In tempi di storytelling, c’è un rum che ne ha davvero molta di storia da raccontare: il Santa Teresa. Lo ha scoperto Bacardi e, anche per questo, oltre al fatto che è un ottimo prodotto, ha scelto di farlo entrare nella sua scuderia. Duecentoventi anni alle spalle, molti dei quali legati a doppio filo con la storia del suo paese di produzione, il Venezuela, ma anche perché il suo patron Alberto Vollmer Herrera è un uomo davvero unico.
E non a caso è stato invitato in Italia dal distributore, per parlare, raccontare il suo rum dal colore ambrato, dalle note suadenti, prodotto con metodo solera, ma quasi senza parlare del Santa Teresa, quanto piuttosto della sua storia. Perché, come dice lo stesso Vollmer, «la gente non compra solo quello che è in una bottiglia, ma ciò che le sta intorno. Un marchio prima che un prodotto è la sua storia».
Il soprannome di Vollmer è Batman e in effetti il tocco del supereroe ce l’ha, visto che è riuscito a mettere d’accordo gang sanguinarie, con un progetto di integrazione e inclusione sociale dal nome più che appropriato: Alcatraz. E ha usato, oltre al suo infinito carisma e una dose ragguardevole di coraggio, lo sport e in particolare il rugby come arma di dissuasione e mezzo di pacificazione fra rivali.
Quarantanove anni, famiglia di origini tedesche, studi in Francia (dove giocava a rugby a livello professionistico), avi dai nomi importanti come il libertador Simon Bolivar. Lui stesso si definisce un negoziatore. E lo è fin da quando, alla fine degli anni Novanta, dovette far fronte agli espropri e alle nazionalizzazioni dell’appena insediato governo Chavez. Oltre 400 famiglie invasero le terre dell’hacienda e a guidare questo tentativo di esproprio proletario era un generale che aveva partecipato al golpe di Chavez. La risposta di Vollmer fu da annali di storia della rivoluzione: «Se volete invadere le mie proprietà fate pure, ma sappiate che io invaderò i vostri cervelli». Il risultato fu un progetto chiamato Camino Real. Come dice Vollmer: «Io ho messo la terra, il governo le infrastrutture e loro la manodopera».
Da lì si consolidò la convinzione di Vollmer: ogni situazione di crisi va trasformata in opportunità. Pochi anni dopo, nel 2003, un nuovo attacco, questa volta da parte di componenti di una gang criminale che imperversava nella regione di Revenga, in cui si trova l’hacienda, a un’ottantina di chilometri da Caracas. All’epoca era una delle zone più pericolose, con un tasso di omicidi altissimo: 160 morti ogni anno per 6.000 persone. Anche in questo caso, Vollmer pensò a un’opportunità e scelse la negoziazione. Piuttosto che provare ad assicurare alla giustizia i criminali, propose loro un patto: lavoro in cambio di perdono.
I ventidue componenti della gang che aveva assalito l’hacienda furono integrati nella produzione e così nacque il progetto Alcatraz. Presto Vollmer oltre al lavoro, mise sul piatto anche la sua esperienza nel rugby, insegnando loro questo “sport da bestie giocato da gentiluomini”. Perfetto per gentiluomini come i componenti di una gang sanguinaria. Ma ancora i guai non erano finiti, perché presto si presentò alla porta la gang rivale della prima, ancor più numerosa: 36 feroci criminali che si facevano chiamare Cimitero. Vollmer ha accolto anche loro e in un primo tempo ha cercato di tenere separate le due gang.
Fin quando non è arrivato il momento di incontrarsi sul campo da rugby. Per via della differente capacità di giocare dei due gruppi, era necessario farli mescolare. Per riuscirci, bisognava far stringere un patto ai due capi. Vollmer li fa incontrare accompagnandoli in cima a una scala. Solo loro tre: l’obiettivo era far stringere la mano ai due, la sfida era uscirne vivi.
Alla fine, il paradigma di lavoro e sport su cui si basa Alcatraz ha avuto talmente tanto successo da coinvolgere altre 8 gang criminali. Oggi tutto il progetto conta 10 gang, 200 criminali coinvolti, 2000 giovani che giocano a rugby e una diminuzione degli omicidi a Revenga da 160 a 12, mentre nell’intero Venezuela il numero è in costante aumento. Al progetto Alcatraz si è aggiunto Invictus, dedicato ai detenuti delle prigioni venezuelane, dove Vollmer ha portato il rugby. E il capo della prima gang che ha dato il via al progetto è diventato il tuttofare della famiglia Vollmer. Con lui ci giocano i figli del patron.