Pause di gusto con il panino

Consumi food –

Prodotto alla portata dei portafogli degli italiani, si consuma a pranzo o per uno spuntino veloce. I consigli degli esperti per valorizzare la proposta

È un classico dei nostri bar e della nostra alimentazione. Per quanto la sua invenzione venga fatta risalire al britannico Lord Sandwich, nobile del XVIII secolo, la parola italiana “panino” è diventata il termine internazionale, usato nei menù e sulle vetrine di tutto il mondo, per descrivere una forma di pane, di dimensioni piccole o medie, tagliata orizzontalmente e farcita all’interno con vari ingredienti, di solito salumi o formaggi.
Un alimento popolarissimo, come confermano i dati di mercato. L’osservatorio sui consumi, condotto da Npd Crest per Bargiornale, dimostra come il panino sia in crescita nelle preferenze degli italiani, che nell’ultimo anno, complice forse anche la crisi, lo hanno scelto con sempre maggior frequenza.
A questa situazione non corrisponde però un’adeguata crescita di qualità. Sono ancora troppi gli errori che si vedono nei bar, come evidenzia lo chef Roberto Carcangiu, esperto di formazione sulle tecniche di cucina e sulla scelta delle materie prime. «Troppo spesso si usano prodotti di qualità bassa, se non scadente, a partire dal pane, per arrivare ai salumi e formaggi. È essenziale soprattutto ritornare alla qualità del pane di una volta, che non dev’essere mai molle o stopposo».

Il rapporto qualità-prezzo

Una ricerca che non necessariamente deve andare a scovare le rarità gastronomiche, ma che, secondo Carcangiu, «deve ricadere su prodotti non troppo lavorati. Un consiglio, per esempio, è dotarsi di un’affettatrice efficiente, per tagliare i salumi sul momento, senza ricorrere a quelli preaffettati». Il tutto si deve tradurre nella composizione di un prodotto che è un pasto completo e che deve avere proporzioni e prezzo corretti. «Un francesino, una michetta o una rosetta di 140-160 grammi e 20 grammi di prosciutto danno corpo a un signor panino - spiega lo chef - che però non deve essere venduto a prezzi sproporzionati». Concorda Carlo Meo, esperto di marketing e docente del Poli.Design di Milano, secondo cui «un panino non può mai superare il prezzo di 4 euro, a meno che non si tratti di una proposta d’autore. Oltre questa cifra, il pubblico preferisce orientarsi su una pizza o un primo piatto». Sul discorso dei prezzi interviene anche Oscar Cavallera, esperto di trend di consumo e direttore dei corsi della Bar University: «Nella composizione di ogni menù - dice - è sempre bene segmentare l’offerta tra proposte a prezzi bassi e altre contrassegnate da un qualcosa di particolare, come per esempio i “panini speciali” o quelli di stagione, che possono essere più cari». Molto dipende però dall’impostazione del locale e dal tipo di clientela.
Un altro problema è che nei bar italiani si sono fatti passi da gigante in tanti aspetti, dalla caffetteria al punto cassa, ma non per l’angolo dei panini, a parte alcune iniziative commerciali di nicchia. «Prevale - dice Meo - l’esposizione del panino “a castello”, in una vetrina alta, dove il prodotto è ammucchiato più che mostrato, magari anche con errori grossolani come l’applicazione del cartello del prezzo con lo spillone o a contatto dell’alimento. Si tratta di concetti stantii, che solo ultimamente in alcuni locali sono superati con l’adozione di vetrine basse in cui il panino è esposto, ben visibile dall’alto, in tutta la sua dignità individuale di prodotto gastronomico». Del resto, non necessariamente l’esposizione è la strada da seguire. «Il panino andrebbe fatto sul momento - dice Carcangiu - per dare un prodotto fragrante e fresco. Se si vuole anticipare la preparazione, questa non andrebbe fatta mai oltre le due ore prima dal servizio e deve essere fatta in quantitativi tali da non avere avanzi da trascinare al giorno successivo». «Del resto - sottolinea Meo - l’avventore deve avere la percezione che il panino sia stato fatto sul posto e non altrove. Questa idea si può trasmettere allestendo un angolo attrezzato con taglieri, coltelli, affettatrice, magari facendosi aiutare nel reperimento degli oggetti dalle aziende fornitrici».

Una carta distintiva

Questa idea fa parte di un più complessivo progetto di comunicazione della proposta panino. «Sotto questo aspetto - osserva Meo - al gestore del locale si prospettano due scelte: quella sempre vincente della tradizione e quella delle ricette, più complessa». La prima consiste nella proposta dei “classici”, da offrire in modo impeccabile: pane, salumi o formaggi freschissimi e di qualità. «Le ricette - continua Meo - sono le proposte di panino più diffuse e si articolano su uno schema fisso che prevede salume, formaggio, guarnitura verde e salsa. Ma è una formula che andrebbe rinnovata con l’impiego di ingredienti più di tendenza e l’abbandono di altri che ormai hanno fatto il loro tempo: palmito, caprino o rucola». E poi ci sono altri margini per innovare. «Per esempio lavorando sulla pezzatura - osserva Oscar Cavallera -: chi l’ha detto che i panini devono essere tutti grandi uguali? Si può variare da quelli mignon ai più grandi, lavorando anche sul tipo di pane: i panettieri e l’industria del settore mettono a disposizione del professionista una scelta infinita».

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