Caffè Pascucci: il bio, la moka e l’impegno global

Sono molteplici i fronti che vedono Pascucci in prima linea nella salvaguardia dell'espresso italiano, dell'ambiente e dei produttori

Caffè Pascucci
Sono molteplici i fronti che vedono Pascucci in prima linea nella salvaguardia dell'espresso italiano, dell'ambiente e dei produttori

È il 1883 quando Antonio Pascucci, figlio di tessitori, decide di dedicarsi al commercio alimentare. Nella bottega di famiglia si trovano anche i coloniali e i caffè crudi, che diventano presto la sua passione. L’attività prosegue a Monte Cerignone (Pu) grazie ai figli: Mario, nel 1935, apre la prima bottega di famiglia e Dino, nel dopoguerra, un bar. Negli anni Cinquanta sarà Alberto, figlio di Mario, a industrializzare la torrefazione che nel 1975 diventa un’unica attività con il progetto “solo caffè di qualità”. Nasce, così, la miscela Extra Bar Mild, che unisce a Arabica e Robusta naturali, Arabica lavati; a seguire la miscela Golden che innova il gusto dell’espresso, grazie ai caffè dolci e aromatici che la compongono.

La qualità in tazza richiede formazione: nel ‘96 viene aperta la Espresso School, mentre viene replicata l’esperienza di caffetteria secondo il modello storico con locali a marchio Pascucci, che si diffondono in Italia, ma soprattutto oltreoceano: da poco è stato aperto il locale numero 500, in Corea del Sud. La torrefazione è una fucina continua di ricerca, nuove idee, progetti innovativi e tanti controlli (ogni anno vengono effettuati oltre 5.000 test di assaggio): il laboratorio è il cuore dove tutto arriva e dal quale tutto ha inizio, ed è uno dei luoghi preferiti dal rappresentante della quarta generazione, Mario, che ha un grande obiettivo: «Trasformare Pascucci da produttore di caffè convenzionali a biologici. È una convinzione maturata grazie a diverse esperienze; quella che più mi piace raccontare è l’influenza derivata dall’amicizia con Gino Girolomoni, pioniere dell’agricoltura naturale. Con lui sono iniziati i nostri primi esperimenti agricoli bio e il nostro percorso di trasformazione e conversione. Ritengo che le fertilizzazioni naturali siano un valore da preservare: usare prodotti di sintesi significa “drogare” il caffè e ottenere un prodotto standardizzato, privo di personalità».

Trasformazioni e miglioramenti

Il primo passo nel biologico fu fatto ad Haiti, tra mille difficoltà di carattere ambientale, politico e intralci di ogni tipo: dei primi 300 sacchi acquistati ne arrivarono solo 70, ma si festeggiò comunque «Il miglior caffè di Haiti che avessimo mai acquistato - prosegue Mario Pascucci -. Oltre all’attenzione all’ambiente, al rispetto per le persone e il territorio da cui arriva il caffè e quello in cui viene lavorato, la nostra storia è una continua ricerca della qualità, per il rispetto di chi ci sceglie». Altri progetti agricoli sono stati condotti in India, Colombia, Guatemala e, di recente, in Burundi. La sensibilità ecologica ha spinto la torrefazione a puntare sulla moka, simbolo autentico di italianità, che è protagonista del secondo Caffè Pascucci Shop milanese aperto lo scorso anno. Per la stagione in corso viene proposta la Moka Nitro, un bag in box che contiene caffè freddo leggermente zuccherato da spillare con le apparecchiature da cold brew: nel bicchiere la bevanda fresca è sormontata da una crema che la rende simile a una birra. Frattanto, con un Colombia El Cairo da 90,85 punti e un Brasile Chacara Vista Alegre naturale da 91,35 punti (per essere denominati specialty, i caffè devono avere un punteggio superiore a 80) si è arricchita la gamma degli specialty che ora sono 18.

 

L'intervista a Mario Pascucci

Quale futuro intravedete per il caffè biologico?
I dati di mercato lo segnalano in crescita. Da parte nostra pensiamo che più che un desiderio sia una necessità: per l’ambiente, per chi lo coltiva e anche per mantenere il gusto vero del buon caffè. Attualmente la nostra produzione certificata si attesta al 15% circa, al quale si aggiunge un altro 50% che non ha la certificazione, ma nasce da nostri progetti nelle terre di produzione, in cui una nostra guida efficace è Gino Girolomoni, uno dei padri fondatori del biologico in Italia. L’esperienza dice che si può avere un buon prodotto anche senza l’utilizzo di fertilizzanti e di antiparassitari; certo, si è più dipendenti dall’andamento delle stagioni, ma il prodotto ne guadagna in qualità. È un discorso che chi considera prevalentemente la quantità, come avviene in Brasile e Vietnam, non vuole ascoltare, mentre è accolto da tanti piccoli produttori. Da parte nostra ci impegniamo a riconoscere questo sforzo, pagando il giusto.

L’impegno ambientale incide anche sulla lavorazione del caffè nei Paesi d’origine? Secondo noi la tendenza mondiale sarà sempre più verso i caffè naturali: il sistema lavato consuma (e spreca) molta acqua, non permette che le bucce delle ciliegie siano recuperate per farne concime o cascara, e la mucillagine che si disperde nei fiumi è un grosso problema per l’ambiente. Stiamo dando il via a sperimentazioni sui caffè naturali del Burundi, dalla spiccata acidità: con il metodo naturale questa si smorza e il gusto diventa più piacevole, rotondo.

L’Italia del caffè ha ancora molto da dire al mondo?
I più grandi colossi del settore hanno preso ispirazione dal nostro Paese, mentre ormai tutte le torrefazioni specialty, che un tempo puntavano sulle singole origini, fanno anche miscele. Penso che sia il momento di rafforzare l’informazione sull’italianità di prodotti e metodi di estrazione di cui dobbiamo andare fieri. La miscela italiana ha il gusto che piace alla gente (che predilige il cioccolatoso) ed è il sistema che permette negli anni di avere
lo stesso gusto in tazza: siamo stati pionieri e rimaniamo maestri nell’arte di creare le miscele. È una ricchezza da salvaguardare, insieme alla moka, che se ben realizzata offre il gusto del buon caffè, e a quel concentrato di aromi che è l’espresso.

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