto, internazionale.
«Il nostro obiettivo, fin dall’inizio - spiega Riccardo - è stato quello di diventare un punto di riferimento per la qualità del ber miscelato, che per la provincia è un
concetto relativamente nuovo. L’abbiamo perseguito selezionando prodotti
d’eccellenza poco usuali: un esempio? Siamo i primi importatori individuali ai di
fuori dei confini nazionali della vodka neozelandese The Stillery. Abbiamo tutte le attrezzature per realizzare in casa sciroppi, purea e fat wash, ma il focus del nostro lavoro è più sulla selezione degli ingredienti che sulla creazione di preparazioni in laboratorio».
Grandi ospiti al bancone
Ad animare le serate d’inverno ci pensano le Guest Series, otto serate (due al mese) in cui dietro il bancone al posto di Riccardo e Alberto si piazzano i migliori bartender italiani (come Filippo Sisti, Luca Anastasio, Oscar Quagliarini&co) e non. «Sono grandi occasioni di comunicazione e in più ci aiutano a “educare” i nostri clienti al bere di qualità.
Senza contare che per noi sono praticamente delle masterclass private: facciamo molte preparazioni insieme e impariamo un sacco di cose». Ogni guest prepara per la serate cinquedrink del proprio menu, in genere utilizzando altrettanti distillati diversi come base del cocktail.
Un menu per tutti i gusti

Stesso principio per la creazione del menu, che cambia due volte l’anno: 12 proposte in tutto, con i due best seller delle edizioni precedenti e dieci novità «costruite sulla base dei gusti delle persone - spiega Soncini -. Il menu è disegnato in modo che tutti lo capiscano: c’è il nome del cocktail, il tipo di spirit base, il bicchiere in cui è servito, il prezzo (tra 9 e 15 euro, ndr). Ma facciamo anche i drink che ci chiedono fuori menu: sia i nostri, come A British Man, un sempreverde, sia tanti classici. A chi chiede un classico proponiamo un twist su misura. Bastano tre domande: il distillato base, la scelta tra secco o dolce e l’indicazione di un gusto».

L’offerta food è ridotta all’osso e limitata all’ora dell’aperitivo: «Anche qui se
lezioniamo gli ingredienti: d’inverno abbiamo proposto olive pugliesi piccanti e mandorle spagnole salate, rifornendoci da Longino&Cardenal. Ma dopo le 21 il cibo sparisce, perché vogliamo che le persone vengano per bere e non per mangiare». Pochi concetti, pochi drink, poco cibo: ma se sono quelli giusti, si rischia di andar lontano.

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