È arrivato in cima alle classifiche anche grazie a training stile Rocky Balboa. Ai baristi italiani raccomanda di "aprirsi" perchè il mondo del caffè sta cambiando.
Arnon Thitiprasert ha poco più di vent’anni quando lascia Chiang Mai, in Thailandia, e si reca in Australia per imparare l’inglese. Trova lavoro in un ristorante italiano dove impara a conoscere l’espresso e il cappuccino e comincia a bere caffè, cosa che non aveva mai fatto prima. Quando nel 2007 vede all’opera il neo campione mondiale Jack Hanna, si innamora della Latte Art. Osserva foto e filmati delle preparazioni e a casa fa esercizi con lattiere contenenti acqua per imparare a muovere correttamente la mano. Decide, dunque, di conoscere più da vicino il mondo del caffè: segue corsi sul verde, sugli stili di tostatura e affina le tecniche di Latte Art.
Lavora ancora per due anni in Australia, in un locale a Sydney, quindi, rientra in patria. Oggi ha tre locali a Chiang Mai (Ristr8to Original, Doppio Ristr8to, Ristr8to Lab) e uno è in fase di apertura a Bangkok. Lo scorso giugno, nell’ambito del World of Coffee 2017 che si è svolto a Budapest (Ungheria) è diventato campione mondiale di Latte Art.
Lo abbiamo incontrato al Caffè River Training Centre di Arezzo dove ha svolto alcuni workshop con la partecipazione di numerosi baristi, e gli abbiamo fatto alcune domande.
Come sei arrivato al successo?
È stato un cammino lungo, durato quasi dieci anni, in cui mi sono formato e ho affinato la mia tecnica. Ho fatto la mia prima gara nel 2001, arrivando sesto nel campionato thailandese, e che negli anni successivi mi ha visto arrivare in posizioni da podio. Nel 2017 ho vinto il mondiale, decidendo di fare una gara assolutamente nuova, inedita, che segnasse una svolta per il mondo della Latte Art. E penso di esserci riuscito.
Quali caratteristiche hai ricercato?
Come ho detto, ho cercato di fare qualcosa di unico in free pour, sfruttando il solo movimento della lattiera per creare il decoro sul latte montato a crema. Volevo andare oltre le classiche figure, puntando su immagini realistiche, in grado di stupire per bellezza, precisione e anche per l’immediata riconoscibilità. Talvolta davanti a una rosetta o a un “tulip” la gente chiede cosa sia. Non così davanti a un cigno. Mi sono impegnato per creare decori subito riconoscibili sia per la forma, sia perché nati dalla mia creatività e dalla mia tecnica.
Come sei riuscito a centrare l’obiettivo?
Sono partito da un gufo e una volpe, quindi il disegno si è evoluto in un coniglio ispirato a una favola thailandese. Praticando un allenamento leggero e prolungato sono riuscito, a marzo, a creare l’occhio del coniglio senza l’ausilio di strumenti. Quindi ho cominciato un allenamento più intenso per migliorare il mio punteggio tecnico: ogni notte per quattro ore. Ho sviluppato la figura del cervo e della volpe che cammina (quest’ultima in etching) e da metà maggio sono passato a cinque ore a notte fino alla finale mondiale di giugno.
Hai avuto dei riferimenti in particolare?
Si possono prendere spunti interessanti da tutti, ma un nome senz’altro c’è: è il campione del mondo di Latte Art del 2016, Um Paul.
Quali sono i tuoi suggerimenti per chi si avvicina alla Latte Art?
Di avere passione per il proprio lavoro, impegnarsi per migliorare, non smettere mai di studiare, ma anche ascoltare tutti e non sentirsi mai migliori degli altri. Anche chi non è del settore può dare consigli utili; noi baristi abbiamo una certa visione del mondo del caffè; chi non lo vive può avere differenti intuizioni, dare spunti nuovi e diversi. È importante ascoltare e accettare anche le critiche: i complimenti non aiutano a migliorare, meglio un’osservazione che può aiutare a lavorare meglio.
E i tuoi consigli per chi vuole concorrere?
Prima di tutto è importante conoscere a fondo le regole; poi guardare con attenzione le performance degli ultimi anni, osservare le forme, i dettagli, i movimenti. Ma è altrettanto importante non fermarsi a questo, ma leggere, osservare, viaggiare, dedicarsi ad altro.
Cosa pensi dei baristi italiani?
Sono molto bravi, ma un po’ troppo tradizionali: lavorano molto bene, ma vivono in un mondo proprio, come se fossero chiusi in una scatola o in un guscio. A causa di ciò è difficile cambiare. Rimanere confinati nel proprio coffee shop o bar e fare ogni giorno il “solito” o l’ordinario non aiuta a crescere. Bisogna imparare a essere curiosi, avere voglia di formarsi, osservare e partecipare alle competizioni. Se i baristi italiani impareranno ad evadere dal proprio recinto potranno davvero dimostrare di essere molto bravi e ottenere ottimi risultati, perché alla base hanno davvero una buonissima tecnica.
….insomma, l’invito è quello di aprire la mente.
In tutto il mondo il barista italiano è considerato un bravo professionista: siete creativi, sapete lavorare molto bene con la macchina espresso. Non dovete avere paura di uscire dai soliti schemi, ad esempio provando tostature più chiare: il mondo cambia rapidamente e non ci si può chiudere su un passato di successo, certo, ma che rischia di invecchiare presto.