Dopo oltre 40 anni passati dietro al bancone di un bar come dipendente, Vito Schiavo ha un’idea piuttosto precisa di quali sono le tipologie di proprietari con cui val la pena lavorare e quelli invece che è meglio mollare prima possibile. E dopo aver formato centinaia di giovani baristi ha un’idea altrettanto precisa dei profili di quelli che faranno strada e delle sagome di quelli che tuttalpiù riuscira22nno a sbarcare il lunario. In comune, bravi imprenditori e dipendenti capaci, al bar come altrove, hanno alcune cose: la voglia di continuare a imparare, il desiderio di fare sempre meglio, un orizzonte temporale di riferimento che va ben oltre la fine del mese. A Vito Schiavo, nella duplice veste di barista e formatore di lungo corso, abbiamo chiesto il suo punto di vista su relazioni di lavoro, giovani leve, professionalità degli addetti e scelte di carriera.
Fai formazione ai giovani baristi da molti anni. Una domanda a bruciapelo: pregi e difetti delle nuove leve.
Partiamo dai pregi: i giovani che hanno voglia di fare con i mezzi che oggi hanno a disposizione, a partire dal web, possono diventare ottimi professionisti in poco tempo. La loro voglia di crescere in fretta e l’attitudine di queste nuove generazioni del “tutto subito” può far perdere di vista che per impratichirsi delle tecniche occorre tempo. Un conto è conoscerle e capirle, un altro è impadronirsene. La manualità si sviluppa solo con l’esercizio e l’allenamento.
L’altra loro arma in più è una naturale “malizia” nei confronti dei clienti. Li vedo più propositivi. Noi dovevamo essere bravi a preparare, oggi sono più bravi di quello che eravamo noi a vendere. E questo è un vantaggio. Perché il cliente deve essere sempre il nostro punto di riferimento: se so fare mille ricette di cocktail ma non so proporre quella giusta per il mio cliente, non sono un grande professionista. Il bravo barista è quello che “mette in crisi” il cliente perché nel giorno in cui il suo bar è chiuso non sa dove andare.
Il mondo del bar offre ai giovani tante opportunità. Non tutte, però, vale la pena coglierle. Come distinguere tra una proposta interessante e una da cui stare alla larga?
Ogni posto di lavoro serio dovrebbe darti due cose: un compenso per la tua opera e la possibilità di imparare. Posti che non offrono nessuna delle due cose vanno lasciati subito. L’ideale è trovare un posto che permetta di lavorare accanto a un grande professionista. Ricordandosi che il modo migliore di apprendere da loro è di osservare attentamente ciò che fanno, come si pongono nei confronti del cliente, quali sono i gesti, i modi di fare. I veri segreti vanno carpiti! Non bisogna aspettarsi che li raccontino, ma semmai chiedere, chiedere, chiedere. E chiedersi sempre: “Sono nel posto giusto? Sto imparando qualcosa?”
Quanto all’impiego in un nuovo locale, ci sono delle “trappole” ricorrenti da cui è meglio stare alla larga. A cominciare da “i giorni di prova non li paghiamo”, per proseguire con le tante furbizie sui pagamenti: “i permessi non li paghiamo”, “in busta ti diamo solo la metà” ecc. In generale, quando non c’è chiarezza sulle condizioni retributive fin dall’inizio, a fine mese ci sono sempre sorprese. Difficilmente positive.
Come vedi il panorama dei bar italiani?
Purtroppo siamo ancora nella situazione in cui bere un caffè al bar è una sorta di roulette russa al contrario: su sei colpi, uno solo è quello buono. Questo perché molti gestori non sono disposti a pagare né la qualità né la professionalità. E il risultato è subito evidente nella tazzina di espresso. Se gioco al risparmio nell’acquisto delle materie prime, prendo dietro al banco persone senza arte né parte convinto che così si risparmi, scelgo attrezzature di basso prezzo e mi dimentico della manutenzione delle macchine, il risultato non può che essere conseguente. E i clienti, sempre di più, se ne accorgono. E cambiano bar.
Dare la colpa ai dipendenti è facile, ma i dipendenti in genere rispecchiano l’atteggiamento del datore di lavoro: se un gestore è scontroso o negligente, i suoi dipendenti ne seguiranno l’esempio. A me è addirittura capitato un caso di un mio capo “geloso”, che quando si è accorto che con la latte art introdotta da me aumentava la clientela, ha iniziato a farmi sparire le caraffe. Ma mi aveva chiamato per quello! Al contrario, se un datore di lavoro riconosce e valorizza la qualità del proprio dipendente, fa la fortuna di entrambi e di conseguenza anche del locale.
Detto dei gestori, quali sono invece gli atteggiamenti che un barista dipendente che tiene al suo lavoro e alla sua professionalità dovrebbe avere?
Non bisognerebbe lavorare solo per lo stipendio, ma continuare a investire nella propria professionalità. Mi è piaciuta molto la proposta di lavoro che hanno fatto a una mia ex allieva di un corso per baristi di recente: un onesto stipendio base e una serie di premi al raggiungimento di determinati obiettivi. Io ho cercato sempre di essere propositivo, aggiornandomi sulle novità e proponendo periodicamente nuove idee su come far evolvere l’offerta. L’importante è argomentare il meglio possibile i motivi della richiesta, le ragioni per cui è opportuno fare un certo investimento in attrezzature o prodotti ed esplicitare il tempo necessario per ottenere risultati.