A New Orleans, sul delta del fiume Mississippi, alcuni dei migliori bartender italiani hanno analizzato e ci raccontano luci e ombre del re dei bar show, Tales of the Cocktail, oltre 200 tra seminari, incontri e party, con oltre 22mila ospiti visitatori.
A luglio al Caffè Torino, bar temporaneo Martini a New Orleans, si ritrovano per un buon espresso alcuni dei personaggi chiave, martiniani e non, della bar industry italiana nel mondo. Intorno al tavolino fanno due chiacchiere sulla manifestazione. Presenti, tra gli altri, Agostino Perrone, Simone Caporale, Enzo Cangemi, Fabio La Pietra, il nostro barteder-fotografo speciale Jacopo Falleni, Francesco Lafranconi, Giovanni Depergola, Matteo Zamberlan, Orlando Marzo, Davide Segat, Salvatore Tafuri, Mauro Mahjoub, oltre ai “residenti” Dom Costa, Paolo Baccino, Luca Picchi, Leonardo Vena di Lucano e Giorgio Cristiani di Molinari. Tutti parte del nutrito contingente italiano che includeva altre importanti realtà come Cocchi, Luxardo, Toschi, Nardini, Pallini, Varnelli, Moccia (Zabov). Quella che segue è la registrazione dell’incontro al Caffe Torino. Sono le luci, ma anche le ombre, di Tales of the Cocktail, il più celebre bar show del mondo.
Accende il microfono il padrone di casa Giuseppe Gallo. Per primo si fa avanti Francesco Lafranconi, della Southern Wine and Spirits of America, una vera rockstar del settore. «Dopo tredici edizioni Tales of the Cocktail è un evento più che maturo. Dietro la sua riuscita c’è lo sforzo di un esercito di barman volontari che per una settimana, 24 ore al giorno, si dedica anima, corpo e shaker, alla manifestazione. Anche i contenuti sono sempre appetitosi: per i seminari salgono in cattedra solo grandi speaker, le tasting room offrono una varietà di prodotti unica. Ma, e qui c’è un “ma”, la manifestazione sta perdendo il senso genuino che aveva inizialmente. Si sta trasformando in una macchina troppo burocratizzata. Anche dal punto fiscale ci sono molti limiti. Lo Stato della Louisiana, per esempio, impone parecchie restrizioni sull’importazione dei prodotti. E poi c’è la scenografia che è sempre la stessa e meriterebbe un bel lifting». In mezzo al plauso e ai tributi c’è anche qualche voce fuori dal coro. Dom Costa, tra i personaggi più noti bar industry, pur sottolineando la grande quantità di seminari a New Orleans, mette l’accento anche sui punti critici: «Il livello dei contenuti è migliorabile. Ho avuto l’impressione che molti interventi fossero stati messi a calendario solo per fare numero. In più i seminari non sono a buon mercato. A New Orleans si pagano dai 40 ai 50 dollari a seminario a cui va aggiunto il viaggio che, tra una cosa e l’altra, si aggira intorno ai 2.000 euro». A onor del vero va detto che esiste anche la possibilità di acquistare con anticipo i biglietti dei seminari e risparmiare parecchi dollari.
Solo per adulti
Paolo Baccino del The Balance di Savona mette in evidenza un altro aspetto. «Non consiglierei a un giovanissimo l’ esperienza a Tales of the Cocktail. È una manifestazione che si vive meglio quando si è professionalmente maturi. Si corre il rischio di perdere il bandolo della matassa. Ciò non leva che un’esperienza in questa città tolga il fiato». E su questo nessuno ha dubbi. The Big Easy esercita un fascino unico. È la culla del jazz, del carnevale, del Mardì Gras, del quartiere francese e dei suoi mitici bar, segnati anche loro nel 2005, ma mai sconfitti, dal famigerato uragano Katrina. Nei giorni del Tales, New Orleans offre, oltre ai seminari, eventi di ogni genere. I nostri speciali reporter erano al centro delle danze. «Ho trovato molto interessante - fa il punto Baccino - il seminario di David Wondrich e Jeff Berry sulle “bevande” consumate durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un mosaico di storia e cultura del bere narrata da due connoisseurs e comunicatori, che sono riusciti, anche con l’ausilio di immagini e della loro intelligente ironia, ad alleggerire un argomento difficile come la miscelazione nel periodo di guerra».
Successi tricolori
Per Salvatore Tafuri, giovane acquisto del The Standard Hotel di New York, l’aspetto più stimolante dello show è stato toccare con mano come sia cresciuta nella bar industry americana la reputazione dei prodotti Made in Italy. «I nostri amari e vermouth - sottolinea Tafuri - stanno conquistando non solo gli americani, ma gli appassionati dell’aperitivo di tutto il mondo. Il successo di Caffè Torino è l’esempio lampante di come il “bar all’italiana” con ottimo caffè e un grande servizio di drink sia diventato una fonte d’ispirazione per tutti». Un aspetto curioso dell’edizione 2015 è stato il tentativo di unire il diavolo all’acqua santa. C’è qualcuno che si sta muovendo con azioni concrete per evitare gli eccessi e proporre una sana politica dei consumi. Davide Segat del Punch Room di Londra ha una visione chiara: «La comunità dei bartender si sta occupando di dare un senso concreto al termine healthy. Intorno al tema della salute sono stati realizzati interessanti seminari come quello sull’eccesso di zucchero nei drink o sui gravi danni che l’abuso di alcol può provocare. A questa attivià partecipano anche le aziende. Persone come Claire Smith-Warner, migliore brand ambassador del mondo per Belvedere Vodka, stanno lavorando in questa direzione e la trovo una grande presa di responsabilità». Al capitolo “il seminario che non c’era e che vorrei” i nostri reporter offrono altri spunti interessanti. «Per ampliare i nostri orizzonti - auspica Davide Segat - coinvolgerei non solo personaggi della bar industry, ma persone che arrivano da altri settori. Faccio un esempio. Una testimonianza di un guru della scienza dell’olfatto come il biofisico e scrittore Luca Turin, potrebbe svelare scenari illuminanti per chi è interessato al rapporto tra cocktail e arte profumiera».
Marketing e social
Enzo Cangemi, dell’Extra Fancy di Brooklyn, rilancia: «Chiederei a un esperto di intervenire su temi cruciali come il proporre se stessi nei social network e l’uso dei programmi per un self-marketing». Cangemi, con slancio patriottico, dice anche che farebbe un tributo alla grappa: «Un prodotto tutto da scoprire nella miscelazione moderna». Giuseppe Gallo vorrebbe coinvolgere maggiormente chef e sommelier. Mauro Mahjoub, del Negroni Club di Monaco di Baviera, punterebbe invece a un seminario sul ritorno alle radici, ovvero su come migliorare il rapporto barman-cliente. Dom Costa getta napalm sulla giungla dei bar americani più famosi: «Se mi dessero il microfono io parlerei della maleducazione e supponenza che ha il personale dei bar blasonati d’America, a partire dal doorman fino al personale dietro al banco». Baccino, del The Balance, ne fa una questione di equilibrio: «Farei un focus sulle misure nei cocktail, su come possono cambiare i bilanciamenti a seconda dei prodotti, sull’interazione col ghiaccio».