Secondo numerose ricerche i comportamenti d’acquisto degli stranieri sono ormai molto simili a quelli degli italiani
Il processo di integrazione degli immigrati regolari in Italia, circa 3,6 milioni, all'interno della società italiana è molto più avanzato di quanto si possa pensare. Tanti i segnali di questa “fusione” presi dalla realtà di tutti i giorni. Ad esempio, in un take away milanese gestito da algerini, fa bella mostra di sé in menu la “pizza kebab”. Ossia un trancio di italianissima pizza margherita, avvolto stile rotolo, farcito con la celebre carne cotta al girarrosto e arricchito della tradizionale salsa piccante harissa di origine nordafricana. Un best seller, assicurano i ragazzi che lavorano dietro al bancone, amato soprattutto dagli immigrati, quasi a realizzare un ponte alimentare tra due culture: mediterranea e maghrebina.
I progetti d'integrazione
Il cibo, dunque, come strumento di conoscenza delle culture “altre” e come veicolo di interrelazione fra i popoli: ne sanno qualcosa, ad esempio, le scuole italiane, in particolare le elementari, in cui la crescente presenza di allievi stranieri rimette in discussione sia la didattica che l'organizzazione interna. A partire dal cibo, con giornate o menu etnici volti ad insegnare anche a tavola ai valori della multirazzialità. Vedi il progetto “Ogni mese...un Paese”, avviato nelle mense scolastiche della capitale, frequentate da circa 30mila bambini e ragazzi di 170 nazionalità diverse, circa il 9% del totale (www.comune.roma.it). Se, dunque, da una parte gli italiani stanno scoprendo con piacere nuovi stili alimentari abituandosi al mix di tradizioni della società multietnica, dall'altra gli stranieri si stanno caratterizzando sempre di più come un target di consumo strategico anche per la comunicazione pubblicitaria, con stili d'acquisto, scelte e bisogni propri. Una fascia di mercato in grado potenzialmente anche di ridisegnare la mappa dei comportamenti nei canali dell'extradomestico.
I numeri del fenomeno
Sono oltre 3,6 milioni gli immigrati regolari in Italia, secondo il dossier immigrazione firmato da Caritas-Migrantes (dossierimmigrazione.it). Un dato che pone l'Italia vicino, in termine di numerosità di immigrati, a Paesi europei, come Spagna o Regno Unito, di più antica tradizione immigratoria. Nonostante la convinzione diffusa, solo cinque immigrati su 10 sono extracomunitari: forte, infatti, è la presenza di cittadini Ue che risiedono in Italia, compresi gli abitanti di quei Paesi dell'Europa orientale che solo recentemente sono diventati comunitari, come Romania e Polonia. Proprio la Romania è il Paese più rappresentato, con 500mila persone munite di regolare permesso di soggiorno, seguita da Marocco e Albania (circa 400mila immigrati ciascuno), da Ucraina (200mila presenze) insieme alla Cina e da Moldavia, Tunisia, India e Polonia con 100mila presenze ognuno. Oggi il rapporto tra immigrati e italiani è di 1 a 16, ossia ogni 16 italiani vi è un cittadino immigrato. Ma tutti gli indicatori fanno pensare a un continuo aumento del numero degli stranieri residenti in Italia: «Il nostro - spiega Franco Pittau, coordinatore del Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes - è un Paese destinato a superare i 10 milioni di cittadini stranieri. Qualche tempo fa si prevedeva che questo numero si sarebbe raggiunto verso la metà del secolo in corso, ora si pensa molto prima. Questo maggiore afflusso eviterà, come già sta avvenendo, una brusca diminuzione della popolazione causata dal crollo delle nascite. E determinerà un progressivo aumento dell'incidenza della popolazione straniera sul totale complessivo dei residenti che potrebbe arrivare al 20%. Una percentuale già raggiunta oggi dalla vicina Svizzera». Quella che si prefigura, quindi, è una nuova Italia, nella quale gli immigrati, nel loro status di “nuovi italiani” diventano anche consumatori a tutti gli effetti.
Una popolazione con abitudini simili a quelle degli italiani
Lo mette in luce una recente indagine, realizzata da TomorrowSwg (tomorrowswg.it) e prodotta da Etnocom, che traccia un identikit degli immigrati in Italia: una popolazione giovane, amante del nostro Paese e con una buona propensione alla spesa per quanto riguarda il tempo libero. Con un'età media di 35 anni (il 40% ha tra i 25 e i 34 anni), gli immigrati mostrano di avere interiorizzato le abitudini degli italiani su come spendere il proprio tempo libero: il 54% degli intervistati dichiara di andare al cinema, il 22% dei quali una volta al mese. Molto amata anche la discoteca, che raccoglie i consensi del 37% degli immigrati. Addirittura il 6% si dichiara un assiduo frequentatore, visto che si reca a ballare nei locali della notte una volta la settimana. Ma è nel “sedersi a tavola” che gli immigrati riducono ulteriormente le distanze dagli italiani: il 62% afferma di mangiare nei fast food (77% dei quali da Mc Donald's e il 31% da Spizzico), mentre il 76% dichiara di recarsi in pizzeria-ristorante: un 15% tutte le settimane e un 34% almeno una volta al mese. Una dichiarazione d'amore per la cucina italiana che si deduce anche dall'utilizzo della pasta, apprezzata e consumata dal 79% degli intervistati. Una tendenza avvalorata anche da un altro studio promosso da Coldiretti (Nomisma-Demetra 2007, www.coldiretti.it), dove emerge che acquistare alimenti di provenienza italiana è importante per il 31% degli stranieri, mentre solo l' 8,5% indica come prioritario il prodotto del proprio Paese. Ennesima dimostrazione di un elevato livello di integrazione, anche se ben il 20% di immigrati dichiara di acquistare prodotti alimentari presso negozi gestiti da stranieri. Certo, l'adesione a stili occidentali non è pacifico. Quale che sia l'etnia di appartenenza, la professione esercitata o la struttura del nucleo familiare, gli immigrati extracomunitari di prima generazione vivono in continua oscillazione tra il desiderio d'integrazione e quello di salvaguardia della propria identità culturale.
Un comportamento ambivalente
«Osserviamo, nei confronti della cucina - dichiara Daniela Ostidich, presidente di Marketing&Trade, società milanese che ha svolto per il mensile Mark Up l'indagine “Immigrazione e commercio” sul comportamento di consumo dei “nuovi italiani” nella piazza di Milano (www.mark-up.it) - un atteggiamento ambivalente: durante la settimana gli immigrati che lavorano adottano una dieta mediterranea, più facile da reperire, da condividere con i colleghi di lavoro, veloce da preparare e da digerire. Invece, durante il weekend o nelle giornate di festa, lo straniero preferisce tornare ai piatti tradizionali, cucinati insieme all'interno di un gruppo di connazionali, parenti o amici». Ed è proprio questa dimensione “comunitaria” che caratterizza il tempo libero di molte comunità; e se c'è un prodotto che accomuna italiani e immigrati in un unico consumo collettivo, questo è la birra. Naturalmente divergono i luoghi: se per gli italiani il bar e la birreria sono due approdi naturali, per la folta comunità di immigrati, esclusi quelli che per precetti religiosi non possono bere alcolici, le panchine dei parchi o le piazze si trasformano in bar “plein air” dove socializzare. «Generalizzando un po' - prosegue Ostidich - si tratta di comunità che vivono gli spazi pubblici non come veloci luoghi di passaggio, ma come luoghi da vivere. La grigliata tra amici è possibile solo al parco, dove si può prendere il sole oppure stringere nuove amicizie. Certo, ciò espone la città a problemi di decoro o di ordine pubblico, ma questo è un modo caldo di vivere la città, molto latino. Non c'è per forza il degrado, ma è frutto della mentalità di vivere la metropoli come un contenitore che va riempito».
Quello che, infine, si profila, al di là delle specifiche etniche e locali, è un orizzonte di integrazione che subirà un'accelerazione con gli immigrati di seconda e terza generazione. «Per gli immigrati - dichiara Stefano Grezzi, responsabile della ricerca di TomorrowSwg - più che di un'italianizzazione si può parlare oggi di un'omologazione nei confronti della società occidentale e questo fenomeno lo si vede dal successo di cinema e fast food. Parallelamente, vediamo un processo di acquisizione da parte degli italiani di stili e abitudini alimentari alternative, grazie all'affermarsi nella ristorazione di una piccola imprenditoria soprattutto cinese e nordafricana». Come si conviene, giustamente, a una società multietnica.