C’era una volta la Swinging London e (probabilmente) ci sarà ancora

Cosa pensano e prevedono i nostri professionisti che lavorano a Londra, oggi in "full lockdown" e un tempo trampolino di lancio preferito per bartender e manager dell'hospitality. Lo abbiamo chiesto a Lucia Montanelli, Enrico Gonzato e Francesco Lombardi

La capitale britannica è una città vuota e spenta, quasi irriconoscibile se confrontata alla Londra pre pandemia. Il "full lockdown", deciso lo scorso dicembre dal governo Johnson, ha fatto riabbassare la saracinesca a pub, ristoranti, alberghi, cocktail bar, fatta eccezione per il servizio di takeaway. Per l’economia è un colpo devastante: centinaia di migliaia di posti di lavoro potrebbero saltare, soprattutto in quei settori, dall’ospitalità allo spettacolo, che più avevano sofferto a causa dei lockdown precedenti e che non erano mai riusciti a riprendersi (a rischio ci sarebbero 750mila posti di lavoro solo nell'industria dell'ospitalità). Una situazione che potrebbe perdurare ancora per mesi (al momento si prevede un allentamento delle restrizioni a partire da aprile) e che l'anno scorso ha obbligato molti professionisti che lavorano nell'hospitality a rientrare nei loro Paesi d'origine (si parla di un esodo di quasi 700mila residenti nati all'estero). C'è chi resiste. Soprattutto chi se lo può permettere perché lavora in compagnie internazionali dalle spalle ultra solide o è "coperto" dal furlough, la "cassa integrazione" britannica che contribuisce all'80% (lordo) dello stipendio, fino a un massimo di 2.500 sterline, con il restante 20% a carico del datore di lavoro.

 

«La situazione è quella che nota a tutti, ma non bisogna lasciarsi prendere dallo sconforto o dalla paura - spiega Enrico Gonzato, bars manager al The Statford e professionista di lungo corso con esperienze al The Connaught e al Dandelyan - ma occorre reagire e approfittare di questo periodo di pausa per riprendersi in mano l'esistenza e riprogrammare il futuro. Io l'ho fatto: ho adottato uno stile di vita healthy, ho riallacciato contatti che prima trascuravo e ho cercato di caricare di positività ogni momento della giornata. Tanto che mi sono inventato uno show che ho chiamato "Ciao - Ciao - Ciao Vivi Miscelato": in pratica, organizzo delle dirette su Instagram dove ospito colleghi italiani che lavorano all'estero. Ho già invitato grossi nomi come Daniele Dalla Pola, William Perbellini, Massimo Stronati e altri. È un modo per rafforzare la community e dare un messaggio positivo a chi ci ascolta. È un'iniziativa che è partita un po' in sordina, ma che sta ottenendo un notevole supporto anche da molti noti brand della bar industry. Detto questo, le grandi compagnie alberghiere presenti a Londra, compresa quella per cui lavoro, stanno tutte investendo o avviato milionari piani di sviluppo: è questo un indicatore che la ripartenza non solo ci sarà, ma  sarà importante. Allora dovremo essere pronti a rituffarci nella Londra che tutti ricordiamo e amiamo: dunque, il mio messaggio è non mollare perché fioriranno  nuove opportunità di business e di lavoro, anche per i più giovani che sono all'inizio della loro carriera e che oggi sono la fascia più colpita dalla crisi».

L'esodo dei lavoratori stranieri

Sulla stessa lunghezza d'onda anche Lucia Montanelli, head bartender al The Bar at The Dorchester  e vincitrice della Beluga Signature 2019, che sottolinea come vi sia, nonostante la contingenza, la volontà di andare oltre e di guardare al futuro con ottimismo. «Siamo tutti consapevoli della gravità della situazione, ma chi ha potuto beneficiare del farlough scheme e lavora per compagnie affermate e finanziariamente solide si è sentito protetto. Meno bene, è andata a chi magari era appena arrivato a Londra o lavorava come cameriere o barback dove a fare la differenza non è tanto lo stipendio base, generalmente ai livelli minimi, ma il service charge. E, dunque, molti lavoratori stranieri, visto l'alto costo della vita, hanno dovuto lasciare la capitale. L'80% delle persone che conosco è tornata in patria e spera di ritornare quando i tempi saranno migliori. Anche la mia compagnia ha investito molte risorse ed elevato il livello, già molto alto, della struttura. Tutto questo fa presagire una ripartenza in grande stile. Anche se, personalmente, credo che gli effetti di questa crisi si faranno sentire sui comportamenti di consumo delle persone. Il lusso sarà vissuto con meno opulenza e sfarzo: ci sarà più attenzione a temi come la semplicità, la sostenibilità o la lotta allo spreco. E anche gli standard di servizio cambieranno insieme al modo di rapportarsi con la clientela. Insomma, ci avvieremo a una nuova normalità. Non dimentichiamo, infine, che un altro tema caldo ad alto impatto sarà quello della Brexit. Il panorama è ancora incerto, ma credo che, a differenza del passato, per chi vorrà venire a lavorare a Londra ci saranno molte barriere all'entrata».

Il futuro incerto della City

A Londra, come nel resto del Regno Unito, l'incoming turistico è bloccato e il mercato americano, strategico per l'hotellerie di fascia alta, è quasi completamente assente da circa un anno. Ma c'è chi è rimasto aperto fino allo scorso 20 dicembre, accogliendo per di più clienti nazionali e qualche straniero. Tra queste eccezioni, il Conrad London St. James che aveva come ospiti diversi membri dello staff della Commissione Europea impegnati nelle trattative finali della Brexit. «Nessuno nega che il settore sia in forte difficoltà - spiega Francesco Lombardi, bar general manager del Conrad London St. James, luxury hotel nel cuore di Westminster - ma, allo stesso tempo, sono previste diverse importanti nuove aperture di locali che sono state rinviate al momento in cui si ritornerà alla normalità come il NoMad o il Peninsula Hotel, solo per citare le più note. Il nostro management sta mettendo a frutto questo periodo per avviare un refurbishment completo delle attività f&b dell'albergo con l'attivazione di un cocktail bar, di un destination restaurant che vedrà la presenza della chef stellata Sally Abe e di un luxury pub. E, dunque, non stiamo con le mani in mano. Il recupero sarà lento, ma  irreversibile. Io e i colleghi italiani che lavorano nella capitale ne siamo convinti: Londra riacquisterà presto la sua centralità di snodo commerciale e finanziario a livello globale. È una metropoli dalle risorse infinite che risorgerà più forte di prima. Certo, gli effetti della pandemia a livello economico si faranno sentire per molto tempo e colpiranno soprattutto i locali ad alta frequentazione delle high street, quelli cioè abituati a lavorare sui grandi volumi. Più agevolati nella ripartenza, saranno, invece, i locali che si rivolgono alla fascia premium del mercato». A proposito di Brexit,  è ancora difficile valutare le conseguenze dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e il futuro di Londra come hub finanziario è ora in balia dei venti politici su entrambi i lati della Manica. Secondo alcune stime la recessione causata dalla Brexit sarebbe equivalente alla perdita di produzione economica per un valore di oltre 40 miliardi di sterline in due anni. Ma ci sono anche le previsioni della Banca d'Inghilterra, secondo la quale nel Regno Unito ci sarà una crescita del 5% nel 2021 e del 7,25% nel 2022. Una stima che rimette la prua dell’economia britannica più avanti di quella dei competitor europei, a partire da Italia e Spagna, che nel 2022 non saranno ancora tornate ai livelli di Pil pre-pandemici. Insomma, l'ottimismo dei nostri connazionali sembra essere ben riposto.

 

 

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