Locali storici tra crisi e nuove aperture

Ristorazione –

Speculazioni, costi elevati per la gestione, vuoto legislativo: i caffé storici delle nostre città rischiano spesso la chiusura

Succede un po' a tutti: gioiellerie, corderie, drogherie, ma anche caffè e ristoranti. Esercizi centenari, con interni d'epoca e insegne su cui campeggia orgogliosa la data di fondazione, decidono di abbassare la serranda per sempre. E magari sono sostituiti da banche, boutique, ristoranti cinesi. Solo negli ultimi mesi, i giornali si sono occupati della sparizione della Norcineria Schifani di Roma e della ventilata chiusura di L'Ostàja a Genova.

Identità e storia dei caffé centenari
«Un locale storico è come un gioiello di famiglia: a nessuno piace disfarsene», spiega Claudio Guagnini, direttore dell'associazione Locali Storici d'Italia a cui aderiscono 220 attività con almeno settant'anni di onorato servizio alle spalle. «Ed è per questo che, quando si ventila la crisi per uno di questi posti, la gente si mobilita per difenderlo».
Quando chiudono, come è successo al Doney di Firenze, è come se andasse perso un pezzo di memoria comune. Spiega Daniela Vedaldi del Florian di Venezia: «Un locale storico è tale non solo per le vicende che vi sono state vissute e per l'ambiente, ma anche per la sua adesione al tessuto sociale. È questo che evita di trasformarsi in un'attrazione per turisti, un luogo che indossa la sua storia come una bella maschera dietro cui c'è il nulla».

Dunque, il valore più importante di un locale storico è l'autenticità, che richiede competenza, entusiasmo, ma anche tanto denaro. I gestori di questi locali lamentano pesanti costi di gestione e affitti altissimi. In molti casi, la proprietà dell'immobile è degli stessi gerenti, ma spesso appartiene a banche e finanziarie, con un reale rischio di speculazione. Anche perché si tratta di spazi commerciali appetitosi, visto che i locali storici sono prevalentemente in centro città, hanno spazi di pregio e talvolta (come accade a Palermo) subentrare a queste attività è l'unico mezzo che i grandi operatori commerciali hanno per aprire in centro.

Il salasso della ristrutturazione
Il caso del Caffè Valiani di Pistoia dimostra che, quando c'è la volontà comune di salvare un locale, l'obiettivo non è impossibile. Nella città toscana, per evitarne la chiusura, i proprietari hanno firmato un accordo con le istituzioni locali, che li ha visti subentrare nella gestione di parte del locale destinato a sede dell'Apt e ad attività espositive. Proprietari o affittuari che siano, nessuno riesce a sottrarsi ai costi di manutenzione: la voce più pesante nel conto economico di un locale storico.

I lavori spesso implicano restauri, anche con il coinvolgimento della Sovrintendenza alle Belle Arti, soprattutto se il locale conserva affreschi, stucchi e altri elementi artistici. «Per esempio, le spese per il normale ammodernamento dell'impianto di riscaldamento possono moltiplicarsi per 10 - racconta Guagnini - senza contare l'allungamento dei tempi di intervento che costringe il locale alla chiusura».
Locali prestigiosi registrano penose sconfitte e nonostante le operazioni di maquillage difficilmente tornano agli antichi splendori. Oppure chiudono e riaprono, rivisti e ripensati, come il Caffè Giacosa di Firenze o il Necci, vecchio bar di quartiere romano, amato da Pasolini.

Il vuoto legislativo
Eppure c'è una legge per la tutela dei locali storici che langue in Parlamento da almeno tre legislature. Si tratta di un provvedimento che pone i negozi e i locali storici, oltre agli antichi mestieri e alle botteghe d'arte, sotto la tutela dell'articolo 117 della Costituzione, riconoscendoli come “beni culturali”.
Non solo: il provvedimento prevedeva l'istituzione presso il ministero dello Sviluppo Economico di un fondo nazionale, con una dotazione finanziaria triennale di 20 milioni di euro, da ripartire tra le regioni. Intanto alcune regioni iniziano ad organizzarsi autonomamente. Piemonte, Veneto e Friuli Venezia Giulia stanno realizzando un albo delle botteghe storiche. E anche comuni come Torino, Venezia o Roma si danno da fare per salvaguardare questo patrimonio.

Ma conservare non basta, perché neppure i locali storici possono permettersi di invecchiare. Una cosa, infatti, è il décor, un'altra l'offerta e il servizio che devono stare sempre al passo coi tempi. C'è chi, come Tamburini a Bologna, ha ripensato la sua storica gastronomia, dotandola dapprima di Velocibo (spazio per pranzi veloci) e poi di un piccolo wine bar. «Il segreto per una buona gestione - afferma Giovanni Tamburini - è la passione. Il che significa essere sempre aggiornati sulle novità, mantenendo però la consapevolezza della cultura da cui si viene».

La passione si tramanda
Addirittura Fiammetta Gemmi, titolare dell'omonima pasticceria storica di Sarzana, sottolinea: «Il mio locale è la mia casa, ci spendo ogni risorsa intellettuale e fisica. E anche quando viaggio, cerco spunti che possono essere utili per la mia attività». Il problema semmai è quello di trasferire questo coinvolgimento al personale. «La solidità di un locale - continua Gemmi - si costruisce con la continuità anche dei dipendenti. Alcuni pasticcieri lavorano con noi da 40 anni. Purtroppo non è facile trovare personale adatto. Professionalità vuol dire anche gentilezza e pazienza con i clienti, anche con quelli che si fermano oltre l'orario del turno».

Questo spiega anche come spesso i locali storici mantengano una gestione familiare, anche se adesso ci sono problemi di ricambio generazionale. Posti come Nardini a Bassano del Grappa e Renzelli a Cosenza, hanno alle spalle addirittura sette generazioni; una sessantina di esercizi tra quelli censiti dall'Associazione locali storici sono guidati dalla stessa famiglia da più di due generazioni. Ci sono anche quelli che, pur passando di mano, rinnovano con nuovi entusiasmi il loro passato. Alcuni sono dei veri e propri musei come il Gran Caffè Gambrinus di Napoli, che possiede una pinacoteca di oltre 40 dipinti dei più importanti nomi della pittura napoletana dell'Ottocento. Altri, come il Pedrocchi di Padova o il Florian di Venezia, assurgono a simbolo della città e si fanno promotori di iniziative artistiche di pregio, dialogando in modo stretto con le istituzioni.

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