Gli italiani e il pranzo, momento di svolta

Mezzogiorno –

Crisi economica, poca capacità di spesa, nuove abitudini alimentari. Cosa vogliono gli italiani che pranzano fuori casa e cosa offrono i bar che li accolgono

Da una parte la crisi economica, dall’altra nuove abitudini alimentari. In mezzo ci sono i bar che, soprattutto tra mezzogiorno e le due, si ingegnano per riattirare una clientela sempre più difficile da conquistare. Una clientela che sta cambiando abitudini, gusti e soprattutto disponibilità economiche.
È quanto emerge da una ricerca commissionata dal settimanale Salute di Repubblica a Format Research e da un’indagine che Bargiornale ha svolto durante l’ultima edizione di Snacktime tenutasi a Milano lo scorso ottobre quando abbiamo chiesto a tutti i partecipanti di compilare un questionario che ci aiutasse a conoscerli meglio e, soprattutto, a tracciare le tendenze attuali nel mondo del bar.
Format Research ha indagato sulle preferenze degli italiani a tavola. Due gli anni presi a riferimento (il 2007 e il 2008) e interviste centrate sul cliente.
Le preferenze degli italiani
Da notare subito che gli italiani gradiscono poco i pasti completi freddi, solo il 2,8% li apprezzava nel 2007 e un ancor più basso 2,6% li sceglie quest’anno. Perdono terreno anche panini e pizze, scelte nel 2007 dal 12,4% dei clienti contro il 7,1 del 2008. E perdono anche i pasti completi caldi 43,95% lo scorso anno contro il 42,5% del 2008. Unica tipologia di “pranzo” a salvarsi sono i piatti unici che in dodici mesi hanno guadagnato quasi il 7%, dal 40,9% del 2007 al 47,8 del 2008.
Quali alimenti scelgono gli italiani per il proprio pasto? Principalmente gli alimenti “sicuri”, ovvero si preoccupano di evitare alimenti non salubri (fattore indicato come molto importante dall’82% degli intervistati) o peggio ancora transgenici (evitati con cura dal 77% dei consumatori).
E poi grande attenzione al prezzo. Aspetto tenuto in grande considerazione da due italiani su tre. Da non sottovalutare, nella creazione della proposta per la pausa pranzo, nemmeno fattori “psicologici”. Ovvero la voglia di sapori tradizionali, considerati molto importanti dal 64% degli italiani, l’abitudine al consumo di prodotti conosciuti (un fattore questo molto legato al precedente) importante per il 61,8% dei clienti e la voglia, o necessità, di seguire una dieta (circa la metà dei clienti).
Altri aspetti considerati importanti dagli intervistati di Format Research sono, in fase di scelta e quindi di acquisto, quelli che nei bar possono essere intelligentemente sottolineati dai gestori accorti. Per esempio, gli italiani prestano grande attenzione alla qualità del prodotto, termine sempre piuttosto generico che riassume vari aspetti di un prodotto. Ovviamente il gusto (indicato come importante o molto importante dal 86,5% dei clienti) e poi anche freschezza e provenienza di un alimento. La freschezza si palesa al bar mostrando la proposta quotidiana attraverso il banco frigo, giustamente impiegato da molti gestori per evidenziare la propria offerta di panini, tramezzini, primi piatti o piatti unici proposti. Un’insalata soda e lucida, un prosciutto crudo dal colore rosso brillante e vivo, un piatto di pasta (anche se da riscaldare) che non dimostri i segni del tempo. La provenienza è invece un fattore che si può esplicitare attraverso cartellini che raccontino l’origine, la tipologia, la denominazione delle diverse materie prime utilizzate per la preprazione di una ricetta. Se si usano alimenti biologici è bene sottolinearlo, così come se si impiegano materie prime a denominazione di origine. Insomma un po’ di marketing quotidiano non fa certo male.

La proposta dei bar
Ma cosa propongono i bar italiani. Dalla nostra indagine svolta a Snacktime è emerso, innananzitutto che la propensione al cambiamento dei locali italiani in fatto di food c’è, ma non è dirompente. Il 57% circa dei gestori ha cambiato impostazione negli ultimi due anni della proposta di mezzogiorno allargando o modificando l’offerta. Per contro il 43% non ha modificato sostanzialmente nulla. Gli ingredienti più usati? Ai primi posti si trovano prodotti tradizionali, ma non manca qualche sorpresa. Tra i salumi prosciutto crudo e prosciutto cotto la fanno da padroni e vengono impiegati rispettivamente dall’88 e dal 77% dei gestori italiani. Seguono, un po’ a sorpresa due salumi tipicamente regionali come speck e bresaola (Alto Adige e Valtellina, Lombardia) che sembrano aver perso la loro connotazione territoriale. Tra i formaggi, invece, troviamo al primo posto la mozzarella usata nel 90% dei locali e al secondo il brie (71%). Due prodotti che hanno in comune la morbidezza e la versatilità di utilizzo. Diffusi anche grana e gorgonzola, due formaggi tipici e gustosi con i quali evidentemente i gestori possono dar vita a ricette molto caratterizzate dal punto di vista del sapore.

Il prezzo, sempre più cruciale 

Capitolo prezzi. Qui i fattori che si sommano o si scontrano sono tanti. Dagli aumenti reali a quelli percepiti dai clienti, dalla situazione di oggettiva crisi economica alle iniziative volte a calmierare il costo della pausa pranzo da parte delle istituzioni. Per esempio, Fipe e Anseb (l’Associazione nazionale società emettitrici buoni pasto), hanno recentemente svolto una ricerca dalla quale è emerso che sette lavoratori su dieci sono impossibilitati a pranzare con i soli buoni pasto: in pratica devono aggiungere contanti di tasca loro per pagare il conto finale. Due le strade possibili per fronteggiare la situazione economica: aumentare il potere di spesa dei clienti, difficile in questo periodo, ma non impossibile, oppure, o in aggiunta alla prima soluzione, calmierare i prezzi al consumo. La direzione per seguire la prima strada viene indicata, tra gli altri, dall’Adoc, l’associazione nazionale per la difesa e l’orientamento dei consumatori, che chiede l’innalzamento della soglia dell’esenzione fiscale e contributiva dei buoni pasto, attualmente a 5,35 euro, adeguandola al costo della vita e invogliando magari le aziende a erogare buoni pasti più sostanziosi. La seconda strada è già praticata materialmente dagli stessi esercenti, per iniziativa delle associazioni di categoria. Come accade con “Un prezzo da amico”, iniziativa Fipe Confcommercio con la quale si è deciso di bloccare i prezzi al bar nel periodo dal 1 novembre al 28 febbraio prossimo. In sostanza uno stop all’aumento dei prezzi nei bar per caffè, colazioni, pasti di mezzogiorno.
Ma, in definitiva, i prezzi nei bar dopo l’avvento dell’euro sono aumentati o no oltre quanto sarebbe stato lecito aspettarsi per l’inflazione registrata in questi anni? Qui è la Fipe che risponde. E risponde “ni”. Ovvero un po’ no un po’ sì. Dipende dalla merceologia presa in considerazione. Per quanto riguarda la tazzina di caffè, che pur rientra nelle abitudini del mezzogiorno, il prezzo è addirittura sceso, pur se in termini reali di un solo e modesto centesimo di euro. I panini, invece, sono aumentati, sempre parlando in termini reali, di diciassette centesimi di euro (circa 330 vecchie lire). Un dubbio sui prezzi reali relativi ai panini di cui parla la Fipe. Per la federazione dei pubblici esercizi italiani un panino costava in media 1,89 euro nel periodo di riferimento preso in considerazione contro i 2,48 euro del 2007.
Una delle domande poste ai partecipanti Snackfestival con il nostro questionario era relativa ai prezzi praticati (abbiamo chiesto ai gestori di indicare il prezzo mimino e quello massimo dei panini in lista). Da questa inchiesta è emerso che il prezzo medio dei locali che propongono panini è di 3,98 euro, ovvero 1,5 euro in più rispetto ai dati Fipe. Non è poco. Per quanto riguarda il piatto unico, dalla nostra ricerca è infine emerso che il costo medio al bar per il piatto unico è di 11,19 euro. E non si creda che il costo alto sia prerogativa delle grandi città. I prezzi più alti li abbiamo infatti registrati a Savona e Ancona.

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