Presentato il secondo Rapporto di Filiera Vino Futuri Possibili, edito dal Gruppo 24 Ore. Ora consultabile e scaricabile dal nostro sito
“Meno sommelier, meno accademia, più gioco”, “una comunicazione troppo convenzionale”, “serve un masterchef per il vino”, “sbrigati a crescere che a 18 anni hai tanto da bere” . Sono solo alcuni slogan lanciati lo scorso 26 giugno presso la sede del Sole 24 Ore in occasione della presentazione del secondo Rapporto di filiera “Vino futuri possibili” edito dal Gruppo 24 Ore, in collaborazione con l'esperta in tendenze alimentari e sociali Marilena Colussi, l'istituto di ricerche Doxa-Marketing Advice ed il panel HQ24 (high Quality Panel).
Calano i consumi interni
Del resto la questione dibattuta non era (e non è) cosa da poco: abbagliati dai successi del nostro vino all'estero (secondo il Centro studi Assoenologi è italiana una bottiglia su cinque nel mondo), abbiamo sottovalutato il mercato interno: il consumo in Italia è in calo costante (oggi 37 litri pro capite all'anno contro i quasi 70 degli anni '80). Servono strategie condivise da tutta la filiera. Prova ne è che l'hastag #vinofuturipossibili è stato per diverse ore numero tra i trending topic di Twitter.
Al di là delle “ricette” facili facili, delle provocazioni e delle (comprensibili) reazioni, vale la pena riprendere alcuni dei risultati della nostra ricerca.
Il banco degli imputati
Iniziamo con un dovuto mea culpa. Chi sono i responsabili, per non dire i colpevoli, della crisi del vino in Italia? Secondo gli operatori della filiera le maggiori responsabilità dell'attuale scenario critico di mercato sono imputabili in primis al legislatore (complici forse etilometri e normative sui pagamenti), ma emerge anche un approccio decisamente autocritico, riguardo a produttori e distributori. I “nemici” esterni, le altre bevande e i vini stranieri, hanno un ruolo molto più limitato.
Coltivare la passione
C'è un dato che deve confortare, se è vero che il consumo è diminuito, il numero degli astemi è stabile da anni, sul 6%. Il che vuol dire il 94% degli italiani ha un buon rapporto con il vino, è appassionato e curioso. La passione risulta trasversale tra i vari segmenti soci-demografici: anche tra i giovani sotto i 34 anni e ben distribuita nelle diverse aree geografiche italiane.
Ma se, su una scala da 1 a 10, gli italiani danno 7 come voto alla loro passione, si danno un 5,5 sulla competenza. Questo può voler dire due cose: che migliorando il livello di competenza-cultura-informazione aumentano gli appassionati ma anche che - parallelamente - ci sono molti appassionati sui quali il fattore culturale - per lo meno per il momento - incide/sviluppa poco: quindi due mercati-target diversi a cui rivolgersi con linguaggi e proposte diverse.
I consumatori fragili
Anzi proprio i consumatori fragili o semplicemente meno informati non dovrebbero essere considerati poco interessanti, perché il mercato è fortemente presidiato e competitivo e per riuscire ad emergere bisogna anche creare nuovi spazi, diversificarsi, rivolgendosi anche a nuovi target, oltre ovviamente a non deludere e anzi rinforzare continuamente e creativamente il legame con i consumatori fedeli.
Nuove abitudini
Di più: rispetto a qualche anno fa assistiamo a una notevole diversificazione delle scelte in termini di modi e luoghi di consumo. È aumentato l'apprezzamento verso locali e ristoranti in cui si può bere vino al calice (giudicati con favore da oltre il 70% dei campioni). Riguardo ai canali utilizzati per l'acquisto è ulteriormente cresciuto l'acquisto nella Gdo (canale utilizzato dal 72,4% del campione consumatori negli ultimi 6 mesi), ma sono stati riscoperti anche gli acquisti diretti (il 28,8% ha acquistato direttamente dal produttore o presso una cantina/spaccio) ed è in aumento e-commerce (14%).
Possibili strategie
E per il futuro? La sfida del vino non sarà giocata solo sul piano del colore. Ormai le preferenze tra bianchi e rossi, fermi e mossi tendono all'equilibrio. La ricerca della qualità nel vino appare imprescindibile e per il consumatore è fortemente legata al concetto di naturalità e sicurezza-salubrità, ma anche di bevibilità. I dati evidenziano un lieve gap tra i forti desideri di naturalità del consumatore e le visioni più tecniche degli operatori della filiera. Sicuramente va considerato anche un gap di linguaggio: i consumatori non hanno le conoscenze e il vocabolario tecnico di un sommelier. Non a caso i sommelier hanno indicato la complessità come caratteristica importante del vino del futuro (ben 36% delle risposte).
Ecco la sfida per i professionisti: rendere accessibile e tradurre la complessità, semplificare senza banalizzare. E ricordiamo che il consumatore ci ha segnalato nel corso di questa indagine l'importanza del giusto prezzo, che vorrebbe prima di tutto comprendere meglio.