Parliamo del nemico?

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Courtesy Ryan McGuire/Pixabay
La trappola dell'"Io ho sempre fatto così" (il vero nemico) per chi gestisce un pubblico esercizio. E la necessità di investire sulla qualità delle persone. Ne parliamo con Marisa Ferrara

Il peggior nemico per un imprenditore (forse) è una breve, subdola frase di sole cinque parole. Famosissima: "Io ho sempre fatto così".

Nella versione del dipendente, è più facilmente riconoscibile. Diventa "Abbiamo sempre fatto così" e si usa, in genere, come giustificazione passe-partout (o 4 stagioni, scegli cosa preferisci) di fronte a una richiesta di chiarimento, spesso a fronte di un comportamento illogico, irrazionale, miope. Risultato immediato: salto della mosca al naso.

Curioso, però, che la stessa frase, riconosciuta e bollata (a ragione) come "nemica" sulla bocca dei propri dipendenti, spesso diventi un pensiero condizionante nella testa di alcuni imprenditori. Ironia della sorte quando il pensiero sorge proprio a proposito dei dipendenti. O meglio, della modalità di relazionarsi con loro.

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Marisa Ferrara, consulente e formatrice

Che c'è di male? «L'evoluzione è il fondamento dell'esperienza umana. Si cambia continuamente, che lo si voglia o no - spiega Marisa Ferrara, consulente e formatrice esperta nella gestione delle relazioni interpersonali sul lavoro -. Eppure la parola cambiamento provoca spesso delle resistenze. Se invece parliamo di innovazione, tutti sono concordi sulla sua importanza. Ma a pensarci bene non può esserci innovazione senza cambiamento».

L'importanza dell'esperienza

«Chi lavora nel mondo dei pubblici esercizi - spiega Ferrara - ha di fronte una grande sfida, che richiede un vero salto di qualità: passare da una mentalità del "commerciante", "che deve fare denari" a quella di un imprenditore attento alla relazione con i clienti e dei propri dipendenti. Non c'è nulla di male, intendiamoci, nell'idea di fare denari. Ma oggi non basta più: perché il cliente è cambiato. Si informa, sceglie, valuta, giudica. È molto più esigente rispetto al passato. E non si accontenta più della qualità del prodotto, che pur deve esserci ma viene data per scontata. Sceglie chi sa offrirgli l'esperienza migliore. E la qualità dell'esperienza la fa la qualità delle persone».

Da qui la necessità di lavorare sulla qualità umana del proprio personale: «Non è più tempo di prendere il primo che capita o di sottovalutare l'importanza di chi lavora a contatto con il cliente - continua l'esperta -. Attenzione però: i dipendenti rispecchiano le modalità del loro datore di lavoro. Difficile ottenere capacità di accoglienza e sorriso da chi lavora con noi se non non mostriamo loro capacità di accoglienza e sorriso. Questo è il motivo per cui è diventato sempre più importante, per un imprenditore, lavorare sul proprio stile di comunicazione e di leadership. Perché è la strada maestra per migliorare la qualità delle proprie persone. E, di conseguenza, la qualità dell'esperienza dei clienti» (per approfondire, leggi anche: “Tu e le persone. Le regole per ottenere il meglio dagli altri”).

I momenti chiave

«Ogni esperienza di consumo - spiega Ferrara - si compone di tre momenti: la premessa, il nucleo e la conclusione. Le persone però, di norma, ne ricordano solo due: premessa e conclusione. Da qui l'importanza di lavorare sul momento dell'accoglienza, che influenza in modo significativo la permanenza nel locale, e sul momento del commiato, che è il biglietto da visita del posto che il cliente si porta a casa (o decide di buttare)».

 

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