Predica il verbo delle polibibite, studiando la storia e ricercando liquori italiani, capisaldi della miscelazione futurista di cui il barman campano ha fatto la sua bandiera.
Lo incontriamo a una sua serata, al Business Cafè di Casoria, nei pressi di Napoli. Sta raccontando una storia di uomini del secolo scorso, di amore e avventure. Enzo Tana, bartender campano, vive in questo modo la sua passione per la miscelazione. Una missione personale e identitaria che coinvolge gesti e movimenti sempre funzionali e precisi. Come precise sono le parole, nelle spiegazioni coinvolgenti e sempre puntuali nei riferimenti, figlie di una naturale predisposizione alla divulgazione e alla conoscenza. Una personale passione che, un giorno di sette anni fa, lo ha portato a incontrare Fulvio Piccinino - guru del mondo del bar e dei distillati - e la sua decennale ricerca storica: la miscelazione futurista.
Movimento culturale nato per iniziativa di un gruppo di artisti come Filippo Tommaso Marinetti (il Manifesto del Futurismo è del 1909) e diffuso nei successivi tre decenni, il Futurismo ha coinvolto anche la cucina e le bevande di allora, in un trait d’union tra manifesto d’intenti artistico e quotidianità. Talmente seduttivo, da coinvolgere anche musicisti degli ultimi decenni, come Mike Patton, star mondiale del rock che nel 1997 dedicò un album intero alla ristorazione futurista: “Pranzo Oltranzista”. Alla base, il rifiuto delle convenzioni fino ad allora imperanti, l’italianizzazione del linguaggio, l’attenzione per la totalità delle esperienze sensoriali. Oltre al gusto, i suoni, il tatto. Un metodo, insomma. Quello non dei cocktail, ma delle polibibite.
Risale a sette anni fa il tuo incontro con la miscelazione futurista. Com’è avvenuto?
Giravo spesso e un giorno incontrai a Torino Fulvio Piccinino che si occupava di questa riscoperta sin dal 2000. La considero una delle persone più importanti della mia carriera dietro al banco. Iniziai approfondendo la cultura futurista, i manifesti, i personaggi. Mi confrontavo con Fulvio e lo andavo a trovare spesso. A mano a mano, mi accorsi che questa cultura coinvolgeva anche me. Non era un obbligo fare miscelazione italiana, tantomeno quella futurista. Mi accorsi di esserlo diventato io, un futurista. Credo sia questa la chiave di tutto.
Credo anch’io. Ed è cosa decisiva nel rapporto fondamentale del mestiere, quello con la clientela...
Certamente. Spiegare il fenomeno delle polibibite, suscita immediato interesse durante la presentazione dei drink. È indubbio. È poi cruciale raccontare e spiegare la nascita di alcune di esse, spiegando l’uso del linguaggio, raccontando gli ingredienti. Era l’intento dei futuristi, d’altronde. Ci aiuta, e tanto, l’utilizzo e la diffusione dei distillati e dei liquori italiani. Una polibibita deve essere d’ispirazione esclusivamente nazionale: utilizzo grappe, vini, distillati come la Gineprina d’Olanda, liquori della tradizione come il Nocillo e lo Strega. Raccontando una polibibita, aiuto il cliente a comprendere che la sua esperienza appartiene a noi, alla nostra cultura e alla nostra tradizione nazionale. È fondamentale.
A un barman che volesse intraprendere questa strada, quali consigli daresti?
Si parte sempre da un presupposto: l’ospitalità. Premure che creano attenzione, ti permettono di proporre qualcosa di diverso e spiazzante. Inoltre, in un’attività commerciale si parla con la prima persona plurale, il “noi”. Tutti coloro che vengono coinvolti devono abbracciare un’idea, cooperare, collaborare. Abbracciare un pizzico di Futurismo. Oltre a queste premesse, bisogna puntare fortemente sulle bottiglie italiane, avere attenzione alla presentazione, con le tavolette polimateriche e vari espedienti tattili, un bancone tradizionale in legno, una musica adatta, luci di diverso colore. L’esperienza futurista è totale, nei sensi.
Totale come lo spazio alla creatività. La stessa che ha fatto nascere il tuo “Teatro della Sorpresa”.
Un giorno lessi una pubblicazione di Marinetti che raccontava della sua frequentazione con un futurista napoletano, Francesco Cangiullo. I loro luoghi erano Capri, i ristoranti, il Quisisana. Da lì, mi venne la voglia di portare la napoletanità nel futurismo. Ho unito Bitter Campari, Nocillo Leanza, Aglianico e completo con top di Gassosa Fardella. È un aperitivo. Napoletano come me. Il teatro sono io, la sorpresa sono i clienti.
Lo presenterai nei tuoi eventi di promozione e divulgazione della miscelazione futurista?
Assolutamente sì! Siamo pronti per “Città in Movimento”, un insieme di iniziative e presentazioni che terremo a Roma.