Banzai cocktail, da Tokyo la carica dei sake drink

Dal mondo –

Sake, Shochu e soju: i distillati giapponesi e coreani hanno conquistato anche gli shaker occidentali. Le ricerche dei “maestri” Vince Ang di Singapore e del giapponese Eiji Miyazawa

Ormai sushi e happy hour fanno parte del vocabolario di ogni milanese sotto i quarant’anni. Termini che presto potrebbero soppiantare nel lessico la cadrega (sedia) o lo sprüsaa, il classico bianchino spruzzato col Bitter. Parole che, a cominciare dal 2000, hanno fatto stringere amicizia tra il figlio del signor Brambilla e quello del signor Tanaka, il signor Rossi dei giapponesi. Spesso il programma tipo di una serata milanese per la fascia 20-40 anni prevede almeno due tappe. Si parte con l’aperitivo rinforzato e poi si passa a una cena rilassata al “giappo”(nese). La felice combine tra sashimi e cocktail, tra sushi chef e barman meneghini, ha prodotto risultati inaspettati. Al lounge-restaurant Mizu di corso Sempione, una delle zone più nottambule di Milano, il barman Derryl propone drink rivisitati come il Mojito Sake, col distillato di riso al posto del rum o il Passion Sake, unione felice degli aromi secchi del sake con quelli morbidi del frutto della passione. Per inciso Derryl del Mizu, seppur bravissimo, non è il solo a darsi da fare con questo genere di drink.
Sake, bevanda dall’aura sacra

Tanti altri hanno sperimentato la miscelazione col distillato nipponico e l’abbinamento dei cocktail con la cucina del Sol Levante. Dal Soho Fish Bar di Genova al Sushisen di Roma. Quando raccontiamo questo retroscena a Eiji Miyazawa, super barman all’Ally’s di Tokyo, rimane un po’ stranito. «Da noi il sake ha l’aurea di una bevanda sacra. Tutte le cerimonie più importanti per un giapponese, religiose e civili, sono suggellate brindando con un bicchiere di sake». L’interprete di Miyazawa finisce di tradurre. E a giudicare dallo sguardo del barman, scuro come quello di un samurai, temiamo di aver fatto una gaffe.

Fenomeno da esportazione

Per fortuna non è così, anzi il barman riparte tutto orgoglioso: «Il fenomeno del sushi e dei cocktail, abbinati o preparati con prodotti giapponesi, ha contribuito a far conoscere e diffondere nel mondo la nostra bevanda alcolica tradizionale. Al Sushi Groove di San Francisco, per esempio, hanno in carta degli short che mimano i classici: dal Saketini al Sake Cosmo, alternative con sake al Vodkatini e al Cosmopolitan». Naturalmente - come sottolinea lo stesso Miyazawa - ogni drink vuole il suo sake, un termine che tradotto signfica “bevanda alcolica”. Perché le varietà di sake, detto anche “vino di riso” (è ottenuto dalla fermentazione del riso), sono tante. In linea generale, prodotti come il nigori sake, dolce e non filtrato, si usa per i cocktail a base di frutta, mentre i sake filtrati e secchi sono adatti alle miscele più robuste. Col sake ci si può giocare in mille modi. Conosco almeno 60 buone ricette. Ho provato con successo a miscelarlo con qualche goccia di succo di limone, vodka, succo d’arancia e Grand Marnier. Oppure insieme al Cognac e allo Chambord».

Un cugino sempre più famoso

Della famiglia allargata dei sake fa parte anche il cugino Shochu. Nativo dell’isola di Kyushu, ma prodotto in tutto il Giappone, viene distillato a partire dalle patate dolci, dall’orzo ma anche, e qui la parentela col sake, dal riso. Normalmente il suo grado alcolico è di 25% vol. Per i drink si usa di norma la versione pluridistillata, solitamente più robusta. Tra i maggiori interpreti dei cocktail con Shochu c’è Vince Ang, barman in forza all’Emerald Hill Group, una delle più importanti catene di locali di Singapore, che precisa: «In realtà la paternità del Shochu si disputa tra Corea e Giappone. A Seul lo chiamano soju, in Giappone Shochu, ma si tratta di prodotti simili. Anche quello coreano viene distillato con orzo, patate e riso. Cambia il grado alcolico, che è più elevato. Le ricette a base di soju vanno dal semplice Hito (menta, soju, lime, soda e succo di limone) ai più complessi Pom-Pom, con soju, succo di melagrana e succo di limone e Mount Fuji, con fettine di zenzero pestate e sweet&sour». Nell’elenco dei cocktail proposti da Vince Ang non possono mancare dei classici.
Classici per il Giappone, s’intende.
Qui si usa il Shochu mixato con tè Oolong o succo di frutta, o diluito in acqua calda o on the rocks. Da provare anche il Chuhai. Si prepara con Shochu soda, ghiaccio e aromatizzanti come limone, mela o ume (il frutto dell’albicocco giapponese).
Non resta che rimboccarsi le maniche e augurare banzai, cioè “diecimila anni di vita”, ai barman in vena di esperimenti.

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