La ridotta dimensione degli esercizi, spiega la Fipe, spinge i consumatori a non rinunciare al consumo fuori casa
A dispetto della crisi economica gli italiani consumano sempre più spesso i propri pasti lontano da casa, ovvero in ristoranti, bar e trattorie che in misura crescente sono di proprietà di esercenti di origine straniera. Sono queste le principali conclusioni della ricerca condotta dal centro studi Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), “L'Europa al ristorante: consumi e imprese”. I consumi alimentari fuori casa della Ue a 27 nel 2009 hanno avuto un giro d'affari di ben 468 miliardi di euro; se a questa cifra si aggiungono gli 882 miliardi dei consumi domestici, si scopre che l'alimentare rappresenta un quinto del budget complessivo di spesa dei cittadini europei.
In dieci anni (2000-09) i consumi alimentari sono aumentati di 58 miliardi di euro, 37 in casa e 21 fuori casa, con tassi di crescita identici (circa 5 punti e mezzo percentuali), ma in realtà nell'eurozona la crescita è stata quasi esclusivamente del consumo domestico mentre si è registrato un deciso rallentamento della spesa in bar e ristoranti. Nel panorama occidentale c'è una sola eccezione: l'Italia. Nel nostro Paese la crescita della domanda è infatti da attribuirsi per la quasi totalità al fuori casa, rileva la Fipe, nonostante la non certo esaltante performance economica dell'ultimo decennio.
Le piccole dimensioni favoriscono la convivialità
Il fenomeno, a dispetto delle tante leggende metropolitane, è attribuibile anche alla bassa crescita dei prezzi della ristorazione italiana: i dati mostrano come a partire dal 2005 il tasso di incremento è stato in Italia, con l'eccezione del solo 2010, costantemente al di sotto delle medie dell'Unione europea e dell'eurozona. Un ruolo importante è giocato anche dalle peculiari caratteristiche della rete di ristorazione nazionale: l'Italia, con il 17,1% del totale Ue a 27, gioca un ruolo numericamente importante nel panorama della ristorazione europea, ma le imprese italiane, con 160mila euro, presentano un fatturato unitario tra i più bassi d'Europa. Solo le imprese di Spagna, Portogallo, Grecia e Slovenia hanno un giro d'affari inferiore. Il dato è pienamente coerente con la dimensione delle nostre imprese in termini di addetti (3,9 per azienda contro una media Ue di 5,1). Ma secondo la Fipe le piccole dimensioni hanno un risvolto della medaglia positivo: grazie alla forte componente “conviviale” garantita dai piccoli numeri il fuori casa italiano è molto meno sensibile alle dinamiche del prezzo e del reddito rispetto agli altri Paesi europei.
Ristorazione in mano estera
La ristorazione italiana, però, è sempre meno made in Italy e più globalizzata: almeno il 10% di tutti i lavoratori stranieri presenti in Italia (1,6 milioni) è impiegato nel settore dei pubblici esercizi soprattutto come dipendenti, anche se una buona parte ha occupato posizioni di rilievo nell'ambito manageriale. In quest'ultimo caso, fra alberghi e pubblici esercizi si registra una presenza di stranieri dell'8,6%, per un totale di 54.437 imprenditori di cui 24.987 donne. Per quanto riguarda le realtà della ristorazione, Fipe stima un totale di 21mila società in mano a titolari di origine estera, di cui 10mila di ristorazione e 11mila di caffetteria. Nel primo caso, le società individuali sono 5.300 ed il rimanente ha altra forma giuridica, mentre nel settore dei bar le società individuali sono 6.500.
La soddisfazione di De Castro
«Registriamo in Europa difficoltà da parte dei nostri agricoltori. Anche dai dati Eurostat risulta che c'è un segno meno. Se in questo contesto di crollo generale anche dei consumi c'è un settore che invece è in controtendenza è una notizia che fa molto piacere. Onore quindi ai nostri chef e ai nostri ristoratori che guidano una classifica così positiva» ha commentato Paolo De Castro, presidente della commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, a margine della presentazione della ricerca.