A Saint Lucia, nelle Piccole Antille, abbiamo incontrato i produttori dei rum caraibici. Un’occasione unica per il fare il punto su storie, tradizioni e falsi miti legati al distillato indigeno
Se pensate che il Capitan Jack Sparrow sia solo il protagonista immaginario della saga Pirati dei Caraibi siete parzialmente fuori strada. In realtà uno Sparrow c'è e si trova sull'Isola di Saint Vincent nelle Piccole Antile. Lo Sparrow al quale facciamo riferimento non è propriamente un pirata, ma il nome di un distillato a base di melasse prodotto dalla St. Vincent Distillers, stessa azienda di Captain Bligh XO, rum caraibico che ha fatto man bassa di premi. «La storia dei nostri prodotti è legata a doppio filo con la cultura locale. Il capitano William Bligh, noto per essere stato il comandante del Bounty, ha portato a St. Vincent da Tahiti il primo albero di pompelmo. Sparrow è un omaggio alle tradizioni piratesche delle nostre isole. Esploratori, coloni, schiavi e pirati fanno parte della nostra tradizione e, di riflesso, sono alla radice dei nostri rum». A parlare è Phillipa Greaves, primo fortunato incontro avuto sull'isola vulcanica di Saint Lucia durante il meeting di presentazione dei rum, ron e rhum con il marchio di autenticità caraibica (Acr) della The West Indies Rum and Spirits Producers' Association. Wirspa è stata fondata alla fine degli anni Sessanta ed è un gruppo di associazioni nazionali di produttori di rum nei Caraibi con sede, diremmo naturale, a Barbados. È su quest'isola che per prima, nel 1630, approda nei Caraibi la canna da zucchero, pianta originaria di Papua Nuova Guinea. E l'industria del rum si è sviluppata a partire da quella dello zucchero. Nel XVII secolo c'è chi descriveva l'alcol chiaro trovato a Barbados come “caldo, infernale e terribile”. Alcuni anni dopo le cose si sono evolute. Nel 1660 gli abitanti di Barbados iniziano a mescolare rum con acqua e a farlo riposare in botti. È così che un capitano della marina olandese di ritorno dalle Indie Occidentali racconta: “I rum sono ora più piacevoli al palato e hanno acquisito un colore dorato durante il viaggio”.
La prima consacrazione del rum
Nel 1789 una botte del miglior rum invecchiato di Barbados viene ritenuta perfetta per festeggiare l'insediamento di George Washington, il primo presidente degli Stati Uniti d'America. Nel frattempo sulle navi della Marina Britannica era già stata stabilità la razione giornaliera (tot) di rum da dare ai marinai: due pinte nel 1687, una a partire dal Settecento. Oggi il rum è una risorsa che dà da vivere non solo ai proprietari delle distillerie, ma a gran parte della popolazione di Barbados e di molti altri stati caraibici. Secondo le ultime stime un abitante su cinque delle Indie Occidentali lavora, direttamente o indirettamente, con l'industria del rum. Certo le cose sono cambiate e parecchio. Si è innescato un processo di premiumization che ha portato alla creazioni di prodotti sempre più rotondi, morbidi, sofisticati, piacioni. Esistono allo stesso tempo realtà che stanno puntando su distillati ruspanti, pungenti, in una sorta di ritorno alle origini come la giamaicana Hampden Estate, in procinto di entrare a far parte dell'ombrello Wirspa. Oggi le referenze presenti sono Angostura 1919 (Trinidad & Tobago), Barbancourt Réserve Spéciale Five Star Rhum (Haiti), Barceló Imperial (Repubblica Domenicana), Borgoe 8 year old (Suriname), Brugal XV (Repubblica Domenicana), Captain Bligh Xo (St. Vincent & the Grenadines), Chairman's Reserve (St. Lucia), Clarke's Court Old Grog (Grenada), Cockspur Fine Rum (Barbados), Doorly's Xo (Barbados), El Dorado 15 Year Old (Guyana), English Harbour 5 Year Old (Antigua), Mount Gay Extra Old (Barbados), St. Nicholas Abbey (Barbados), Travellers 5 Barrel (Belize).
A conclusione di una giostra d'incontri avvenuta a Rodney Bay, abbiamo conservato alcuni appunti importanti sul mondo dei rum e sul loro consumo. A differenza di quello che sostengono libri, esperti e sognatori vari, i rhum agricole non sono più da tempo distillati nell'alambicco charentais, ma in colonna. I francesi chiamano i rum inglesi “industriali” solo perché nascono nello zuccherificio (in francese usine, la fabbrica), mentre sarebbe più corretto chiamarli “tradizionali”. Gli inglesi distillano in colonna (per la parte neutra e il volume) e poi passano all'alambicco per dare intensità. I latini lavorano solo in colonna. L'invecchiamento dei rum produttori - sono tutti i produttori a dichiararlo - è vero. Nessuna scorciatoia. La canna da zucchero viene di solito tagliata a mano. Le ragioni sono due: la canna viene tagliata al punto giusto e senza essere strapazzata. L'altro motivo, certamente più rilevante, è che il taglio a mano costa meno e dà lavoro alla gente locale. In molti casi la melassa viene trasportata, per poi essere lavorata in loco. Il segreto dietro ogni rum di grande qualità sta soprattutto nel blending. Il caramello è un colorante e...basta: colora, ma non dolcifica.
Tradizioni legate ai consumi
Ai Caraibi i bianchi bevono gli scuri, mentre gli scuri bevono i bianchi. Miscelare nei cocktail un rum di qualità non è una bestemmia. Nessuno ai Caraibi, anche per ovvie condizioni climatiche, sognerebbe di bere un rum nel ballon.
L'idea di miscelazione che hanno tutti i produttori è molto basic. Per esaltare i distillati non sono necessarie combinazioni cervellotiche. I comuni mixer locali - acqua di cocco, ginger, tonica e succhi di frutta comuni - bastano e avanzano per combinare buone ricette.
Punch all'inglese e alla francese
Nei Paesi di tradizione anglosassone spopolano i rum punch, di solito sbilanciati in dolcezza e preparati con rum scuro. Nelle zone francesi, dalla Martinica alla Guadalupa, da Haiti alla Guyana francese va per la maggiore il Ti'Punch, alla lettera piccolo punch, che altro non è che un Daiquiri con rhum agricole. Non date mai per scontato che i bartender, anche nei grandi hotel, sappiano preparare quelli che noi consideriamo classici della mixability. Provate a chiedere un Mojito o un Daiquiri fuori da Cuba e di altri pochi posti e vi potrebbe arrivare di tutto.