Pluricampione di Latte Art, Andrea Antonelli insegna a vincere le proprie sfide in gara o dietro al bancone, preparando espressi e cappuccini.
Lavorare con criterio, dando a chi opera al banco compiti e obiettivi precisi premia il locale e il business. Parola di chi vanta una lunga esperienza sul campo e che oggi, in qualità di consulente e docente, insegna a gestori e baristi come ottimizzare al meglio risorse e tempi di lavoro. Stiamo parlando di Andrea Antonelli, pluricampione di latte art, che da anni segue con interesse l’evolversi dell’arte della decorazione del cappuccino, ormai sempre più una “scienza perfetta”, e che ogni giorno si confronta con professionisti desiderosi di innovare il mondo del caffè.
Cosa significa lavorare con metodo?
Prendo spunto dalla mia esperienza. Quando, nel 2001 ho lavorato alla gelateria San Giorgio di Cremona ho appreso molto sul servizio al cliente. Tutti i prodotti di caffetteria dovevano avere una precisa identità, essere realizzati secondo metodi stabiliti: chi veniva al banco sapeva di trovare ogni giorno le sue preparazioni preferite, senza variazioni di gusto o di “mano”. Quando ho frequentato il primo corso con Luigi Lupi, tuttavia, mi sono reso conto che alcune delle cose che avevo appreso non potevo metterle in pratica, a causa dei veti che ricevevo. È una situazione molto comune come mi riportano alcuni miei corsisti: dopo aver imparato a lavorare con criterio e a utilizzare le lattiere più indicate per la latte art, spesso si sentono dire che non possono portare nel locale i propri strumenti o che i decori non si possono fare. Oppure che non possono flussare prima dell’estrazione perché sono operazioni che rubano tempo. Può essere vero nei primi tempi, ma se si prende rapidamente la mano la clientela sa subito apprezzare il salto di qualità. Insieme ai baristi dovrebbero venire ai corsi più titolari di locali: imparerebbero a lasciare spazio a chi vuole lavorare bene. Fortunatamente questo mi è successo quando sono andato alla Bottega del Caffè di Verolanuova nel Bresciano. Nel locale lavoravano sedici baristi: il mio obiettivo è stato far sì che tutti potessero operare in modo omogeneo. Chiunque fosse al banco, accoglieva l’ospite con un sorriso, e lo guidava nella scelta dei caffè (avevamo una miscela e due singole origini). Le vendite sono aumentate, i clienti si sono dichiarati soddisfatti e noi con loro: un grande risultato.
Corsi gestionali a parte, come ci si prepara a una gara di latte art?
Di nuovo, ci vuole metodo. Al mio esordio in questa disciplina è andata davvero male: non avevo letto il regolamento. Mi hanno detto “fai una bevanda personalizzata con il latte e il caffè” e io ho messo asparagi, cacao, caffè e latte! L’anno successivo ho studiato e ho vinto: volevo farcela perché sapevo che questo mi avrebbe dato delle opportunità importanti. Oggi tutto è diverso: c’è Scae Italia che affianca e aiuta chi si vuole preparare e chi andrà in finale. Spesso durante i corsi mi viene chiesto un decoro, ma è importante che sia una creazione del barista, deve emergere l’artista che c’è in lui: io subentro in una seconda fase, aiutandolo a realizzarlo bene e con continuità, a dare armonia alla tazza, a correggere eventuali cattive impostazioni. Da poco, inoltre, Scae ha dato il via a degli appuntamenti molto importanti: le calibrazioni. Sono momenti di approfondimento per chi vuole diventare giudice, ma anche per chi deve competere e vuole conoscere a fondo il regolamento.
Come si è evoluta l’arte dei decori dei cappuccini?
È una tecnica che da sempre punta sul decoro migliore: bello, creativo, pulito, centrato in tazza, senza sbavature. Ma oggi questo non basta. Si è aggiunto l’effetto sorpresa, che è sempre più importante. Gli ultimi mondiali in Svezia hanno mostrato una grande creatività unita a tecnica. L’evoluzione della latte art sta qui: emozione, sorpresa, geometrie incredibili. Con livelli di difficoltà crescenti.
Quali sono le coordinate di un buon cappuccino?
Si parte da un buon espresso: deve essere una base perfetta per ricevere il latte e dare all’insieme un gusto armonico. Solo se ha un’ottima tessitura dà un disegno più definito (o una preparazione classica perfetta) e offre una maggiore elasticità per il latte. Se la tessitura è grossa, schiumosa, non permette l’inserimento del latte né la realizzazione di un disegno. Spesso si tende a concentrarsi sulla qualità della crema di latte: è un errore non considerare anche la qualità dell’acqua e la pulizia delle macchine.
Un macinacaffè e una macchina espresso puliti cosa danno in più?
Spesso il barista si lamenta perché l’espresso è troppo amaro o ha “strani” sentori. Se domando ogni quando pulisce la macchina risponde spesso “una volta la settimana” magari limitandosi a una flussata d’acqua. Prima di incolpare il caffè, è meglio pensare a pulire la propria macchina con prodotti appositi: il chicco contiene un’importante frazione grassa, che concorre alla formazione della crema sull’espresso, ma che, se non rimossa, irrancidisce. La polverina nera che si trova sul fondo della tazza è spesso composta dai grassi non rimossi, che carbonizzano e si frantumano. Lo stesso per il macinacaffè: le macine vanno pulite come pure la tramoggia e il dosatore. Possiamo avere la migliore miscela, l’acqua più idonea, le macchine più moderne, ma se trascuriamo la “M” di manutenzione, non avremo mai dei buoni espressi.