L’Europa dice sì all’Iva ridotta al 10%

Fisco –

L’Ecofin ha deciso di rendere permanente l’aliquota ridotta per la somministrazione di cibo e vini. Ma l’obiettivo è arrivare al 5%, misura che ridarebbe fiato a tutto il settore

Come inciderà sui pubblici esercizi la decisione di rendere permanente il regime di Iva ridotta (10%) per la somministrazione di alimenti e bevande, presa lo scorso marzo dai 27 ministri delle Finanze dei Paesi europei (Ecofin)? Cambierà qualcosa nei listini e quali conseguenze ci saranno nell’operatività del locale?
Intanto c’è da dire che si è scongiurato l’aumento dell’Iva al 20%. Se fosse scattato alla fine del periodo transitorio, in scadenza nel 2010, come previsto dal progetto di armonizzazione comunitaria delle nuove tabelle Iva, avrebbe provocato un immediato aumento dei prezzi delle consumazioni, la crescita di un punto percentuale dell’inflazione complessiva e una perdita di oltre 95.000 posti di lavoro. «Prendiamo un bar con cucina - spiegano alla Fipe - che fa un conto di 99 euro, di cui 90 di base imponibile e 9 di Iva; per ricavare la stessa cifra con l’Iva al 20% il gestore dovrebbe aumentare il conto a 108 euro, di cui 18 d’Iva. Il rincaro determinerebbe una contrazione dei consumi nella stessa misura (10%), andando ad aggiungersi ai già gravi effetti della recessione economica in atto, con il rischio di provocare la perdita di posti di lavoro. Il rapporto tra incasso e occupazione risente infatti, direttamente, delle variazioni del volume d’incassi».

Concorrenza fiscale indiretta

L’aumento dell’Iva al 20% avrebbe esposto i baristi alla “concorrenza fiscale diretta” degli esercizi commerciali e artigianali, che applicano l’aliquota del 10% per la vendita di prodotti alimentari per consumo sul posto.
«Oggi un cliente che a mezzogiorno va al bar - aggiungono alla Fipe - e ordina un piatto di lasagne, lo paga 10 euro di cui l’esercente incassa 9 euro e 10 centesimi, mentre 90 centesimi sono di Iva. Per continuare a incassare 9,10 euro, con l’Iva al 20%, il barista dovrebbe venderlo a 10 euro e 80 centesimi e dovrebbe vedersela con la concorrenza del gastronomo, che magari gli sta a fianco nella stessa via, e che può continuare a far pagare il piatto di lasagne 10 euro». In sintesi, il gestore del bar si troverebbe di fronte a due possibili scelte: far pagare l’aumento dell’imposta ai clienti oppure tagliare i propri ricavi per restare concorrenziale con il gastronomo.
Il testo del provvedimento europeo potrebbe invece prevedere l’aliquota ordinaria del 20% per la somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche (ma non del vino).
Superato il vaglio del Parlamento Europeo, secondo la prassi e i tempi previsti, potrebbe scattare la seguente distinzione: aliquota al 10% per la somministrazione di cibo e vino; al 20% se il cliente ordina un superalcolico.

Vantaggi per consumi e occupazione

La Fipe annuncia che si batterà per ridurre ulteriormente l’Iva sulla ristorazione e sulle attività turistiche, per rilanciare i consumi interni e rendere più competitiva l’Italia. In questo quadro, si proverà a chiedere la diminuzione dell’Iva al 10% anche per i servizi di spiaggia degli stabilimenti balneari e per le discoteche.
Secondo una proiezione effettuata dalla Federazione, se l’Iva venisse ridotta al 5%, il settore potrebbe tenere meglio sotto controllo i prezzi e ci sarebbe un aumento dell’occupazione che, prima della crisi, era calcolato in 70 mila unità. Il settore avrebbe tutte le carte in regola per godere un regime ridotto, perché è “labour intensive”, fornisce servizi a livello locale e svolge un’attività altamente sociale.

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