Il formaggio made in Italy più blasonato chiude il 2010 con una risalita del 12% per l’export e del 19% per i prezzi all’origine
Produzione in moderata crescita (+2,44%, per un totale di 3.018.260 forme), export in ripresa a doppia cifra (+12%, il 5% in più del 2009), e quotazioni in decisa risalita (+19%). Grazie all’andamento dell’esportazione, la quota di Parmigiano Reggiano destinata all'estero sale al 30%, con incrementi record negli Stati Uniti (secondo mercato dopo la Germania) con un + 30% e in Giappone (+20%), mentre nella Ue la crescita è stata dell’8,9%, in linea con quella del 2009.
Questi sono i numeri che caratterizzano il 2010 del Parmigiano Reggiano, positivi soprattutto per ciò che riguarda il prezzo del parmigiano all'origine, che era sceso nel 2008 a 7,40 euro al chilo, riportandosi a fine 2010 intorno a 9,14 euro, vicino ai valori del 2003. Tali valori sono peralro destinati a crescere: se le quotazioni del 2010 riferite alla produzione 2009 sono andate oltre i 9 euro/kg, la produzione dei primi mesi 2010 commercializzata nello stesso anno ha fatto segnare una media di 10,34 euro/kg. Il momento positivo del Parmigiano, dopo un biennio almeno all’insegna del segno meno, è confermato dal fatto che le giacenze, lo scorso novembre, risultavano in calo del 13,3% sull’anno precedente.
«Dopo anni di quotazioni al di sotto dei costi di produzione - ha dichiarato il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai - il 2010 ha finalmente segnato una decisa inversione di tendenza, ed è un evento tutt’altro che casuale: tre anni di flessione produttiva, l’ottimo andamento delle esportazioni e le azioni di ritiro effettuate nel 2008 e nel 2009 da parte dell’Agea, associate a quelle messe in atto dallo stesso Consorzio per le azioni promozionali sui mercati esteri (131.000 forme nel biennio), hanno consentito una forte riduzione delle scorte e il conseguente rilancio del mercato, confermando il fatto che una gestione ordinata dei flussi produttivi resta la più efficace arma per la tutela dei redditi dei produttori».