Quelli dei bar temporanei

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I temporary space vantano almeno un bar all’interno, rivelandosi un’opportunità per i professionisti del settore. E lo stesso bar può trasformarsi in un luogo temporaneo per eventi. Con il vantaggio di rinnovare l’immagine e alimentare gli affari

Temporary space, tradotto spazi temporanei. Spazi che durano poco, con la data di scadenza come il latte. Sono luoghi nati per presentare in modo scenografico un libro, una nuova bottiglia, una linea di lingerie. Che all’interno di norma offrono un servizio di bar catering. Sono (o dovrebbero essere) spazi neutri come una tela d’artista, pronti ad accogliere la visita di cento, mille ospiti. Difficili da progettare, difficili da gestire. Michele Cocciolo, barman che ha lavorato in spazi “convenzionali” come i lounge Fitzcarraldo e il Ricci di Milano, e che oggi si occupa di gestire alcune serate allo spazio T35 di Milano ne analizza le criticità: «Bisogna gestire con grande precisione gli approvvigionamenti, per avere il minor scarto possibile ed evitare problemi di stoccaggio. A differenza dei locali tradizionali, che sono gestiti come vere aziende, negli spazi temporanei bisogna ogni volta ricalibrarsi, secondo le esigenze del committente. È difficile per esempio prevedere con esattezza quante bottiglie serviranno per l’evento o il quantitativo di ghiaccio da ordinare per coprire le necessità delle work station mobili». A queste necessità, diciamo tecniche, si aggiungono altri problemi collegati agli impianti elettrici e idraulici. Senza gli scarichi necessari, puoi avere la più bella location del mondo, ma si rivelerà inservibile. «Le componenti tecniche sono vitali per uno spazio temporaneo. A queste vanno aggiunte le componenti strutturali. Un temporary space deve avere pochi orpelli, meno pilastri e barriere possibili. Soffitti alti, pareti ritinteggiabili e un pavimento in grado di resistere agli urti della vita. Bene il gres porcellanato, le resine, ma anche il legno, che deve essere alto almeno 15-20 mm per permettere una manutenzione appropriata». A darci le dritte è Gianpietro Sacchi, docente e coordinatore di Temporary Space & Exhibition Design del Poli.design di Milano, corso post universitario dedicato al design di spazi espositivi e temporanei. In cattedra, al corso diretto da Nicola R. Ticozzi, sono intervenute celebrità dell’architettura come Simone Micheli e Marco Piva, oltre ad Arturo dell’Acqua Bellavitis, vicepresidente della Triennale e Luisa Collina, docente del Politecnico di Milano.

Progetti per cambiare gli spazi

Al termine di 160 ore di lezioni, educational tour e di svariate ore di creatività sono nati sette interessanti progetti. Come “Sorsi divini”, del gruppo di studenti di 4DLab, uno spazio per la Regione Sicilia, collocato idealmente a Vinitaly, dove viene esposta in maniera innovativa la produzione vinicola regionale. Valida è anche l’idea di “Hikea”, ipotetico spazio espositivo per Ikea alla manifestazione Sia Guest di Rimini Fiera, creato per presentare i nuovi servizi dedicati al settore alberghiero della multinazionale del mobile svedese. Dulcis in fundo la magia di “BidibiBodibiBoo”, temporary shop dal sapore fiabesco di Glue Cinderella, la prima collezione di calzature Kartell, disegnate da normaluisa. Uno spazio che regala forti emozioni con i marcatori luminosi a segnare il passaggio degli ospiti, avvolti da un turbine di giochi di luce e di colori. «L’obiettivo ultimo dei temporary space - conclude Sacchi - è quello di offrire un’esperienza appagante. C’è memoria del luogo visitato solo quando c’è una buona esperienza. Lo stesso, se pensiamo, vale per i locali. Siamo disposti a tornare se il barman, l’atmosfera o il servizio ci hanno impressionato».

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