Cubetti di ghiaccio: occhio all’igiene

La qualità di sushi, sorbetti e cocktail dipende anche dall'acqua e quindi dal ghiaccio che viene utilizzato. Istruzioni per una corretta prassi igienica.

Qualche mese fa un servizio di Valerio Staffelli su Striscia la Notizia, il telegiornale satirico diretto da Antonio Ricci, aveva lanciato l’allarme. Attenzione: il ghiaccio servito al bar nei cocktail o nelle bibite è un concentrato di batteri che mettono a rischio la salute dei consumatori. Andando a campione in qualche bar di Milano, Staffelli aveva prelevato del ghiaccio dai bicchieri e lo aveva fatto analizzare da un laboratorio con esiti preoccupanti e alte concentrazioni di coliformi fecali, escherichia coli, enterococchi, pseudomonas. Il servizio di Striscia non necessariamente fotografa una situazione reale e generalizzata, perché è stato realizzato su una manciata di locali in una sola città, ma pone un problema: per quanto freddo, il ghiaccio non è immune da contaminazioni batteriche e se è trattato in modo non igienico, messo in contenitori o glacette sporchi, toccato con le mani o conservato male può diventare un ricettacolo di batteri e una potenziale causa di infezioni, per il consumatore ma anche per chi ci lavora. In altre parole, occorre un’altissima professionalità da parte dei bartender e di chi lavora nei bar in generale anche per quanto riguarda la produzione e la manipolazione del ghiaccio.

Gestione senza rischi
Sottovalutare questo aspetto può comportare seri rischi a livello igienico e gestionale. È per questo motivo che l’Istituto Nazionale Ghiaccio Alimentare, un’associazione di aziende che producono ghiaccio, ha creato un manuale per il corretto utilizzo di questo alimento che è stato approvato anche dal ministero della Salute e che contiene una serie di indicazioni essenziali per gli operatori del settore. Alla pubblicazione hanno collaborato diversi professionisti del settore: Simone De Martino e Leopoldo Lipocelli, di Ice Cube Impianti, una delle più importanti aziende italiane che producono e commercializzano ghiaccio confezionato, Carlo Stucchi dell’Istituto Italiano Ghiaccio Alimentare e Paolo Brusutti di Iseven Servizi, società di consulenza per l’industria.
Scaricabile gratuitamente dal sito dell’istituto (ghiaccioalimentare.it) il documento, di ben 107 pagine, fornisce tutta una serie di indicazioni sia per la produzione del ghiaccio sia riguardo i possibili rischi di contaminazioni, con una minuziosa descrizione delle corrette prassi igieniche e della realizzazione di un sistema Haccp anche per la gestione del ghiaccio.In occasione della presentazione del manuale, avvenuta lo scorso maggio, Giacinto Pieri, presidente di Aibes (Ass. italiana barman e sostenitori) ha spiegato come «la realtà descritta da Striscia la Notizia non rispecchia fedelmente quella dei bar italiani. I nostri associati sono molto attenti agli aspetti igienici, ma spesso non riescono ad avere sotto controllo tutta la filiera, È, infatti, fondamentale, conoscere perfettamente la provenienza e le caratteristiche del prodotto usato o riuscire a fare un calcolo dei costi effettivi nell’uso del ghiaccio, sia che questo sia autoprodotto o acquistato esternamente».

Gli errori da non fare
Ma quali sono gli errori più comuni che vengono fatti nel bar nel trattare il ghiaccio, con il rischio di contaminarlo? È sempre Pieri che ci fornisce qualche indicazione. «Una pratica molto diffusa, e sbagliata - osserva il presidente Aibes - è prelevare direttamente il ghiaccio con il bicchiere dal contenitore: la parte esterna del tumbler non è mai abbastanza pulita, perché viene toccata con le mani. Un altro errore comune per chi possiede un fabbricatore di ghiaccio è non essere dotato della palettina in dotazione della macchina, la sessola, e di usare quindi altri trumenti di fortuna che poi vengono magari tenuti e appoggiati in giro. E questo avviene anche per la stessa sessola, che spesso non viene tenuta nel suo alloggiamento dedicato».
Un ulteriore aspetto da tenere sotto controllo è la pulizia di tutti i contenitori o gli strumenti in cui il ghiaccio va a finire. «Se i rompighiaccio meccanici – dice Pieri –, usati per produrre scaglie o flakes, non vengono puliti con la dovuta frequenza si rischiano contaminazioni batteriche». E poi è importantissimo per il bartender tenere sempre pulita e in ordine la propria postazione, non conservare il ghiaccio in vasche aperte o, ancora peggio, in glacette dove magari in precedenza sono state esposte bottiglie di vino o di liquori.
E per quanto riguarda l’acqua? È impossibile definire dalla colorazione o dalla trasparenza o opacità del ghiaccio se l’acqua utilizzata per produrlo possa avere dei problemi. Acque molto calcaree, per esempio, tendono a produrre cubetti bianchi, lattiginosi, ma il calcare è una normale componente dell’acqua e non indica se vi siano contaminazioni o meno. Piuttosto è importante far analizzare periodicamente l’acqua di rete e, se necessario, dotarsi di un impianto di filtrazione. Poter contare su un’acqua ineccepibile dal punto di vista della qualità è fondamentale non soltanto per la produzione di ghiaccio ma anche di tutti quei prodotti, come granite, sorbetti, creme fredde, che vengono preparati nei granitori a partire da miscele appositamente studiate dalle aziende del settore.

Alta tecnologia e design
Anche per quanto riguarda questi strumenti, sempre più tecnologici e “intelligenti” grazie all’introduzione dell’elettronica per programmarli, è fondamentale la pulizia delle vasche o campane, non soltanto per un fattore igienico, ma anche per evitare che la miscela faccia presa sulle pareti e tenda a formare grumi di ghiaccio, antiestetici e, soprattutto, dannosi per la macchina.
La produzione dei granitori è cresciuta moltissimo negli ultimi anni e ha trasformato questi apparecchi, rendendoli molto più versatili e utilizzabili durante tutto l’arco dell’anno con prodotti non prettamente stagionali come la granita.

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