Il mercato del fuori casa cresce, con un deciso affollamento di punti vendita e tasso differenziazione molto alto che spinge produttori e gestori alla ricerca di nuovi spunti per distinguersi. È un quadro complesso di cui ha fornito una visione la nona edizione del convegno “Away from home: Quale futuro?” organizzato da TradeLab sul tema “Route to Market, la sfida per la crescita”.
Dopo un lunghissimo periodo di crisi economica l’Italia dà segni di ripresa, supportata non solo dall’export, ma anche dalla domanda interna: aumentano i consumi delle famiglie e riprendono gli investimenti in macchinari e attrezzature da parte dell’industria. Anche il fuori casa fa registrare un dato positivo: la previsione di chiusura del 2015 si attesta sulla dimensione del mercato sui valori 2008. Hanno influito sul balzo dell’ultimo anno la crescita del turismo che c’è stata nel Paese sia per effetto dell’Expo, sia per l’impraticabilità di alcune aree del Mediterraneo.
Le previsioni per il 2016 scommettono sulla capacità di intercettare e consolidare la domanda turistica della stagione da poco conclusa, che dovrebbe avere come conseguenza un consolidamento e una crescita, con un incremento dell’1-1,2% rispetto al 2015 per un fatturato di circa 71 miliardi di euro.
Clienti a caccia di novità
La spesa delle famiglie in servizi ha raggiunto il 55% superando quella in beni e spostandosi da casa a fuori casa. Gli acquisti non sono più programmati su base mensile o settimanale, ma si fanno continui, in minore quantità ma più spesso; dunque, dalla programmazione si è passati al just-in-time. Nel fuori casa, intanto, si moltiplicano le formule: il cliente vuole essere stimolato dal nuovo, dall’insolito, ma anche dal ritorno alla tradizione, e a fronte di questa richiesta le ibridazioni sono ormai infinite. Il nuovo consumatore non va in cerca di un locale o di un cibo particolare, semplicemente lo trova e lo consuma, in più occasioni nell’arco della giornata. Ci si nutre divertendosi (è il “foodtainment”), spaziando dal tradizionale al tipico, dal biologico al vintage, ma anche al fast/junk/funky food.
Despecializzati in calo
La distribuzione dei consumatori lungo l’arco della giornata vede percentuali vicine al 50/50 tra uomine donne a colazione, pranzo e cena; le occasioni più “femminili” sono le pause di metà mattina e pomeriggio e la più “maschile” (61,8% del totale) la notte. I più assidui in tutte le fasce orarie si collocano in una fascia tra 25 e 55 anni e sono soprattutto gli impiegati. I locali più frequentati sono il bar tradizionale (67,5%), cui seguono la pizzeria (51,2), il bar pasticceria (38,1) e il ristorante con un costo al di sotto dei 30 euro (36,5). La dimensione sociale del fuori casa (mangiare e prendere insieme un caffè, fare shopping) è fondamentale: non a caso in questo momento negli ipermercati la “piazza food” è quella che funziona meglio. E per far girare il business i locali devono sapersi adeguare ai tempi e specializzarsi. Perché se il mercato dei consumi fuori casa cresce, non lo fa con i valori del passato (tra il 2001 e il 2008 la crescita media annua è stata del 4,3%, tra il 2008 e il 2015 è scesa all’1,7%) e nonostante in Italia ci sia la rete di locali più estesa d’Europa (bar e ristoranti sono arrivati a 253mila), la crisi non ha portato alla razionalizzazione che molti si aspettavano: nel periodo 2008-2015 i punti di consumo sono addirittura cresciuti di 21mila unità. Nel frattempo c’è stata una decisa spinta alla differenziazione: negli ultimi dieci anni i locali “medi” sono calati e ben 30mila tra bar e ristoranti si sono specializzati. All’interno di un mercato in cui la competizione è sempre più aggressiva, per aziende e punti di consumo è importante creare un prodotto pensato e indirizzato a uno specifico canale e indirizzato a esso, con il supporto di strumenti di merchandising che diano più valore alla marca e spingano il prodotto sul punto vendita.