Il prezzo dell’espresso è un argomento da tempo oggetto di incontri, dibattiti e riflessioni. Bargiornale ha chiamato all’appello professionisti ed esponenti delle associazioni del caffè, che si sono espressi su questa urgenza nell’ambito di Sigep 2020; ancora prima ha risposto a chi puntava su un deciso abbassamento del prezzo quale leva per fatturare di più, dimostrando come quello fosse l’elemento più sbagliato su cui puntare.
Perché non riusciamo da dare il giusto valore all’espresso? Davide Cobelli, titolare di Garage Coffee Bros. e di Coffee Training Academy, risponde con un’ampia esposizione che prende in esame nuovi elementi e fornisce alcune indicazioni fornite dal neuromaketing. Si tratta di una disciplina emergente che applica le conoscenze e le pratiche neuroscientifiche al marketing, allo scopo di analizzare i processi irrazionali che avvengono nella mente del consumatore e che influiscono sulle sue decisioni di acquisto.
«Io nutro da sempre un’idea che spesso condivido con i professionisti che incontro - afferma -: l’espresso è una bevanda che richiede un tempo relativamente breve di preparazione, ma soprattutto un brevissimo tempo di consumo in pochi sorsi. Questo è è il suo grande problema in quanto il cliente finale, nella sua mente, da sempre attribuisce un “valore temporale” a ciò che acquista o consuma, parametrato al tempo del consumo. Questo valore attribuito è tanto inferiore quanto più è breve il tempo di consumo». Dal neuromarketing qualche spunto che può essere utile per un piccolo esercizio.
Il consumatore dà un valore mediamente maggiore alle seguenti caratteristiche.
- Dimensione - non è un caso che oggetti piccoli vengano “impreziositi” da confezioni importanti, soprattutto grandi.
- Durata - un maggiore tempo di fruizione equivale a più denaro/valore.
- Colori vividi - richiamano l’attenzione e influenzano l’acquisto sugli scaffali da sempre.
- Sensazione tattile - che si tratti di un pack particolare sullo scaffale, oppure della frizzantezza o della densità di una bevanda.
- Senso di appagamento - (quanto mi fa stare bene quello che ho comprato?) o status symbol (lo compro/consumo perché mi fa apparire migliore).
- Senso di colpa nella spesa: più alto è il valore e più alto devono essere il “giustificato motivo” dell’acquisto e l’autoconvinzione che valesse la pena fare quella spesa (per giustificare l’acquisto nei confronti delle altre persone che ci stanno intorno. Es: “sì, l’ho pagato di più ma è meglio di quello che tu puoi comprare altrove…”). Nel caso di prodotti etici, sostenibili, realizzati nel rispetto dell’ambiente e delle persone, con confezioni riciclabili o, meglio ancora, compostabili, il valore aggiunto cresce e con esso il “giustificato motivo” dell’acquisto.
Alcuni esempi: un bottiglietta d’acqua d 500ml, costa circa 0,25 centesimi e non richiede alcuna spesa accessoria (se non il frigorifero), eppure il consumatore è disposto a spendere in media 1,50€ per acquistarla; un succo di frutta al bar costa circa 40-45 centesimi, richiede solo la spesa del frigorifero e del lavaggio di un bicchiere (e la cannuccia), eppure costa tra i 2,50 e i 3,00 euro.
Il fattore tempo. In Italia, il rito del caffè ha la durata di pochi istanti, nel resto del mondo invece richiede più tempo e ha un servizio più completo. Oltre frontiera, infatti, il consumo al banco è pressoché inesistente; spesso il cliente riceve un vassoio con un bicchiere d’acqua e la consumazione richiesta che porta al tavolo per la consumazione. Tutto ciò allunga di fatto i tempi di consumo (dunque il valore).
Tornando in Italia, non solo l’espresso al bar è la consumazione più rapida, ma spesso non appaga. Da oltre un decennio i consumatori preferiscono capsule e cialde a casa o in ufficio anziché andare al bar, perché non colgono una differenza qualitativa, inoltre ha un sapore discutibile, un valore scarso, un basso senso di colpa, nessun senso di appagamento; ecco perché il consumatore non può dare un valore maggiore al caffè bevuto al bar. Ed ecco perché ancora oggi, è uno dei prodotti con il valore percepito più basso che si possa trovare in un pubblico esercizio.
In sostanza, i veri nemici dell’espresso sono la sua dimensione contenuta e il rapido e distratto consumo, che fanno di questa meravigliosa bevanda un prodotto che non riesce ad essere venduto al valore corretto, oggi come nel passato.
La soluzione? Cobelli prova a ragionare sul futuro immaginando tre strade che possono portare a un miglioramento della situazione.
Aumentare la percezione del valore della bevanda attraverso un’attenta comunicazione diretta e indiretta, ma anche del prodotto stesso e dello storytelling (viene da chiedersi cosa potrebbe raccontare un barista di molte miscele Italiane classiche, dove le uniche informazioni sono irrilevanti e parlano di “pregiati caffè dal Centro e Sud America”).
Accrescere la professionalità di chi la prepara e serve, attraverso una formazione continua che deve partire da tutte le aziende che vendono prodotti ai baristi, come un mantra per migliorare le proprie condizioni.
Creare maggiore valore attraverso il neuromarketing applicando anche poche regole di base per far sì che il caffè sia sempre più percepito come un prodotto di valore (che deve essere veramente tale), un’emozione, un momento di pausa più lungo che persiste piacevolmente anche dopo aver bevuto.
«Possiamo utilizzare molte armi, prima di tutto la comunicazione - conclude Davide Cobelli -.. Deve però coinvolgere tutti gli attori di questo meraviglioso mondo, partendo dalle torrefazioni di ogni dimensione che giocano un ruolo fondamentale come anello di congiunzione tra la filiera e il consumo del prodotto, arrivando a generare nei consumatori una coscienza al consumo consapevole. Anche rimanendo fedeli alle proprie origini e al proprio modello di business.
Cominciamo a raccontare di più, di noi e dei prodotti che vendiamo».