Dare il giusto prezzo alla tazzina è questione di vita o di morte per il settore del caffè. Proprio di questo si è parlato in una tavola rotonda al World of Coffee di Milano. Bargiornale ha raccolto gli interventi dei protagonisti e della platea di professionisti
Nel 2013 il prezzo medio della tazzina era di 0,94 euro. Oggi, la media italiana a tazzina per il 2021 è di 1,04 euro, ma 10 centesimi in più non sono certo sufficienti. Giulia Romana Erba, dell’ufficio studi di Fipe, ci ha spiegato: «In vent’anni l’incremento è stato troppo basso per ripagare i costi di gestione e l’aumento delle materie prime; il risultato è che una giornata di espressi al banco risulta davvero poco remunerativa per gli esercenti».
“Quanto vale un espresso di qualità?” è il titolo della tavola rotonda organizzata da Sca Italy nel corso del World of Coffee che si è tenuto lo scorso giugno a Milano. L’organizzazione, guidata dal coordinatore nazionale Davide Cobelli, ha riunito attorno al tema i rappresentanti di alcune associazioni del settore: Iei, Ucimac, Slow Food Coffee Coalition, Caffè Speciali Certificati, International Women in Coffee Alliance Italy, Gruppo Italiano Torrefattori Caffè, Codacons. Un primo passo sul tema della valorizzazione della qualità del caffè e del prezzo dell'espresso. Vi proponiamo qui una carrellata delle dichiarazioni dei protagonisti.
1Emanuele Dughera, Slow food coffee coalition coordinator
«Per Slow Food il caffè deve essere buono pulito e giusto. Buono perché con un’alta qualità organolettica, pulito perché coltivato rispettando la biodiversità locale, riconoscendo il giusto a chi la produce in un ambiente sano. Abbiamo avviato con alcuni produttori un percorso di garanzia partecipata, perché il loro ruolo deve ricevere maggiore attenzione. Perché ciò accada dobbiamo tutti impegnarci, soprattutto il torrefattore, ad andare oltre la “formula magica” e dare un’informazione corretta al barista e al consumatore finale».
2Eleonora Pirovano, vicepresidente Iwca - International Women in coffee alliance - Italia
«È il momento di cambiare i riferimenti per parlare di caffè, imparando a valutare e comunicare la qualità, la composizione della miscela per arrivare infine al prezzo. Fino a quando quest’ultimo sarà protagonista, non si potrà crescere qualitativamente e arrivare a un espresso di qualità made in Italy. Da parte nostra acquistiamo e promuoviamo caffè prodotti da donne, impegnandoci affinché siano pagati il giusto. Inoltre collaboriamo con associazioni che aiutano donne in difficoltà, formando operatrici consapevoli per il settore caffeicolo».
3Paola Goppion, presidente cSc - caffè Speciali certificati
«Da 26 anni il nostro Consorzio ricerca i migliori caffè nei luoghi d’origine, che valuta attentamente, mantenendo nel tempo la qualità di quelli che sono a tutti gli effetti Specialty (perché così vuole la definizione commerciale moderna), ma che sono tutti speciali per la lavorazione che affrontano. Principalmente Arabica, ma anche Robusta eccellenti. Questo percorso di cultura della qualità viene trasmesso al barista e al consumatore finale che si mostra più attento e propenso a spendere di più per un vero prodotto di qualità. Si tratta di un processo lento, ma finalmente qualcosa sta cambiando anche in Italia».
4Davide Cobelli, coordinatore nazionale Sca Italy
«La mia visione di qualità e di rispetto per il caffè e per chi lo lavora attraversa tutta la filiera, dal contadino al barista è questa: troppo spesso ci sono anelli (soprattutto il primo e l’ultimo) che non ricevono la giusta attenzione e remunerazione. Chi conosce e premia la qualità? Non il barista che vende sottocosto come i locali vicini; non il cliente finale che per lo più non ha strumenti per giudicare ciò che gli viene proposto. Insieme dobbiamo arrivare al consumatore e dare contenuti reali di qualità; solo così potrà scegliere e pagare il giusto».
5Luigi Morello, presidente Iei - Istituto espresso Italiano
«Qualità significa anche libertà di scegliere, e questo oggi al bar non è possibile: paghiamo la stessa cifra per un caffè molto buono o poco... buono. Questo disincentiva la qualità e non educa il consumatore. Iei da sempre si occupa di formazione e nel piano strategico 2022-2025 ha tra gli obiettivi il coinvolgimento e la formazione del consumatore. Siamo, inoltre, tra i sostenitori dell’espresso italiano come patrimonio immateriale dell’Unesco. L’espresso, oltre ad una bevanda, è un rito che abbiamo creato noi italiani, lo abbiamo esportato. E ora dobbiamo difenderlo».
6Alessandro Galtieri, titolare con Cristina Caroli della Caffetteria gourmet aroma - Bologna
«Il prezzo dell’espresso non è determinato solo dalla qualità, ma dai costi vivi, dalla materia prima alla manutenzione, al personale: come possiamo pagare un bravo barista se lavoriamo sottocosto? È inutile parlare di qualità senza prima affrontare il tema della sostenibilità dell’impresa. Con i margini ottenibili dai prezzi attuali la maggior parte dei bar non riesce a sostenersi, questa è la triste verità. Con forza di volontà in vent’anni abbiamo raccolto una buona massa critica di persone che pagano l’espresso da 1,30 (che ancora non è sufficiente) fino a 12 euro. La via per crescere non deve essere fatta di sottocosto; il bar merita più attenzione».
7Francesco Sanapo, titolare torrefazione e locali Ditta artigianale - Firenze
«Il settore sta perdendo di vista la situazione: la caffetteria italiana sta morendo. A ucciderla è il prezzo dell’espresso a 1 euro, che non permette di pagare un barista formato, di comprare macchine all’avanguardia, sedute comode. Il margine si ha solo con numeri elevati, ma così facendo viene meno il tempo da dedicare al cliente per fargli comprendere il caffè proposto, offrire un’esperienza di gusto positiva e portarlo su prodotti di maggiore qualità. Non c’è tempo da perdere: nel prezzo della tazzina c’è la vita della caffetteria italiana o la sua morte».
8Mario Pascucci, ceo caffè Pascucci torrefazione
«Il titolare che vuole lavorare in modo trasparente incontra molti ostacoli: lo Stato impone contributi altissimi sul lavoro dipendente, e con il caffè ad 1 euro si inducono i gestori a cercare soluzioni alternative. Un bravo barista permette di incassare 40-60mila euro l’anno, il settore avrebbe bisogno di più persone ma questi costi incidono troppo. Penso che se - come avviene all’estero - si facessero lavorare le persone a provvigioni, con contributi ridotti almeno del 50%, i baristi avrebbero stipendi più alti e tornerebbe loro il sorriso. Il bar riavrebbe il valore che merita e lo Stato incasserebbe molto di più».
9Stefano Tiberga, consulente Codacons
«Davanti a un espresso il consumatore finale ha un problema di percezione: gli mancano informazioni che gli permettano di capire cosa sta pagando e perché. Ad oggi la differenza di prezzo dipende dalla zona in cui lo consuma: in centro città sarà disposto a pagarlo
di più rispetto alla periferia, anche se qui dovesse trovare un caffè di alta qualità, al quale non sa dare un valore. Vince l’aspetto psicologico: 10 centesimi in più rimangono “nella testa”; se sapesse perché gli vengono richiesti pagherebbe senza problemi».