VINI VULCANICI POTENZIALE ESPLOSIVO

La ricetta migliore per avere un grande vino? Farlo nascere vicino a un vulcano, attivo o spento.

I terreni vulcanici sono tra i migliori per le produzioni di alta qualità e dato che, oltre gli addetti ai lavori, sono in pochi a saperlo, il Consorzio di Soave ha pensato di dedicare all'argomento Vulcania 2009, forum internazionale dei vini bianchi da suolo vulcanico, svoltosi il 5 giugno a Soave. Un'altra cosa che sanno in pochi è poi che sono molte in Italia le aree doc che possono vantare vigne su questo tipo di terreni. Tanto che un ristoratore un po' fantasioso potrebbe anche pensare una carta dei vini “vulcanica”.
Che cosa inserire in lista? Per esempio un bianco come il Soave, che grazie a uno studio dei suoi cru ha messo in risalto particolari specificità. «Un vino da zone vulcanicahe», dice Giovanni Ponchia, enologo del Consorzio Tutela Vini di Soave e Recioto di Soave, «esprime una complessità e una sapidità difficilmente ottenibili in altre zone grazie alla ricchezza di fosforo, magnesio e potassio dei suoli, che si trasferisce nei vini donando mineralità e acidità. Vini come il Soave, piacevoli da bere subito, hanno un ottimo potenziale di longevità, proprio grazie a questa acidità». Aspetti propri anche del Durello dei Monti Lessini, più congeniale ad essere spumante, ambientato nell'area limitrofa al Soave.
Terreno vulcanico vuol dire anche sabbioso, originatosi dalle eruzioni, con ceneri molto fini, a elevata permeabilità e scarsa fertilità. Sulle sabbie da eruzione (diverse da quelle di fiume) si creano le condizioni per ottenere uva di grande qualità. In aree di questo tipo (Campi Flegrei, Pantelleria, Salina, Vulcano e alcune isole Canarie) le viti sono ancora a piede franco, non intaccate dalla fillossera, l'insetto che causò la moria di fine '800, poi fermata con innesti su radici di vite americana. Le viti non innestate sono un valore aggiunto dei vini, che riescono migliori, perché la pianta è più longeva e robusta, e resiste a siccità, calcare e salinità, con frutti più contenuti.
A parere degli esperti insomma la migliore viticoltura italiana nasce ai bordi di un vulcano spento: nel Lazio i vini dei Castelli Romani e Colli Albani, il Frascati. In Campania la pregiata area del Vesuvio, i Campi Flegrei. Ma anche l'Irpinia è zona vulcanica di vini bianchi longevi, Falanghina, Fiano e Greco di Tufo, e del rosso Aglianico di Taurasi, vino che ha forse le stesse antiche origini dell'Aglianico del Vulture, vulcano spento della Basilicata.
L'Etna è un vero e proprio laboratorio a cielo aperto, concentrato nel versante nord del vulcano. Qui si sperimenta anche il pinot nero, ma il vitigno per eccellenza rimane il nerello mascalese, perfino spumantizzato come il brut della Cantina Patria, metodo classico con 18 mesi sui lieviti. A Pantelleria il moscato (zibibbo) cresce su lave basaltiche e su viti ad alberello, spesso su piede franco, in terrazze protette da muri a secco, come la vigna di Khamma, da cui si ricava il prezioso passito Ben Ryè. Un sistema omologabile a quello dell'isola spagnola Lanzarote dove la vite è sistemata al centro di piccole buche a imbuto ricoperte con uno strato di cenere vulcanica.

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