Oggi è di moda aprire una micro roastery, ma la tostatura del caffè è un’arte che bisogna imparare, giorno per giorno, con tanto studio e pratica. La parola a un esperto come Marco Cremonese.
Un passaggio fondamentale per chi importa caffè verde è l’assaggio dei campioni. È vagliando e assaggiando la materia prima che Marco Cremonese valuta quanto può essere importante il processo di tostatura nell’enfatizzare alcune caratteristiche o nel smorzarne o nasconderne altre. «Pensiamo a un cuoco che deve preparare un piatto - suggerisce - la sua capacità da un punto di vista tecnico è pari a quella del torrefattore nello sviluppare una curva di tostatura che vada a esaltare le caratteristiche positive di un caffè, mettendone in secondo piano gli aspetti critic».
Come sta cambiando la professionalità del torreffattore?
Sia chi si affaccia alla professione, sia chi la pratica da tempo si rende conto del fatto che tostare è un’arte da coltivare e affinare continuamente: quello che fino a pochi anni fa era un lavoro basato sulla tradizione, si sta aprendo alla formazione continua. È difatti in crescita da parte degli addetti ai lavori la partecipazione a corsi di aggiornamento perché è ormai lo stesso mercato, arrivato a uno stadio di maturità, a chiedere una differenziazione dell’offerta. Si tratta di uno stimolo che arriva anche dall’estero, dove l’immagine dell’espresso italiano è molto forte, con la richiesta ai torrefattori di un adattamento del prodotto in base al gusto dei diversi Paesi. Sempre oltre frontiera si sono ormai diffusi gli specialty coffee, che stanno trovando spazio anche in Italia: ad essi si accompagna una qualità superiore che ovviamente impatta sul processo di tostatura. Cresce poi la richiesta di prodotti come il biologico: insomma, il mercato è quanto mai dinamico.
Consigli di diventare micro roaster?
Alla base ci devono essere l’interesse e una vera passione per la conoscenza del caffè. Il barista che ha questo interesse può approfondire l’argomento e tostare il proprio caffè, come avviene da tempo all’estero. È importante sapere che non si tratta di un’attività che si improvvisa: il percorso del caffè inizia e termina con l’assaggio. Questo significa che prima di tutto bisogna conoscere gli aspetti tecnici dell’assaggio per esprimere un giudizio obiettivo. Ovviamente è indispensabile avere una provata esperienza sulla materia prima, la sua selezione e tostatura: quest’ultima è una vera e propria arte che richiede studio e tanta pratica. Diciamo che si tratta di un’arte consapevole. In base a come la si applica si può tostare, abbrustolire o lessare il caffè.
Quali sono gli errori da non compiere?
Uno tipico del barista è quello di pensare che frequentando un solo corso possa apprendere i segreti della tostatura. Al contrario, bisogna avere pazienza: bisogna fare tanta esperienza. Un altro errore tipico è quello di acquistare prima la macchina e poi chiedersi se è quella giusta; al contrario prima bisogna informarsi e fare un po’ di pratica, quindi si può fare una scelta mirata. La macchina tostatrice è il cuore della torrefazione, determina la qualità e la quantità del prodotto lavorato e deve durare molti anni: consiglio di sceglierla con la cura con la quale si sceglie la propria auto.
Hai più volte sottolineato l’importanza dell’assaggio: come lo si impara?
Ci sono corsi specifici, ma il primo consiglio è quello di fare attenzione a tutto. Parlando di caffè è importante distinguere tra acido e amaro: per identificarli il Sensory Lexicon, il più grande progetto di ricerca sui sapori e gli aromi del caffè creato dall’Analysis Center dell’Università del Kansas per conto del World Coffee Research, suggerisce di utilizzare soluzioni di caffeina e di acido citrico in diverse concentrazioni. La cosa bella dell’assaggio è che si tratta di uno strumento per conoscere se stessi, la propria sensibilità: dove sento l’acido e l’amaro? Quali parti della lingua coinvolgono? La “mappatura” del gusto che così si forma, è la nostra banca dati degli aromi: insieme alle altre conoscenze sensoriali acquisite, ci aiuta a valutare in modo oggettivo e ad apprezzare meglio le caratteristiche dei diversi caffè.
L’acidità del caffè fa spesso discutere.
È una presenza interessante, a patto che sia in equilibrio con altri gusti, che non sia eccessiva e che abbia una buona complessità. Bisogna saperne individuare le sfumature, ad esempio distinguere un’acidità citrica, che ricorda il lime e gli agrumi, da una malica, meno esplosiva e più rotonda.
Trovi che il consumatore sia in grado di cogliere le differenze tra i diversi caffè?
Penso che il punto critico sia la scarsa cultura del cliente al bar, soprattutto in Italia, dove l’espresso è considerato più un momento di pausa e di socializzazione e meno di degustazione. Difficilmente sa distinguere tra acido e amaro, per questo è importante che il barista per primo sia preparato e sappia guidare alla loro comprensione. Sapere identificare una complessità aromatica che magari parte dalla frutta e arriva alle spezie necessita di molto esercizio. E assaggiare consapevolmente vuol dire pensare, che è l’attività più difficile che esista. Tendenzialmente cerchiamo prodotti a cui siamo abituati, che non ci costringono a pensare. L’abilità del barista deve consistere nel condurre a piccoli passi il consumatore a impegnarsi per scoprire piccole porzioni di “ignoto”, fornendo le basi della conoscenza dell’assaggio: un cammino affascinante.