Chiedimi chi era Tomas Estes

Tomas Estes
In un giorno abbastanza lontano dall’euforia e dall’allegria tipici della sua Tequila, in una città dell’Oregon si è spento Tomas Estes. Aveva 76 anni e Bargiornale ci tiene a ricordarlo con le parole di chi lo ha conosciuto.

Alle volte, le rivoluzioni nascono per un atto d’amore incondizionato. Come quella di un distillato affascinante, quanto complesso e misterioso, destinato allo stigma della bottiglia da duri, di immigrati nostalgici e criminali. Era il Tequila di inizio anni ‘80. Poche etichette, spesso nessuna, e un utilizzo quasi esclusivo nei Margarita chiesti dalle signore ancora reduci dalle serate anni ‘50 e le sbronze al Copacabana Club. Tomas Estes lo conobbe prestissimo, già dai suoi quindici anni, quando ne bevve un po’, assieme a degli amici della comunità messicana di Los Angeles, la sua città. Era l’unico non latino della compagnia (Tomas era la versione gallese di Thomas, non la latinizzazione), ma ne rimase folgorato, al punto da passare la sua vita da liceale attraversando il confine per assaggiarne varianti artigianali e sconosciute dai cantineros di confine. Spesso arrivavano trasportate dai campesinos, in sella all’asino. Più tardi avrebbe ammesso che in quella passione per la cultura di uno strano prodotto, ricercava il calore e l’autenticità di un Messico che conobbe da bambino assieme al padre, ben diversa dalla freddezza e dal materialismo della sua America. Vivere con cuore e anima ben connessi. Forse fu questa esigenza a spingerlo a lasciare tutto, la sua America e un lavoro sicuro da insegnante liceale, per inseguire l’avventura di un ristorante messicano in una città conosciuta in vacanza, Amsterdam. Lì nacque il primo della sua catena di ristoranti Club Pacifico: quesadillas e burritos come mai in Europa e una selezione di Tequila mai viste. Fu un successo, al punto da aprire una filiale in una Londra ancora lontana dal cosmopolitismo attuale, nel 1982. Fu lì che Dom Costa lo incontrò: «Era più di 30 anni fa, passeggiavo per Covent Garden. In un vicolo scoprii un signore che regalava assaggi di Tequila, mi incuriosii, era Phil Bailey (uno dei principali ambassador di Tequila al mondo n.d.r). Entrando nel locale, mi resi conto della vastità della sua selezione di bottiglie, alcune persino artigianali: per l’epoca era qualcosa fuori dal mondo, impensabile, di Tequila girava al massimo solo un’etichetta. Inutile dire che restai lì dentro tre ore.». Non fu l’unico, per quel locale passò gente come Dick Bradsell (che rimase impressionato, al punto da fare un locale suo tanti anni dopo, El Camiòn) e i suoi discepoli Tony Conigliaro e Nick Strangeway. E un ragazzo californiano come lui, umile e dalle grandi ambizioni, portato da Bradsell per conoscere le meraviglie di una Londra in ascesa: il suo nome era Julio Bermejo, ed avrebbe inventato il primo grande modern classic a base Tequila, il Tommy’s. Club Pacifico aprì filiali anche in altre città, tra cui Parigi, Colonia, Sidney e anche in Italia, in una Milano di inizio anni '90. Lo ricorda il nostro Stefano Nincevich: “Ero un ragazzino, ma lo ricordo bene. Club Pacifico era favoloso: i migliori Margarita, per distacco, di tutta la città. Cibo messicano incredibile, musica fighissima. C’era sempre fila, era tra i locali più ambiti della città.». In seguito, l’amore per il distillato portò Tomas a proseguire nella sua attività di ambassador e titolare di uno dei marchi più conosciuti oggi, la Ocho. Ne seguirono seminari, masterclass, incontri per far scoprire la potenzialità del distillato. In uno dei tanti, incontrò anche uno dei maggiori divulgatori della Tequila in Italia, il brand ambassador di Compagnia dei Caraibi Francesco Pirineo: “Per me è stato come un padre. Con lui ho condiviso tanti viaggi, avventure in Messico, in Italia a far conoscere il prodotto, tante serate. Non si risparmiava mai, dico mai, nonostante l’età. Voleva sempre conoscere gente, far conoscere il suo mondo, la sua passione per il distillato d’agave in generale, non solo la sua Ocho. Si sentiva ambasciatore di un intero mondo. Mi diceva sempre che per fare bene il mio lavoro bisognava sentirla, la Tequila. Il suo era un atto d’amore ed è per questo che lo porterò sempre con me, in ogni masterclass.». Già, un atto d’amore. Se con i tuoi amici, in questo breve momento di respiro dopo un anno di reclusione in casa, ti capita di festeggiare con gli amici con shot di un’ottima Reposado, sappi che c’è uno dei suoi padri in tua compagnia. In un giorno abbastanza lontano dall’euforia e dall’allegria tipici della sua Tequila, in una città dell’Oregon si è spento Tomas Estes. Aveva 76 anni.

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