Archiviamo l’happy hour

Ore 18-22 –

Apericene e formule simili sono strade senza uscita. Le idee per rivitalizzare il momento dell’aperitivo non mancano, dal buffet a tema allo spettacolo

Alla chiusura degli uffici e dei negozi, in tutta Italia, scatta il rito diffusissimo dell’aperitivo che dà vita all’unica fascia oraria di consumi con un trend in crescita per i bar. Quella che, grosso modo, si estende dalle 18 fino alle 22. Bene o male, chiunque abbia un minimo senso di come vada gestito un locale riesce ad attirare clienti in questa porzione della giornata. Ma proprio perché la concorrenza è accesissima, nei centri cittadini così come in aree più periferiche, anche per questa piccola oasi felice del bar le cose stanno cambiando.
La prima grande trasformazione del vero aperitivo all’italiana in qualcosa di diverso, che oggi chiamiamo happy hour e che è diffuso ormai in quasi tutta Italia, si è verificata negli anni Novanta e ha comportato una rivoluzione che oggi si sta rivelando una vera e propria distorsione del business. Si tratta dell’offerta di cibo gratis a supporto del drink. È Oscar Cavallera, esperto di dinamiche dei consumi nel fuori casa e direttore dei corsi di Bar University di Bargiornale, a mettere in evidenza questo controsenso. «L’Italia è l’unico Paese al mondo - sottolinea - in cui il cibo viene regalato con il cocktail. In tutto il resto del mondo si paga, da Londra a New York, da Hong Kong a Tokyo. Anche in Spagna le “tapas”, che fanno parte della cultura locale, si pagano. Ma la stessa cosa succede a Venezia, con i “cicchetti”, che accompagnano le “ombre” (cioè i bicchieri di vino) ma si pagano. Anche poco, 50 centesimi, un euro l’uno, ma si pagano».

Corsa al ribasso

Perché è importante questo aspetto? «Il fatto di pagare lo stuzzichino a “sostegno” del drink - osserva Cavallera - è un segnale che, messo di fronte a una qualità indiscutibile del cibo, il cliente è disposto a pagare». Dove è gratis, invece, il cibo perde di valore, diventa un corollario allo Spritz o alla birra di turno a cui si dà sempre meno importanza, sia da parte del cliente sia da parte del gestore.
Lo dimostra il fatto che, in tempi economici non facili, le “mise-en-place” degli happy hour milanesi (e, a ruota, di tutta Italia), si stanno progressivamente impoverendo. «Nei buffet o nei piattini portati ai tavoli - nota ancora Cavallera - sono sempre meno presenti pietanze a base di carne o salumi, affettati e formaggi, mentre dominano sempre di più pane e pasta. Un chiaro indizio di come, per abbassare ulteriormente i prezzi e sconfiggere la concorrenza, gli happy hour siano strutturati su prodotti sempre più a basso costo». E, in molti casi, anche a bassa qualità.
Cosa fare allora per uscire da questa spirale, che non può portare a nulla di buono, e tornare ad avere margini sull’aperitivo? Osservando quanto fanno i gestori più “illuminati” si può ricavare qualche interessante spunto operativo.
Per esempio, alcuni locali si stanno spostando sul servizio al tavolo, in modo da controllare meglio il servizio del cibo in accompagnamento alle bevande, riducendo i volumi e migliorando la qualità. Al motto di “decido io che cosa ti porto, lo stuzzichino è quello che ti propongo io”.
Un altro fenomeno, che tende a prolungare il consumo dell’aperitivo, di per sé destinato a esaurirsi presto, è il tentativo di trasformarlo in “apericena”. Anche in questo caso ci troviamo davanti a proposte che vanno dal massimo al minimo della scala della qualità, a seconda della capacità e della bravura del gestore. Praticata con più frequenza nel weekend, l’apericena sta trasferendo all’orario serale lo stesso meccanismo già verificantosi con il mezzogiorno, cioè l’offerta nel bar di un pasto completo, comprensivo di bevande, a un prezzo tra i 10 e 12 euro. Cambia l’appeal, rispetto al pranzo, il modo di presentare la proposta. Ma l’esigenza è la stessa.

Il valore aggiunto dell’intrattenimento
Definito lo scenario, sono però in atto tentativi per modificarlo e arricchire questa fascia oraria ritornando alla qualità. Una strategia, seguita da alcuni locali molto grandi è di trasformare l’aperitivo in un evento, in cui oltre al consumo di cibo e bevande si finisce per ballare e divertirsi. È la trasformazione dell’occasione commerciale in un vero e proprio party. In locali di questo tipo, così come in altri più raccolti, si tende a fornire un apertivo “standard” a un prezzo fisso e a proporre degli extra, da pagare a parte, che cercano di solleticare altri desideri della clientela. «Per esempio - dice Cavallera - dopo l’aperitivo ti propongo un dolce, come un tiramisù, e te lo faccio pagare a parte. L’operazione riesce quando si hanno gruppi numerosi, per cui a fronte di un’intera teglia di dolce faccio pagare un sovrapprezzo che si “spalma” tra più persone». In locali di livello elevato sta prendendo piede l’idea dell’aperitivo a tema, che può essere dettato da un particolare vino o dal cibo. «L’idea in questo caso - osserva ancora Cavallera - è dare un’idea di esclusività: organizzo, per esempio, un buffet incentrato su un unico ingrediente, come il riso, la pasta». L’obiettivo è essere originali, mai statici.

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