Fenomeno Private Label: la produzione conto terzi

Una collaborazione che funziona tra Edoardo Nono, titolare del Rita's Cocktail Club di Milano e Menfi Baracco di Compagnia dei Caraibi
Spinti dalla domanda del mercato per prodotti speciali e legati al territorio, nascono e crescono tante piccole realtà con l'alambicco che lavorano per conto terzi

Piccoli liquorifici e distillerie si stanno moltiplicando da Nord a Sud per produrre per conto terzi. Un fenomeno che coinvolge anche grandi nomi della bar industry in collaborazione con noti bartender.

Una private label (o marchio privato) è un prodotto fornito da società terze e venduto con il nome del marchio del richiedente. Fino a pochi anni fa, i produttori a cui rivolgersi erano principalmente le grandi distillerie del Nord Italia. Ancora oggi ci sono produttori come Antica Distilleria Quaglia o Torino Distillati dietro a numerosi marchi presenti negli scaffali dei bar di tutta la Penisola. Ma c’è un "sottobosco" di piccole o piccolissime produzioni che si affacciano su un mercato in cui è sempre più difficile sapersi imporre.

Piccole distillerie crescono

È con la nascita di piccole distillerie che il mercato si è aperto anche a chi, con un investimento contenuto, può provare a fare di un’idea un business. Nel maggio 2018 Gabriele Persichetti e Paola Pasquarelli aprono Anonima Distillazioni e cominciano a produrre Aquamirabilis, il loro gin. Rientrare dell’investimento (poco meno di 200mila euro) con un solo prodotto era difficile, per cui iniziano presto a colmare i buchi produttivi con commissioni in conto terzi. Insieme a una crescita costante dei volumi produttivi (dalle 22mila bottiglie nel 2018 alle previste 50mila del 2021), hanno visto anche crescere la richiesta di private label, che oggi rappresenta il 45% del volume produttivo. Da Anonima, il batch minimo di produzione è di 200 litri, consentendo ad un cliente - a fronte di un investimento di circa 2.500 euro - di produrre un primo lotto.

«Oggi - commenta Persichetti - la distilleria sta respingendo gran parte delle richieste di questo tipo, alzando progressivamente i minimi di produzione. Questo perché ci confrontiamo con molti clienti che hanno progetti che difficilmente possono definirsi tali. Il mercato comincia ad avere difficoltà a dare spazio a tutte le offerte di gin, però reputo interessante che in tutta Italia, specialmente al Sud, stiano per sorgere numerose microdistillerie e liquorifici. Prevedo in futuro 4-5 produttori in ogni regione, che andranno a coprire le richieste sartoriali di molti clienti».

Sempre nel 2018, a Firenze, Tommaso Pieri apre Distilleria Urbana e la sua linea di liquori. Le prime realizzazioni in conto terzi nascono più per voglia di ricerca, con clienti che vengono dal mondo della birra o del vino. A oggi, con il mercato che è ripartito, circa il 20% delle produzioni di Pieri sono in conto terzi. Anche lui racconta di una operazione di scrematura che deve fare a monte, intuendo quali sono i clienti che potranno generare volumi e quelli che si fermeranno a un primo lotto (che nel suo caso è di sole 60 bottiglie). «Il private label può dare un flusso di cassa che fa sempre comodo, però in alcuni casi l’investimento, in termini di know-how e tempo, è più grande da parte del terzista che del cliente». Produrre un liquore o un amaro per un bar può rappresentare un’opportunità di business in più. Il costo di un amaro privato è di poco superiore (circa il 20%) a quello di un prodotto analogo in grande distribuzione, però un locale in questo modo crea un’offerta che lo differenzia dai competitor, con conseguente possibilità di fare up-selling, vendendo bottiglie da portare a casa, soprattutto in periodi di chiusure forzate.

Dal mondo degli home-made sono nati alcuni prodotti che agli ideatori stanno dando grande soddisfazione. È il caso di Luca Magone dell’XXL di Chivasso, che con la sua linea T+ di liquori a base di tè è arrivato a una distribuzione nazionale nel 2016. Altro nome noto è Edoardo Nono del Rita' Coicktail Bar di Milano, che produce il suo falernum a marchio Mr. Three & Bros insieme al grande distributore Compagnia dei Caraibi. Hanno iniziato con un batch di 500 litri nel settembre 2019 e oggi producono 5.000 litri per volta, e hanno avviato le pratiche di certificazione di ogni materia prima, per poter presentare la richiesta di immissione del prodotto negli Usa, tramite la Food & Drug Administration.

«Il progetto - spiega Nono - si autofinanzia. Ciò che guadagniamo lo reinvestiamo, per la crescita del marchio. È l’unico modo di costruire un brand che un giorno potrà dare un’effettiva soddisfazione economica». Sembra non essere solo la motivazione economica a muovere gli animi di coloro che si lanciano in una private label. La valorizzazione di un territorio è spesso motivo trainante, come nel caso di Grand Tour di Christian Sciglio a Taormina: un compound gin che è un omaggio alla Sicilia. A Palermo, impiegando alcune botaniche dell’Orto Botanico, è nato il gin di Talea. È prodotto da due distillerie: Poli e Jannamico. È in quest’ultima che Mauro Mahjoub produce il suo 2Punto4, per incoronare una carriera trentennale al bar e per dare il suo punto di vista sul gin. «Le vendite - ci dice - stanno andando bene». Ma non è il solo ad affermare che il mercato comincia a diventare stretto. *

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