Per almeno gli ultimi tre secoli la comunità del caffè ha cercato la modalità per ottenere in modo rapido una bevanda forte e capace di donare un piacere raffinato. Gli italiani sono arrivati per primi al traguardo creando una miscela di diverse origini in grado di reggere le pressioni elevate applicate al macinato e di offrire un risultato in tazza di grande aroma e setosità. La paternità della miscela è riconosciuta a Luigi Lavazza che la ideò nel 1895. Fino a quel momento si consumavano sin gole varietà alle quali si affiancarono delle vere e proprie “ricette” con diverse varietà e provenienze, tostate e pronte all’uso. È difficile se non impossibile dare una definizione univoca della miscela italiana, considerati i gusti differenti tra il Nord e il Sud della Penisola. In questa diversità a emergere è comunque sempre il genio italiano capace di produrre miscele che hanno, tra i loro punti di forza, una scala di aromi che copre l’intero arco olfattivo, senza concessioni a note negative come terra bagnata, cenere, muffa ecc. Chi tradisce questo profilo con caffè di scarsa qualità, o con tostature eccessive, che in bocca lasciano uno sgradevole gusto di amaro o di bruciato, crea un danno all’intera immagine del caffè italiano. E altrettanto fa chi accetta o ricerca per il proprio locale miscele da pochi euro: un buon caffè costa, come qualsiasi altro ingrediente tipico o territoriale perché è il frutto di una serie di lavorazioni attente e spesso artigianali che vanno dalla coltivazione fino al confezionamento.
La risposta dei torrefattori
Un’ulteriore caratteristica della miscela italiana è la sua costanza gustativa, che i torrefattori ottengono miscelando le diverse provenienze e gestendo con attenzione le fluttuazioni di gusto e di disponibilità della materia prima. Recentemente, ed è questa la grande novità, il mondo specialty ha fatto emergere nuovi gusti, scoprire le singole origini e i caffè di piantagione; da oltre frontiera stanno infatti arrivando prodotti che spesso si distinguono per una tostatura più chiara della classica italiana, e lasciano spazio all’acidità e a una maggiore ricchezza aromatica in tazza che, se non esasperate (ad esempio con note citriche evidenti) incontrano il gusto di un pubblico sempre più attento ed esigente. E le torrefazioni stanno rispondono a queste richieste. Ad esempio realizzando tostature più chiare che generano caffè in tazza più aromatici e meno amari. O lanciando singole origini o miscele con diversi profili aromatici proposte accanto alla formula classica che rimane la più richiesta. Tuttavia questa evoluzione verso miscele o proposte di nuove concezione sta avvenendo molto lentamente. Perché questa lentezza? Perché all’epoca della “first wave”, quando le torrefazioni hanno avuto il dominio del mercato, per lo più hanno lavorato per rendere “cieco” il consumatore, puntando sul brand e su generici concetti di bontà, senza far comprendere cosa c’è davvero di buono in una tazzina di caffè. Il paradosso è che questa strada è stata seguita sia dalle grandi torrefazioni, sia dalle piccole torrefazioni (fortunatamente non tutte). Bisogna dire che nel mondo del caffè non ha funzionato la realtà del piccolo produttore di qualità, presente in altri settori del food italiano, che si è smarcato dalla produzione industriale con prodotti di alta qualità e ha saputo fare cultura. Le cose fortunatamente stanno lentamente cambiando: le realtà che hanno sempre fatto qualità cominciano a ricevere le giuste attenzioni, le microrostery che spesso lavorano con caffè specialty (Bargiornale ne ha parlato nel servizio “Specialty coffee revolution” sul numero di settembre 2015) trovano spazio nelle caffetterie di nuova generazione. Per onestà intelletuale anche alcune grandi realtà del settore stanno guardando con attenzione ai nuovi trend, creando linee di prodotto dedicate.
Tipologie più diffuse
Parlando di miscele, l’invito è quello di andare a fondo e di non accettare come tale ciò che specialty o comunque di pregio non è. Ad esempio, un 100% Arabica non è sempre sinonimo di qualità: dipende dalla materia prima. Nelle terre d’origine il caffè viene selezionato e classificato: della stessa origine si può scegliere un prodotto eccellente, come pure un fondo di magazzino ed entrambi possono essere Arabica. E non è assolutamente da denigrare tut ta la Robusta; anche in questo caso ci sono prodotti di basso e di altissimo livello. Nuovamente questi ultimi sono molto costosi, e hanno il pregio di facilitare la realizzazione dell’espresso, dando corpo e un retrogusto cioccolatoso che il cliente italiano da sempre ricerca.
Parlando, poi, di specialty c’è da registrare come il fattore freschezza stia diventando sempre più strategico. Sono, infatti, sempre più numerosi i torrefattori che investono in sofisticati processi di confezionamento per preservare a lungo la qualità dei loro prodotti. A questo punto sorge spontanea una domanda: fronte di un evidente generale aumento della complessità del mercato, come ci si deve comportare per l’acquisto del caffè? Piuttosto che basarsi sui prezzi, la giusta prassi per il barista sarebbe di andare in torrefazione per vedere, toccare con mano e fare assaggi, scoprendo le origini e le caratteristiche del caffè. Solo così potrà, una volta dietro il bancone, accompagnare all’espresso una narrazione, una presentazione del prodotto e delle sua caratteristiche, creando un’autentica “coffee experience”. Non è un caso che siano sempre più numerose le torrefazioni che organizzano corsi per gli operatori presso la propria sede e incontri nei punti vendita con i clienti, ai quali offrono percorsi di degustazione affinché imparino a individuare ciò che è buono e cio che non lo è.
Nuovi baristi
Infine, una forte voglia di innovare nel segno della qualità arriva da molti giovani che sono entrati nelle torrefazioni, portando con sé il desiderio di dare spazio a nuove miscele, a nuove esperienze di gusto e a confezioni che raccontano il prodotto e spiegano cosa cercare in tazza. Sintomatico che tra gli addetti ai lavori stia crescendo anche la voglia di conoscere da vicino la prima parte della filiera del caffè: pa recchi baristi hanno già fatto l’esperienza di Barista & Farmer inventato da Francesco Sanapo, il reality sul mondo del caffè che si svolge nelle terre d’origine, che nel 2018 sbarcherà in Colombia. Si susseguono poi gli Umami Coffee Campus, con viaggi in piantagione che offrono un’esperienza di cultura e di vita che arricchiscono il torrefattore e il barista.
La sfida della qualità
In chiusura non può mancare una riflessione sul prossimo arrivo a Milano (fine 2018) di Starbucks. È opinione diffusa che l’ingresso del la catena americana cambierà il modo di esprimere il caffè, portando nuove esperienze di gusto e aprendo la strada al mercato italiano di qualità e aglispecialty. E, dunque, a valori che sono in parte già condivisi dalle nuove miscele e dalle caffetterie di concezione contemporane che in parte hanno già sposato la filosofia di Starbucks. Ci si aspetta l’affermarsi di una nuova figura di barista: più professionale e conoscitore del sistema caffè a 360°. Oggi il mondo del caffè sta vivendo tre grandi rivoluzioni: le monoporzioni, gli specialty con le microroastery e le catene di caffetterie internazionali: l’auspicio è che il barista scelga bene, guardando alla qualità senza compromessi.