Tradizione, genetica, purezza. Su questi tre pilastri si fonda lo stile de La Gineria di Padova. Un locale dai tanti volti – caffetteria, ristorante, cocktail bar – intitolato al culto del gin. 643 distillati x 40 acque toniche, in base al calcolo combinatorio, corrispondono a 25.720 drink diversi. Ma il tutto non si risolve in una mera questione algebrica. «Tradizione per noi – precisa il titolare Diego Cesarato – significa avere rispetto delle ricette originarie. Sia nel caso di un Gin Tonic sia per un Dry Martini. Da noi non troverete i cosiddetti Gin Tonic 2.0. Usiamo il collins e le decorazioni sono sobrie: scorzetta di limone o di pompelmo. Tutto qui. Non compriamo più cetrioli, neanche per la cucina. Ergo, Gin Tonic con il cetriolo da noi non ne vedrete. Statene certi». Altro punto focale è la genetica, o meglio, la conoscenza merceologica approfondita di ogni singola bottiglia di gin. «Il gin è sempre stato un mio pallino. Ne ho studiato ogni singolo dettaglio: storia, produzione, varietà. Nel 2010, nel primo locale che ho aperto a Mirano (Venezia), avevo già 200 etichette diverse. Il gin, ai tempi del bar “Al numero 4” non era ancora di moda, ma lo è diventato a breve. Ho avuto la fortuna di trovarmi in una felice congiuntura. Tanto che qualche anno dopo, nel 2014, ci siamo spostati di pochi metri dal primo bar per aprire la Gineria di Mirano dove oggi lavorano i bartender Marco Ballan, Riccardo Masetto e Serge Ventrella.
Editto della purezza
«Altro input che do alle mie squadre è lavorare nel rispetto della purezza. In altre parole significa mantenere gli standard sia per quanto riguarda il glassware, le temperature, la diluizione dei drink e la scelta del ghiaccio. Utilizziamo quattro tipi di ghiaccio. Quello destinato a shakerare, il crushed ice, i chunk e cubo pieno a -40°C. Questi elementi sono la base di partenza per realizzare 12 signature e i 12 grandi classici presenti in carta». Al banco de La Gineria di Padova, oltre allo stesso Cesarato c’è una squadra di professionisti esperti, composta da Mauro Uva e Raffaele Iovinella (trainer Planet One) e altri bartender. Lo staff è composto da 18 operatori divisi tra caffetteria, ristorante e un cocktail bar che macina mediamente 600-700 drink nelle serate di punta. «Il record - sottolinea orgoglioso Cesarato - è stato toccato di recente con 1.076 cocktail».
Roba da assalto alla diligenza. I classici più popolari, oltre ai martinis e al “Ginto” sono Aviation, Corpse Reviver No.2 Paradise. I drink della casa più richiesti sono il Mediterranean Mule, Sweet Brambol (felice storpiatura del Bramble di Dick Bradsell) e il Ginger Collins. Il Mediterranean Mule si prepara nella classica mug con 35 ml Gin del Professore Monsieur, 15 ml Amaro Braulio, 15 ml succo di limone fresco, 1 barspoon di essenza di rosmarino e ginger beer. Sweet Brambol è una combinazione su crushed ice di 35 ml Tanqueray No. Ten, 15 ml gin infuso ai fiori di sambuco e orchidea, 25 ml succo di limone, 10 ml sciroppo di zucchero e more fresche. Il tutto servito nell’old fashioned con float di more fresche pestate.
Terzo pezzo forte nella carta de La Gineria di Padova è il Ginger Collins preparato con 35 ml Bulldog gin, 15 ml gin infuso con rabarbaro e zenzero, 25 ml succo di limone e 10 ml sciroppo di zucchero. Altra proposta curiosa del locale padovano è l’idea del Gin Tonic a tutto pasto. Nel menu troviamo un antipasto di tartare di asparagi e mimosa di uovo accompagnati da Gin Tonic con Ophir che non la sua nota speziata esalta l’asparago. Per i tagliolini pesto, stracciatella e pistacchi è stato scelto un Gin Tonic con Wint & Lila, gin agrumato che si sposa perfettamente con la nota intensa del basilico e il carattere fresco del formaggio. Per la delicatezza della tartare di Sorana alla francese è stato selezionato Gin del Professore Crocodile, un distillato asciutto, pulito, con una parte retrolfattiva di vaniglia. Infine per la mousse al mascarpone con fragole e profumo di menta la preferenza è ricaduta su Gin Tonic con Bulldog, che con la sua nota floreale e lievemente speziato va a contrastare l’intensità della mousse e l’acidità della fragola.
Per chiudere chiediamo a Cesarato cosa ne pensa di questa moda dei gin italiani. «In realtà è semplicemente un ritorno. Come racconta anche Fulvio Piccinino nel suo nuovo libro “Il Gin Italiano”, i testi alchemici del Cinquecento, i libri di liquoristica rinascimentale e dell’Età Moderna, confermano che il fenomeno ha radici profonde e non si basa sull’improvvisazione. Per questo in carta abbiamo 92 referenze italiane accuratamente selezionate».