Due italiani sul podio dei mondiali al Woc di Atene

Daniele Ricci e Boram Um - foto CoffeeAndLucas / myMediaStudio
Daniele Ricci, secondo classificato, e Boram Um, vincitore della finale Baristi ad Atene - foto CoffeeAndLucas / myMediaStudio
Alle finali delle competizioni Barista e Brewers Cup, grande soddisfazione per il secondo posto di Daniele Ricci e il sesto di Giacomo Vannelli.

Tanta partecipazione, grande entusiasmo e “invidia” nei confronti di un Paese (soprattuto della sua Capitale) che cura con particolare attenzione la qualità del caffè, con tante caffetterie che offrono specialty e una gamma ampia di estrazioni. Sono le impressioni evidenziate da chi ha partecipato al Woc di Atene unite alla grande soddisfazione per due grandi successi che l’Italia ha registrato in chiusura delle finali Baristi e Brewers Cup del circuito Sca, con il secondo posto di Daniele Ricci nella prima e il sesto di Giacomo Vannelli nella seconda, mentre Fabio Dotti non si è qualificato nella competizione Cup Tasters.

Largo all’innovazione. Il due volte campione nazionale Barista (2020 e 2023), per la prima volta per l’Italia, ha raggiunto il secondo gradino del podio mondiale, alle spalle (per pochi punti) del brasiliano Boram Um. Sicuro, preciso e disinvolto ha condotto la sua gara quasi fosse al banco bar, con movimenti calibrati ma spigliati e grande sicurezza. Ha presentato due caffè della Finca Milán di Julio Cesar Madrid nella regione di Risaralda in Colombia, che da pochi anni si è affacciata al mondo degli specialty e che conduce fermentazioni sperimentali. Di questa ha scelto un Geisha lavorato con fermentazione lattica e un Caturra fermentato in bioreattori in ambiente anaerobico con il mosto del Geisha e con un lievito utilizzato nel mondo del vino; a ciò sono seguiti 15 giorni di asciugatura su african bed. 

Questa lavorazione ha conferito sentori quali anguria e melone, decisamente insoliti e rinfrescanti. Nell’espresso la grammatura ha visto prevalere la Geisha 18/2; nel milk beverage c’è stata una maggioranza di Caturra 17/3: «per questa preparazione avevo bisogno di una base più decisa a livello di blend (in cui la parte minoritaria è stata di Geisha, ndr), con sentori facili da identificare. Ho portato il latte di Simone Salvaderi che ha un’azienda agricola a Maleo (Lodi) con cui collaboro da tre anni, che mi ha fornito un latte veramente interessante, che ha creato un bilanciamento perfetto con il caffè». Ha utilizzato solo Caturra nel signature drink messo a punto con la preziosa collaborazione di Andrea Villa, campione italiano Coffee in Good Spirits 2020: considerata la data della finale si voleva una bevanda rinfrescante. Nella ricerca degli ingredienti sono stati realizzati alcuni prodotti homemade, come lo yogurt fatto con il latte di Salvaderi e succo di passion fruit, e una tonica a cui sono stati aggiunti zafferano e pepe.  Gli ingredienti uniti a 2 espressi sono stati posti nello shaker e raffreddati fino a raggiungere 15 gradi, per permettere al Caturra di esprimersi al meglio. Il servizio è avvenuto in coppe da champagne con una foam a base di Timur Berry, un cordiale analcolico ottenuto con il pepe, come decoro. Ne è risultato un drink fresco, fruttato, con note di guava, mandarino, caramella all’anguria e pesca. 

«Alla fine ho bruciato le carte dei giudici su cui avevo segnato il signature drink per dare un messaggio - prosegue Ricci -: dobbiamo staccarci dalle vecchie credenze sulle fermentazioni e fare innovazione, ricerca per sbloccare il potenziale delle diverse varietà. Lavorando sulle fermentazioni con meno improvvisazione e più conoscenza del processo, dunque del risultato finale, senza dimenticare elementi quali il terreno, il microclima o l’altitudine, si può creare qualcosa di importante partendo da un caffè meno famoso». Soddisfatto del risultato ottenuto, ringrazia l’amico Villa e il prezioso Team Bugan, guidato da Maurizio e Sonia Valli. 

Prodotto e tecnica al centro

Nella realizzazione dell’estrazione che gli ha fatto meritare il sesto posto nella classifica mondiale Brewers Cup, vinta dal cileno Carlos Medina, Giacomo Vannelli ha seguito la sua idea di gara: un rapporto diretto con i produttori, un caffè elegante e complesso, non troppo fermentato. «Per me il concorrente non deve comprare il caffè più buono, ma cercare di estrarre la migliore tazza possibile - afferma - e questo è possibile attraverso la ricerca e lo studio continuo, credo che questo sia il vero ruolo delle gare». Per la sua gara ha utilizzato una miscela di Panama Geisha di Jamison Savage e un caffè colombiano specie Eugenoides di Inmaculada Coffee Farms. Ha dato il via alla prova ringraziando i giudici, che con il loro lavoro, con il feedback che danno ai concorrenti a fine gara, contribuiscono a migliorare le prove successive e hanno contribuito alla realizzazione del dripper con cui ha realizzato la sua gara: D.One Brewers, un brew method a fondo piatto brevettato, pensato e realizzato in casa Vannelli. Unisce i pregi dei filtri a fondo piatto a quelli dei filtri conici, assicurando costanza sia nell’estrazione sia nel flusso. Esclusivo anche il sistema di aggancio di una piccola sfera fredda in acciaio sotto il filtro, al fine di raffreddare la prima parte dell’estrazione: con ciò non si permette la dispersione della parte volatile, aumenta l’aroma e si percepiscono maggiore complessità e dolcezza. 

Di nuovo un parere dalla parte delle fermentazioni, ma contro gli eccessi: «Secondo me la fermentazione deve essere una carta che il produttore utilizza per esaltare alcune caratteristiche dei caffè. Non è una questione di tempo, ma di combinazione perfetta tra processo, varietà e terroir, elementi che credo si trovassero nella mia tazza». Definisce la sua gara “una bella avventura” e già guarda al domani: non vuole abbandonare il mondo delle competizioni, ma cercherà di trasmettere la sua esperienza di barista per fare crescere altri competitor e mantenere alto il nome dell’Italia.

L’importante è non mollare. In apparenza semplice, la competizione Cup Tasters (campione mondiale è Young Baek, australiano) è in realtà molto complessa: a differenza di altre discipline non ci si può preparare un discorso, provare e riprovare i movimenti al fine di ripeterli in modo preciso. Si procede - impegnandosi in esercizi e cupping - verso l’incognita delle otto triplette della finale. «L’assaggio di caffè dark roast e fermentati mi mette in difficoltà in quanto mi creano in bocca un effetto alone che anche bevendo non riesco a togliere - spiega Fabio Dotti, per tre volte campione italiano della categoria -. Ho sbagliato queste tazze e sono uscito di gara, sapendo che più di così non potevo fare, dunque sono sereno: so di avere svolto gli allenamenti in maniera impeccabile. Parlando con altri finalisti, mi sono reso conto della grande differenza nel metodo di assaggio: all’estero e per chi va in piantagione prevale il cupping, mentre in Italia l’espresso; probabilmente ha fatto la sua parte anche la tensione. In ogni caso, tornerò in gara: qualora non dovessi riuscire il futuro vincitore potrà avere la soddisfazione di avere battuto il tre volte campione nazionale. Ringrazio Paolo Scimone di His Majesty the Coffee e tutto il team di NKG che mi hanno accompagnato in questi mesi di preparazione». Ci si vede dunque a Sigep 2024. 

Le prossime finali mondiali Baristi si svolgono a Copenhagen (Danimarca) dal 27 al 29 giugno il prossimo anno.

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