I contratti di lavoro, per molti imprenditori, sono un rompicapo. Difficile capire qual è la scelta ottimale quando si vuole assumere qualcuno, specie in casi in cui - come di questi tempi - l’incertezza regna sovrana. Per farlo, è importante conoscere tutte le opzioni disponibili. E valutarne attentamente vantaggi e svantaggi. Oltre ai possibili rischi di soluzioni solo apparentemente vantaggiose.
Per fornire un quadro il più possibile completo delle opzioni disponibili, abbiamo interpellato Paolo Bergamo, consulente del lavoro e contitolare dello Studio Themis di Jesolo (Ve). Con il suo aiuto, analizziamo le diverse forme contrattuali e le loro caratteristiche (leggi anche la nostra guida agli ammortizzatori sociali).
Analizziamo quindi:
• i contratti a tempo indeterminato (full time e part time);
• i contratti a termine;
• i contratti a chiamata;
• l’apprendistato;
• le prestazioni occasionali (voucher).
Tratteremo infine anche la soluzione delle prestazioni occasionali autonome, evidenziando i forti rischi che tale soluzione comporta per il datore di lavoro.
I contratti a tempo indeterminato
Quel che più spaventa gli imprenditori in questo tipo di contratto è la impossibilità di risoluzione del rapporto di lavoro. In realtà, però, questa possibilità esiste. Vediamo in quali casi e come funzionano.
a. Dimissioni del lavoratore.
b. Licenziamento. Può avvenire:
• durante il periodo di prova (non va data nessuna giustificazione).
• per giustificato motivo. Quest’ultimo può essere:
1. oggettivo, cioè legato a problemi organizzativi del datore di lavoro (come nel caso di una contrazione dell’attività lavorativa collegata a una crisi, di una ristrutturazione ecc.);
2. soggettivo (disciplinare). Si tratta di casi che riguardano la situazione soggettiva del lavoratore: ad esempio quando il lavoratore contravviene a precise direttive del datore di lavoro e lede il rapporto fiduciario. Nei casi più gravi, si parla di giusta causa di licenziamento quando avviene un fatto talmente grave che compromette irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra lavoratore e azienda, tale che il rapporto non possa proseguire neanche temporaneamente. «L’articolo 7 della L. n. 300/1970 - spiega Bergamo - prevede la necessità di una contestazione scritta e di un periodo di “raffreddamento” di 5 giorni (ampliabili da parte della contrattazione collettiva) per consentire al lavoratore di dare le proprie giustificazioni. Dopodiché si adotta un provvedimento disciplinare: il lavoratore riceve una sanzione che può essere conservativa o espulsiva. Le sanzioni conservative possono consistere in un richiamo scritto o verbale, in una multa disciplinare, e nei casi più gravi in una sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino a un massimo di 10 giorni. Viceversa una sanzione espulsiva, come indica il termine, prevede la risoluzione del rapporto di lavoro».
In mancanza di giusta causa/giustificato motivo, il licenziamento viene considerato viziato e, nei casi di violazione più gravi, il lavoratore può essere reintegrato da un giudice: «Il vizio più grave nel diritto è la nullità - spiega l’esperto -; nei licenziamenti si concretizza ad esempio quando si procede a un licenziamento vietato dalla legge, come nel caso di una lavoratrice in maternità. Per vizi meno gravi sono previste tutele economiche per il lavoratore: il licenziamento produce effetti ed è quindi definitivo, ma al lavoratore andrà corrisposta un’indennità economica variabile a ristoro».
Il contratto a tempo indeterminato full time per i pubblici esercizi prevede un orario settimanale di 40 ore distribuibili su cinque giornate e mezza, salvo diverse intese aziendali.
Tempo indeterminato: contratto part time
Il contratto part time comporta un orario di lavoro inferiore alle 40 ore settimanali e uno stipendio proporzionato all’orario svolto.
«Il vantaggio per l’imprenditore, che rende questa formula molto utilizzata nei pubblici esercizi, è di contenere i costi calibrandoli sulle effettive esigenze lavorative - spiega Bergamo -. Gli orari però vanno stabiliti già nella stipula del contratto e modificarli è possibile solo con l’accordo del lavoratore. È opportuno pertanto pattuire, già alla firma del contratto individuale, delle clausole elastiche che prevedano sia la possibilità di aumentare le ore settimanali sia di variare la collocazione dell’orario in funzione delle esigenze che dovessero sorgere. È comunque necessario rispettare almeno due giorni di preavviso per le modifiche, come stabilito dalla legge e dalla contrattazione collettiva di categoria».
Contratto a tempo determinato
I contratti a tempo determinato sono sottoposti a una serie di vincoli, che vanno tenuti presente: «Sono utili per sopperire a esigenze temporanee - spiega l’esperto -. Vanno però rispettati dei limiti numerici legati al numero di dipendenti a tempo indeterminato in organico: chi ha fino a 4 dipendenti a tempo indeterminato può assumere un massimo di 4 dipendenti a tempo determinato; da 5 a 9 dipendenti si può arrivare a sei; da 10 a 25 il massimo diventa sette. Oltre i 50 dipendenti i contratti a tempo determinato possono arrivare al 20% dei contratti a tempo indeterminato. Ci sono casi in cui questi vincoli non si applicano: per i contratti a termine stipulati con gli over 50, quelli stagionali e le sostituzioni per maternità o altre cause di assenza».
Due le cose da tenere presente: il periodo di prova non può essere troppo lungo rispetto alla durata complessiva del rapporto a termine (il lavoratore non può essere in prova per tutto o quasi il rapporto!) e il licenziamento per giustificato motivo non è mai ammesso.
La durata massima del contratto è di 12 mesi (senza necessità di indicare una causale). Se si vuole fare un rinnovo o una proroga oltre i 12 mesi, la causale diventa necessaria: «Le possibili casistiche giustificative sono tre - spiega Bergamo -: sostituzione di lavoratore assente, esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinario svolgimento dell’attività ed esigenze connesse a incrementi temporali, significativi e non prevedibili, dell’attività ordinaria. La necessità di motivare il rinnovo è però sospesa fino al 31 dicembre 2021 per agevolare la ripartenza economica post chiusure per Covid-19».
In ogni caso, sia con la proroga, sia con il rinnovo, non si può andare oltre i 24 mesi complessivi per lo svolgimento di mansioni equivalenti.
Contratto a chiamata (lavoro intermittente)
Si tratta di contratti introdotti nel 2004 dalla cosiddetta Legge Biagi. «Sono accordi tra azienda e lavoratore che prevedono obblighi reciproci come quelli dei normali rapporti di lavoro ma con riferimento ai soli periodi di chiamata - spiega Bergamo -. Di fatto, il datore di lavoro può chiamare il lavoratore ogni volta che ha bisogno, con almeno un giorno di preavviso. Il lavoratore non è obbligato a rispondere alla chiamata, salvo che il contratto non preveda un’indennità di disponibilità. Ma sono pochi gli imprenditori disposti a corrispondere una specifica indennità a prescindere dalle chiamate».
«Sono contratti riservati a lavoratori over 55 e under 24, oppure a specifiche mansioni indicate - nel caso dei pubblici esercizi - dal Rdl n. 2657/1923. Tra queste ci sono il cameriere e il personale di cucina ma non il barista. Questo significa che si può assumere personale di cucina con contratto a chiamata indipendentemente dall’età, mentre per i baristi si può applicare solo a under 24 o over 55».
«Per i pubblici esercizi - prosegue l’esperto - non esiste un numero di giorni massimo e la chiamata si può fare giorno per giorno. Ma se si chiama un lavoratore tutti i giorni per un periodo lungo il rischio è di vedersi trasformare il contratto in un normale rapporto a tempo indeterminato, perché viene meno la discontinuità. Al contrario, se un imprenditore non dovesse mai chiamare il lavoratore con cui ha stipulato un contratto a chiamata, non avrebbe nessun costo retributivo e/o contributivo e nessun altro obbligo nei confronti del lavoratore».
Contratto di lavoro extra
«Il contratto di lavoro extra, in realtà, è una specie di contratto a termine, della durata da 1 a 3 giorni - spiega Bergamo -: è preferibile rispetto al contratto a termine perché è più semplice da attivare (è sottoposto a meno vincoli burocratici). È però utilizzabile solo nel settore turistico e in fattispecie precise: banqueting, meeting, o in generale nei fine settimana e nelle festività secondo le ipotesi previste dal Contratto nazionale (Ccnl) per i pubblici esercizi. Attenzione ai contratti extra legati al banqueting, ad esempio un matrimonio: se l’evento salta, il datore di lavoro è comunque tenuto a pagare lo stesso il dipendente con cui ha stipulato un contratto extra».
Apprendistato
«Il vantaggio del contratto di apprendistato - spiega Bergamo - è la forte riduzione dei contributi a carico del datore di lavoro: si parla di una forchetta che va da un minimo dell’1,5% a un massimo del 10% della retribuzione imponibile, contro circa il 30% dei lavoratori non apprendisti. A questo si aggiunge una retribuzione inferiore rispetto a quella minima stabilita dal contratto nazionale per i lavoratori qualificati: il 20% in meno il primo anno, il 15% in meno il secondo anno. Si può applicare solo ai minori di 30 anni, a patto però che non siano in possesso della qualifica necessaria; nei pubblici esercizi la durata può arrivare fino a 48 mesi per le qualifiche di capo cuoco e capo barista». Per gli artigiani, invece, la durata massima sale a 5 anni.
«L’apprendistato richiede da parte del lavoratore l’obbligo di partecipare a corsi formativi svolti all’esterno dell’azienda, i cui costi però sono sostenuti dalle Regioni, mentre l’azienda è tenuta a retribuire normalmente le ore di corso fatte dall’apprendista. All’interno dell’azienda occorre nominare un tutor, a cui l’apprendista fa capo. E occorre registrare la formazione impartita all’apprendista».
Al termine del periodo di apprendistato, l’azienda può recedere dal contratto. In caso contrario, il contratto diventa automaticamente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
«Va tenuta presente - perché è un’opportunità interessante - anche l’esistenza di un nuovo contratto di apprendistato, applicabile a persone di qualunque età: si può applicare alle persone che percepiscono la disoccupazione (cosiddetta Naspi), purché non in possesso della qualifica richiesta. Può essere fatto anche per un part time, garantendo però un orario minimo compatibile con la formazione».
Prestazioni Occasionali a Voucher (PrestO)
«Cambiati nel 2017, gli ex voucher ora si chiamano Voucher PrestO è sono molto meno utilizzati che in passato - spiega Paolo Bergamo -, perché la procedura è più macchinosa. Occorre infatti che sia il prestatore sia il committente siano preventivamente registrati nel sito dell’Inps. Si richiede il requisito dell’occasionalità (si misura entro un tetto massimo di prestazioni effettuabili nell’anno) e sono usabili solo da aziende e professionisti che hanno fino a 5 dipendenti a tempo indeterminato. Ogni prestazione prevede un minimo di 4 ore di lavoro e richiede una comunicazione tramite il sito dell’Inps almeno un’ora prima dell’inizio della prestazione: vanno indicati l’oggetto della prestazione, la data, l’ora e il compenso. Attenzione: sono previste sanzioni da 500 a 2.500 euro in caso di mancata comunicazione».
I voucher costano al datore di lavoro 12 euro l’ora, di cui 9 vanno al lavoratore, 2,97 euro all’Inps e 0,03 all’Inail. «Per il pagamento, il datore di lavoro deve creare all’interno del sito Inps una sorta di portafoglio virtuale depositando delle somme da utilizzare conil PrestO. Sarà poi l’Inps, verificata la capienza di fondi, a pagare direttamente il lavoratore entro il 15 del mese successivo a quello in cui ha svolto il lavoro».
Il vantaggio di questa soluzione rispetto al lavoro occasionale autonomo? «Il lavoratore ha la copertura Inps e Inail, che mette al riparo il datore di lavoro da molti rischi, legati ad esempio agli infortuni sul lavoro». Inoltre, la comunicazione preventiva esclude la maxi sanzione per lavoro nero.
Attenzione però: ogni datore di lavoro può erogare un massimo di 5mila euro l’anno in voucher. E il singolo lavoratore non può ricevere più di 2.500 euro dallo stesso datore di lavoro in un anno e non più di 5mila euro in voucher (che sono fiscalmente non imponibili).
Le prestazioni occasionali autonome? Un bel rischio
«La mancanza di qualsiasi obbligo comunicativo legato alle prestazioni occasionali d’opera - spiega Bergamo - rende questa soluzione apparentemente allettante. In realtà, per l’imprenditore è una scelta rischiosa». Vediamo perché.
La mancanza di comunicazioni preventive, nessuna busta paga da elaborare, né la necessità che il lavoratore sia in possesso di partita Iva (l’occasionalità non la prevede) la rende molto semplice e veloce da utilizzare. Attenzione però: si tratta di una prestazione di lavoro autonomo, che richiede un’autonomia organizzativa e gestionale del lavoro.
«In un bar o in un ristorante è difficilmente dimostrabile - spiega l’esperto -. Può un cameriere, uno chef o un barman essere autonomo se inserito in un’organizzazione altrui? Il risultato è che, in caso di ispezione degli organi competenti (ispettorato del lavoro/ispettori degli enti previdenziali, Guardia di Finanza e non solo), è molto probabile che venga comminata la maxi sanzione per lavoro nero».
Ma c’è un secondo rischio, più subdolo: «Chi fa una prestazione occasionale non è assicurabile all’Inail. In caso di infortunio sul lavoro nessuno risponderebbe. A quel punto il lavoratore potrebbe fare causa all’imprenditore e rivendicare la subordinazione con tutte le tutele del caso. E avrebbe ottime probabilità di spuntarla».