Un settore dinamico, in cui la possibilità di trovare lavoro cresce, soprattutto per le donne e per i giovani. Stiamo parlando del mondo dei bar che, pur con tutte le contraddizioni di un settore in cui è alta la percentuale di imprese con un unico proprietario, e con forti differenze di trattamento economico tra Nord e Sud, mostra di essere in buona salute. Lo conferma la Fipe, Federazione italiana dei pubblici esercizi, che ha appena presentato un rapporto di settore positivo. Basato sui dati statistici di Istat, che purtroppo non distinguono, nel bacino degli esercizi pubblici del settore turismo, tra ristoranti, pizzerie e bar, lo studio segnala comunque una crescita del 3,3% dei posti di lavoro nelle quasi 330.000 imprese del comparto, di cui bar e simili, cioè esercizi di ristorazione senza cucina, rappresentano oltre il 45% del totale, per oltre 149.000 aziende.
Fipe segnala un trend positivo, sostenuto da una ripresa economica che spinge le famiglie ai consumi fuori casa, anche per effetto di un contenimento dei prezzi, che nei bar italiani nel 2017 sono rimasti pressoché stabili, con un aumento tendenziale di appena l’1,2% nella caffetteria e crescite un po’ più marcate per prodotti di pasticceria, gelateria e nei cosiddetti snack bar.
La struttura dell’impresa bar resta però per certi versi debole, con un numero di chiusure annuali più elevato rispetto alle aperture (dati 2016) e, in generale, quasi il 10% dei locali costretti a chiudere i battenti nell’arco di un anno. In totale, tutto il settore degli esercizi pubblici del turismo, quindi ristoranti e bar considerati insieme, dà lavoro a oltre un milione di persone, con un numero complessivo di ore lavorate che ha raggiunto i livelli del 2008, precedenti alla crisi, ma una produttività bassa. Il 66% degli occupati sono dipendenti e il 34% lavoratori indipendenti, in riduzione questi ultimi rispetto ai trend degli anni precedenti. Segno, secondo Fipe, del forte impatto della crisi sul settore, causa di un elevato numero di chiusure di attività. Circa il 55% dei lavoratori dipendenti nei bar e simili sono donne, e quasi il 50% hanno meno di 30 anni. Altre caratteristiche del lavoro nei bar sono la stagionalità e un’alta presenza di personale straniero.
Una professione seria
Si nota però una forte crescita della professionalizzazione del lavoro nei bar italiani. «Il lavoro negli esercizi pubblici - dice Eva Maggioni, Head of Sales & Strategy di Cornerjob, piattaforma web di ricerca e offerta di lavoro - sempre meno è considerato una situazione temporanea. È sempre di più, invece, considerato un’opportunità di carriera, a cui dedicarsi anche tutta la vita, sulla spinta mediatica che molti programmi tv stanno dando a figure professionali come il bartender o il mixologist».
Le fa eco Oscar Galeazzi, fondatore di lavoroturismo.it, la prima piattaforma web nata per creare un incontro tra domanda e offerta di lavoro nel settore, on line da oltre un decennio e considerata lo strumento per eccellenza di collocamento nel mondo bar. «Ci sono professionalità nel mondo bar - dice Galeazzi - molto richieste in Italia e all’estero, e che possono condurre a posizioni di responsabilità ben pagate. È molto richiesto, per esempio, il classico barman, o bartender, professionista, con competenze linguistiche, in grado di vendere e di gestire la clientela e i collaboratori. L’evoluzione di questa figura può assumere anche un ruolo manageriale e gestire per esempio più locali di uno stesso brand».
Altra figura professionale assolutamente attuale è quella del mixologist. «Esperto di cocktail - dice Galeazzi - con approfondite conoscenze dei prodotti, che utilizza per la creazione di nuovi drink o per realizzare varianti di grandi classici, spesso utilizzando bevande preparate da sé. È una figura che affascina molto i giovani, moderna, informale, molto positiva perché in generale valorizza la professionalità». Per un mestiere di questo tipo è basilare la preparazione e la formazione. «Una conoscenza - dice Galeazzi - di prodotti e normative igienico-sanitarie, una propensione a sperimentare, anche mettendo in conto eventuali insuccessi».
Formazione continua
Studiare è una parte essenziale nel mercato del lavoro di oggi per mantenere costantemente aggiornata la propria professionalità. Si parla, in questo caso, di formazione continua, con una netta rottura rispetto all’idea del passato, tipicamente italiana, che l’assunzione costituisce il coronamento e la fine del percorso di studi. «Non è più così - osserva Galeazzi - mentre invece è importante per i ragazzi stare sempre attenti alle mode e puntare sulla valorizzazione della professionalità, dei cosiddetti “soft skills”, competenze trasversali. Bisogna sviluppare la capacità di guardare avanti e di reinventarsi nel tempo. Un errore è invece specializzarsi in un’unica competenza, con il rischio di ritrovarsi nel tempo disoccupati». Un esempio è quello dei flair bartender, che devono sottoporsi a continui allenamenti, ma che oggi sono meno richiesti rispetto al passato.
Ora l’esempio del mixologist trova emuli anche in ambiti più tradizionali nel mondo bar. «Un profilo molto valorizzato - aggiunge Galeazzi - è quello del barista: un vero esperto nel lavoro di caffetteria, capace di selezionare e proporre alla clientela varie miscele di caffè, di gestire al meglio le attrezzature, abile nel preparare espressi, cappuccini, nel padroneggiare la Latte Art e nel proporre bevande ottenute con altre tecniche oltre all’espresso classico».
Il lavoro nero
Molto complesso, rispetto all’individuazione delle categorie professionali più richieste, è stabilire un livello dei compensi e degli stipendi. Ci sono troppe variabili a incidere sulle statistiche, compresa la diffusione del lavoro sommerso. Secondo l’ultimo rapporto Istat, infatti, nel settore del commercio al dettaglio, ristorazione compresa, circa il 25% di tutto il valore aggiunto generato dal comparto sarebbe generato da figure professionali inquadrate in modo irregolare. Qui non sembra prevalente il lavoro totalmente irregolare, quanto il sommerso proveniente “da sottodichiarazione”: in pratica il datore di lavoro si accorda con il dipendente per un certo tipo di compenso, di cui solo una parte è in regola.
Questa pratica, illegale, impedisce di avere un’idea chiara dei compensi delle professioni legate al mondo bar. Purtroppo negli ultimi anni secondo l’Istat è aumentata l’incidenza del lavoro completamente irregolare nel mondo del commercio, trasporti e ristorazione, in cui sono compresi anche i bar, giunta al 16,7% (dati 2015) sul totale dei lavoratori del settore. Di fronte al fenomeno sembrano limitate anche le difese. Un’iniziativa interessante è quella di OpenJobMetis con la sua piattaforma online di ricerca lavoro nel mondo bar ShakeJob, strutturata in modo da comprendere la firma del contratto e la definizione del rapporto di lavoro, temporaneo o giornaliero.
Uno dei problemi che conducono a questo fenomeno è anche la mancanza di strumenti agili per regolare il rapporto di lavoro per realtà come i bar, che possono avere necessità legate a picchi di lavoro o alla mobilità del personale. Un’alternativa per ovviare a esigenze temporanee può essere il contratto a chiamata, che però non si può applicare a lavoratori tra i 24 e i 55 anni e per le imprese che non hanno effettuato la valutazione dei rischi (obbligatoria per il settore horeca).
Su Bargiornale di febbraio 2018 la tabella con gli stipendi di riferimento delle principali figure del mondo bar.