Per l’architetto Beppe Riboli il futuro del bar è “creativo”. Intervista esclusiva dal numero del trentennale di Bargiornale
Ha conquistato sul campo il titolo di “architetto monello”. Perché i suoi progetti sono matti. Intendiamoci, vede benissimo, dietro gli occhiali scuri alla Mick Jagger. Detesta però certe regole e ha l'allergia alle mode. Quando le discoteche avevano solo piste grandi, ha creato il club Qi in Franciacorta, tanti salottini ad anfiteatro su una pista ridotta ai minimi: «che se la gente vuole ballare - diceva - ballerà anche sui tavoli». Così è stato, così è oggi. Oggi i club con tanti salottini-privé sono la regola più che l'eccezione e le piste si sono miniaturizzate. Quando le pizzerie erano ancora in stile “Bella Napoli” lui, ispirato dai lavori del maestro finlandese Alvar Aalto, ha creato il Portanova di Crema, un locale dalle linee pulite, con legni chiari, luminoso ma senza quelle luci abbaglianti che fanno andare di traverso pizza e serata. Gli hanno dato in mano un antico teatro sul lago di Garda, che ha trasformato in Teatro Alberti, un locale polifunzionale dove intrattenimento e ristorazione si fondono in una cornice da favola. Beppe Riboli non è un veggente, ma sul futuro dei locali ci azzecca. Molto spesso.
I locali crescono e muoiono come funghi. Qual è la ricetta giusta per durare?
Sono stato a una tavola rotonda di recente. Mi sono reso conto che ormai molti colleghi pensano più ad accontentare l'azienda X che il locale. Pensano a disegnare la poltroncina, il tavolo, ma si fermano qui. Ci vuole una visione più completa. Si deve partire dal contenitore (il locale) per arrivare ai contenuti (i complementi d'arredo). Solo così i locali conquistano un'anima.
E l'anima sopravvive in eterno. La poltroncina no.
Il tuo approccio è diverso?
Quando disegno un locale, racconto una storia. Quella di una masseria o di un teatro, non importa. Mi guardo intorno, respiro le atmosfere del posto, cerco di entrare in sintonia con il committente e le sue esigenze. Poi mi metto all'opera per fare un posto che duri e sia impermeabile alle mode del momento. Nel nuovo progetto, che ho appena presentato al Sigep, racconto la storia di una gelateria. Si chiama Affresco e sarà una catena dedicata al gelato artigianale a marchio Ifi. È un nuovo concept di gelateria di design, uno spazio a forma di tavolozza, che rivoluziona con un colpo di pennello l'immagine classica di questi locali. Un tunnel bianco, tutto legno, di 4-5 metri per 20 di lunghezza, illuminazione a led. E gelati in vaschette esposti come fossero colori di una tavolozza. È una storia tutta italiana, che prende a prestito alcuni miti nostrani, dal gelato a Pinocchio.
Siamo a quota tremila discoteche. A cavallo tra gli anni '80 e '90 erano il doppio. Siamo alla fine di un'era gloriosa?
Il calo è fisiologico. Ce n'erano troppe e troppo scontate. Scrivi così: «Le discoteche non moriranno mai. I ragazzi amano ancora la pista». Vinceranno quelle che ti fanno vibrare, che danno emozioni. Non esiste luogo migliore di sperimentazione della discoteca. Il problema è che tutti fanno la corsa a diventare fashion club, anche quando di fashion, tra arredi e programmazione artistica, c'è poco. L'architetto fa il teatro, gli attori giusti metteteceli voi.
Quali format conquisteranno la scena?
In crescita vedo i locali con formule ibride, quelli che mettono insieme il negozio di fiori col lounge o il parrucchiere col bar. Ci sarà un forte sviluppo degli spazi esterni e maggiore coordinamento tra immagine interna ed esterna dei locali. L'immagine, in generale, dalle pareti alle sedie, dai menu alle divise, sarà più omogenea. Torneremo a ballare. Tornerà lo show alla Tony Manero, perché la televisione continua a trasmettere programmi dedicati al ballo (da “Amici” a “Ballando sotto le stelle”) e il pubblico li adora. Perché le iscrizioni ai corsi di danza sono in crescita. Vuoi vedere che torneremo a disegnare dancefloor enormi come negli anni Settanta?