La prima volta che incontrammo Steve Grossman rimanemmo ovviamente colpiti dall’avventurosa storia di Sierra Nevada, il birrificio fondato dal fratello Ken nel 1980, agli albori di quella che sarebbe stata conosciuta come la “Craft Beer Revolution” americana; ma soprattutto da un gesto che valeva più di mille parole. Appena entrato nel locale milanese dove doveva tenere la sua presentazione, per prima cosa Grossman andò a verificare la date di scadenza dei fusti e delle lattine. Solo quando fu certo che la birra avesse la giusta freschezza iniziò a raccontare. L’abbiamo rivisto qualche giorno fa, al TJB di Missaglia (Lc), una bella hamburgeria con bancone centrale dove si spillano anche le birre di Sierra Nevada. E si sa, la birra aiuta la conversazione...
Nel libro “Beyond the Pale”, tuo fratello Ken racconta di quando un analista, all’inizio degli Ottanta, previde che per l’anno 2000 gli Usa avrebbero avuto solo 2 o 3 birrifici. Oggi invece ne esistono quasi ottomila...
Esatto. Direi che la previsione fu abbastanza errata e chissà che fine ha fatto adesso quell’analista. Oggi la birra artigianale è una realtà consolidata, negli States ma non solo, ma naturalmente è anche una realtà più complessa e più competitiva. Tuttavia non ritengo si sia entrati in una fase recessiva. Alcuni birrifici chiudono o hanno chiuso, ma altri continuano ad aprire. Il segno è ancora positivo sebbene a marcare la crescita maggiore oggi siano i brewpub piuttosto che i birrifici veri e propri. La strada è comunque ancora lunga: la percentuale craft nel nostro Paese valeva il 12,3% dell’intero segmento birra nel 2017. I margini per crescere ancora ci sono tutti.
Producete oltre due milioni di ettolitri ma esportate appena il 5%. Per quale motivo?
Un 5%, voglio sottolineare, distribuito in quindici Paesi. Non è facile trovare partner all’altezza delle aspettative e della qualità che pretendiamo e quindi preferiamo muoverci con piedi di piombo per quanto riguarda l’export. Abbiamo discusso anche sulle possibilità di aprire un nostro birrificio fuori dagli USA (come ha fatto la californiana Stone Brewing, che recentemente ha tuttavia venduto l’impianto di Berlino agli scozzesi di Brewdog, ndr.), ma al momento non è nelle nostre intenzioni.
La vostra Pale Ale è stata la birra che ha fatto scoprire al mondo della birra il luppolo Cascade...
Sì, penso di sì. Forse non è stata la prima birra a essere prodotta solo con il Cascade, ma direi che è stata la più nota. Ci abbiamo messo un po’ per perfezionarla. Era una ricetta che mio fratello Ken produceva ancora da homebrewer, ma quando si è trattato di farla professionalmente non eravamo mai soddisfatti e alla fine la prima birra ufficiale di Sierra Nevada è stata la stout. La Pale Ale è arrivata subito dopo.
Come vedi il futuro del mercato craft?
Comunque positivo. Certo le acquisizioni che si sono verificate ad opera delle multinazionali comportano delle problematiche ma le dobbiamo vedere come una normale competizione. Quello che è importante è offrire chiarezza al consumatore che deve essere informato anche sulla proprietà del birrificio. È a questo scopo che la Brewers Association ha lanciato il marchio “Independent Craft”: per garantire la giusta riconoscibilità ai produttori indipendenti e permettere al consumatore di decidere informato.
Invece cosa ne pensi della moltiplicazione incessante delle etichette craft. Negli States ci sono birrifici che producono anche più di duecento nuove birre l’anno e anche in Italia non si scherza...
Lo trovo un fenomeno interessante. Con un rischio però che è quello di confondere il consumatore, che non è solo l’appassionato o il cosiddetto beer geek, e perdere di vista quelle che sono le “birre bandiera”. Alcuni beershop in America stanno un po’ invertendo la rotta e diminuendo le referenze a scaffale, garantendo comunque un’offerta ampia e diversificata.
Se dovessi scegliere una sola parola per descrivere la tua birra ideale.
Dovessi sceglierne solo una direi senza dubbio “drinkability” (in italiano si traduce non solo come bevibilità, ma anche come armonia, equilibrio e bilanciamento, ndr). Credo resti l’elemento più importante da ricercare in tutte le birre. Che siano una pils, una double Ipa o un barley wine.