Accademia del Caffè Espresso, la vecchia fabbrica è luogo di cultura

Dal 1961 al 2009 è stata la fabbrica de La Marzocco. La sua nuova destinazione guarda al caffè sostenibile, alla cultura e all’innovazione

Accademia del Caffè Espresso
Il "marzocco"
Il "marzocco"

Tutto gira attorno a un chicco, alla sua storia, la sua cultura, la sua attualità (la sostenibilità è protagonista) e a quel prodotto finito, frutto del genio italiano, che dà il nome a questa storica e attualissima struttura: Accademia del Caffè Espresso. Nel nome e nel logo non c’è un riferimento a chi ha voluto e investito in questo progetto, a sottolineare che si tratta di uno spazio per tutti, dal curioso al coffee lover, dal barista al trainer, dal torrefattore a chi appartiene alla prima parte della genesi del caffè, lo coltiva e lo lavora. Al contempo tutto porta alla realtà di questa sede che dal 1961 al 2009 è stata la fabbrica de La Marzocco con la sua ampia e iconica volta: qui la luce è un’altra protagonista. Superato l’ingresso si entra nella prima parte dedicata alla storia aziendale, a quella del caffè e della macchina espresso, con una breve rassegna storica di modelli, il Bambi Bar che riproduce un’ambientazione anni ’70 e le miscele che allora si offrivano nei locali del Nord e del Sud Italia. Colpisce un tavolo di lavoro con gli attrezzi originali utilizzati in fabbrica. Un posto d’onore è riservato al “marzocco” la statua che riproduce il leone araldico realizzato da Donatello agli inizi del ‘400 per celebrare la città di Firenze e che è parte del marchio aziendale. Quindi la tecnologia con spaccati delle macchine oggi in commercio e il dettaglio di alcuni particolari tecnici all’avanguardia. La prima parte del cammino si conclude negli ambienti dedicati alle origini del caffè, la sua coltivazione, con un forte richiamo all’emergenza climatica; infine una serra riproduce un frammento di piantagione.

Le sale corsi si affacciano su un ambiente ampio e luminosissimo, delimitato sul fondo da un lungo banco bar: qui c’è tanto spazio per eventi, manifestazioni, gare, disponibile per chiunque voglia fare cultura del caffè. Il tetto è la zona ideale per incontrarsi, respirare l’aria e godere la bellezza della natura della Toscana: «Io andavo spesso sul tetto, si stava bene. In pausa andavano tutti a giocare a giocare giù. Io andavo sul tetto. Si stava bene. Il panorama su Fiesole, il Monte Morello e Firenze di là… bellissimo. E di là il bosco. Nel bosco ci s’andava (…) si andava a cercare gli asparagi», racconta una voce anonima su una delle cartoline che ripercorrono l’antica fabbrica e raccolgono le testimonianze di chi qui ha lavorato. Con queste cartoline si può fare un secondo percorso, per fermarsi alle diverse tappe e immergersi nella realtà della fabbrica di ieri, dove si percepiva l’odore del metallo fuso: «l’officina saldatura era sgarrupata, come tanti laboratori artigianali, c’era qualche calendario porno del vecchio saldatore…».

E ancora «Il primo giorno venni su per far un colloquio e trovai Piero ad accogliermi, andai subito in officina.. si è fatta casa con Piero che comprò dei libri e mi assistette… studiava lui e poi veniva a riferire e me… Questo è quello che mi piacque subito de La Marzocco… prima di tutto il capo lavorava con te». Lo stesso orgoglio, la stessa soddisfazione si trovano oggi negli occhi di chi ha pensato e guida le diverse parti dell’Accademia: Marta Kokosar, Massimo Battaglia, Eleonora Angela Maria Ignazi, Silvia Bartoloni, Gianni Tratzi, Stefano Della Pietra.

Nella serraDue passi in piantagione. Un piccolo consiglio prima di lasciare l’Accademia: tornare alla serra e immergersi in solitudine tra le piante: l’odore, l’umidità, la varietà della vegetazione rispecchiano la realtà delle piantagioni “di montagna”. Tutto attorno piante di caffè, con la loro particolarità di portare sui rami contemporaneamente germogli, fiori (per chi è fortunato), frutti verdi e maturi. Magari sarà una “pioggerellina” (che di nuovo riporta alle zone di origine) a riportare alla realtà. Bisogna andare: con la chioma un po’ umida e negli occhi un verde difficile da dimenticare.

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